Autonomia differenziata e vecchi problemi


Questioni di merito e di metodo per una svolta attesa da più di vent’anni.


La continua tensione verso maggiore autonomia regionale

Le questioni legate al decentramento amministrativo e più in generale alle forme di autonomia regionale hanno vissuto recentemente un momento importante quando nel 2018 il Governo Gentiloni sottoscrisse con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna delle pre-intese per rendere effettive le richieste pervenute da quelle regioni (in Lombardia e Veneto attraverso la celebrazione di un referendum consultivo fra i cittadini) circa una maggiore autonomia. Per affrontare gli aspetti legati a quelle richieste non si può prescindere dalle considerazioni legate all’introduzione del terzo comma dell’art. 116 Cost nella riforma del titolo V, allorché le forze politiche che reggevano la maggioranza del Governo Prodi I, tentarono di disinnescare nel medio termine, attraverso quella previsione, le pulsioni federaliste o addirittura secessioniste che alla fine degli anni Novanta montavano sull’onda dell’avanzata leghista nelle regioni del Nord Italia.
Per tali ragioni non è sbagliato ritenere che la norma, introdotta in seno alla più ampia riforma del titolo V, possa considerarsi come il portato di una valutazione contingente piuttosto che il frutto di una visione di sistema. Infatti, se c’è un peccato originale nella introduzione dell’autonomia differenziata nel nostro testo Costituzionale è quello di aver pensato di utilizzare una simile leva per risolvere lo scontro politico senza avere prospettive sistemiche e senza ponderare i possibili effetti di un regionalismo senza modello, che ha caratterizzato peraltro costantemente la storia della Repubblica, sin dal 1948, con una tendenza allo scivolamento nel policentrismo senza una reale funzione di governo. Da questo punto di vista, come ha sottolineato puntualmente il politologo Lorenzo Castellani, “lo Stato italiano è rimasto un non sistema, o meglio un disordine sistematico tra interessi locali e nazionali che si riflette nelle più alte sfere statuali[1].
Certamente, già nell’ultimo decennio del secolo scorso, si era potuta cogliere una trasformazione del nostro modello generale di assetto politico, per cui lo Stato, appariva incapace di soddisfare le sempre più diversificate esigenze dei cittadini, tali da poter essere fronteggiate da strutture politico-amministrative più articolate e diversificate. Un’esigenza che, proprio per Gianfranco Miglio, considerato l’ideologo della Lega Nord bossiana, si rifletteva nella tendenza più generale ad un venir meno di vincoli politici immutabili, di cui si era fatto portatore lo Stato moderno e quindi delle unità amministrative cui i cittadini intendevano rapportarsi[2]. Un’analisi della situazione che negli anni successivi ha visto aggiornamenti e ulteriori sviluppi, ma che si è caratterizzata per una sostanziale staticità, se si guarda all’inattuata Legge sul federalismo fiscale del 2009.

Il Disegno di Legge “Calderoli”

Il disegno di legge approvato alcune settimane fa in Consiglio dei ministri[3] recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata ex art. 116, terzo comma, Cost., provvede alla definizione dei principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e delle relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione. In relazione al procedimento di approvazione delle intese, si stabilisce che l’atto di iniziativa per l’attribuzione di competenze ex art. 116, terzo comma, sia preso dalla regione interessata sentiti gli enti locali, secondo le modalità previste nell’ambito della propria autonomia statutaria. L’iniziativa di ciascuna regione può riguardare una o più materie o ambiti di materie. In questo senso appare chiaramente come i provvedimenti di riforma mirino a realizzare un miglioramento dello Stato regionale, “miglioramento sicuramente delle Regioni, ma soprattutto miglioramento dello Stato, dato che è la condizione di questo ad essere considerata costantemente insufficiente a soddisfare i diritti dei cittadini e poco lusinghiera sul piano europeo e internazionale, per competitività, efficienza, attrazione dei capitali stranieri, sicurezza degli investimenti, giustizia, capacità fiscale”.[4] Un aspetto determinante della riforma riguarda poi l’ambito dei  principi applicabili al trasferimento delle funzioni, in quanto il disegno di legge stabilisce che l’attribuzione di nuove funzioni relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) secondo la procedura prevista dalla normativa vigente (articolo 1, commi da 791 a 801, legge n. 197 del 2022), e dei relativi costi e fabbisogni standard. Un’annosa questione, che innerva il dibattito introno all’attuazione di un vero decentramento. Tanto che lo stesso Sabino Cassese, nominato presidente del CLEP, il Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali, ha indicato i punti critici della riforma, soprattutto nella necessità di garantire eguaglianza di prestazioni sul territorio unitamene alle risorse da trasferire. Tanto è vero che il giurista ha anche auspicato che l’assegnazione di ulteriori compiti alle regioni, avvenga in maniera progressiva, introducendo sostanzialmente delle intese da attuare nell’arco di uno piuttosto che due decenni, anche nell’interesse delle regioni stesse, per non appesantirle da un giorno all’altro[5].

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Rischi e opportunità dell’autonomia differenziata

Al di là di alcune polemiche, anche molto forti, provenienti dalle opposizioni, il Ddl Calderoli, appare muoversi nel solco indicato dalla Costituzione e semmai a destare dei dubbi sono i problemi di natura legislativa ed amministrativa cui andrà incontro.  Su questo punto secondo Gianfranco Viesti, nel nostro Paese funziona con un grado abbastanza ampio di autonomie che è aumentato negli anni Novanta e successivamente con la riforma del Titolo V e perciò «L’esperienza, in particolare dell’ultimo ventennio, non è particolarmente positiva. Abbiamo un’accesissima conflittualità tra lo Stato e le Regioni: il 50% delle sentenze della Corte Costituzionale riguarda proprio questo ambito. Continuando Viesti sostiene come in Italia «Abbiamo una scarsissima collaborazione orizzontale, […] troppe forme pericolose di sovranismo regionale, a tutte le latitudini: i presidenti di molte Regioni, sia a Sud che a Nord, vedono i propri confini come una sorta di recinto all’interno del quale hanno un potere assoluto. Ma se parliamo di siccità e gestione dell’acqua, è un esempio di grande tema che richiede collaborazione tra i vari livelli istituzionali. Vedo ancora un’autonomia troppo sperequata, con le Regioni che schiacciano le autonomie cittadine e hanno un grande potere di controllo, sia normativo che finanziario»[6]. Non sarà di certo agevole definire e garantire i LEP in tutta la nazione, vista la spesa che questi richiedono.
Per farlo molto probabilmente si dovranno dottare soluzioni politicamente delicate quali una riduzione della spesa pubblica, l’aumento delle tasse o un incremento del debito. Inoltre, c’è una domanda di fondo che non può essere sottovalutata ovvero l’effettivo ruolo che lo Stato vuole delegare alle Regioni, trasferendogli tutte le materie o solo quelle che potrebbero essere gestite meglio ad un livello istituzionale più prossimo al territorio? In un’epoca in cui l’Italia ha già ceduto spazi di sovranità importanti alla competenza sovrannazionale dell’Unione europea per ragioni di armonizzazione e per avere maggiore peso geopolitico, potrebbe risultare poco coerente trasferite tutte le competenze previste dall’articolo 116 ad una o più Regioni. Comunque, se un rischio da evitare ad ogni costo c’è, è senz’altro quello che la riforma produca risultati poco convenienti per il benessere dei cittadini o che generi numerosi conflitti costituzionali tra Stato e Regioni.


Note

[1] L. CASTELLANI, «Lo stato senza autorità», Limes, n.10, 2022, p.184.
[2] G. MIGLIO, Una costituzione per i prossimi trent’anni, Laterza, Bari 1991, p.142.
[3] Il disegno di legge, sul quale è stato acquisito il parere della Conferenza unificata, è stato presentato per l’avvio dell’esame parlamentare al Senato, testo ed iter disponibili all’url: https://bit.ly/41kGzoC
[4] S. MANGIAMELI, «Errori e mancata attuazione costituzionale. A proposito di regionalismo e regionalismo differenziato», dirittiregionali.it, 17/01/2023, https://bit.ly/3navcRF
[5] A. RICCIARDI, «Regioni, più poteri gradualmente», ItaliaOggi, 17/02/2023
[6] L.VIESTI, «Autonomia differenziata, Viesti: “Ecco perché non funzionerà”», Vita.it, 22/02/2023, https://bit.ly/3Hha8Qp


Foto copertina: Autonomia differenziata e vecchi problemi