CinAmerica: i prodromi di uno scontro inevitabile

FILE PHOTO: U.S. President Donald Trump meets with China's President Xi Jinping at the start of their bilateral meeting at the G20 leaders summit in Osaka, Japan, June 29, 2019. REUTERS/Kevin Lamarque/File Photo

La guerra fredda 2.0 non è legata soltanto a fattori geopolitici ma ha cause più profonde e sedimentate. Stati Uniti e Cina, infatti, sono due stati-civiltà retti da visioni del mondo, sistemi legali e impostazioni sociali antitetiche; l’esplosione di uno scontro era una questione di tempo.


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L’arrivo alla Casa Bianca di Donald J. Trump è stato uno dei più importanti eventi spartiacque della storia recente e verrà ricordato dai posteri, fra le numerose cose, per aver sancito l’inizio ufficiale di una nuova guerra fredda.
Questa volta, però, non è l’Occidente contro l’impero sovietico, è l’Occidente contro la Repubblica Popolare Cinese.
Lo scontro sino-americano potrebbe apparire, a prima vista, come un braccio di ferro egemonico guidato esclusivamente da ragioni geopolitiche ed economiche ma vi sono altri elementi, ugualmente importanti, capaci di spiegare il conflitto e che sono stati finora largamente ignorati.

Il riferimento è alle profonde differenze che contrappongono i due paesi, in particolare le loro strutture sociali e i loro sistemi legali; gli Stati Uniti sono l’auto-eletto campione del cosiddetto mondo libero basato sull’individualismo e sul liberalismo, mentre la Cina è uno stato-civiltà retto da una tradizione millenaria plasmato da valori confuciani e comunisti.

Se uno scontro è stato evitato, fino ad oggi, è soltanto per due motivi:

  1. Al tempo della guerra fredda, la Cina era un paese in via di sviluppo afflitto da un’infinità di problematiche e contraddizioni interne che la rendevano una minaccia meno pericolosa dell’Unione Sovietica agli occhi dell’Occidente. Inoltre, le sue ambizioni geopolitiche non erano manifeste come oggi, o forse lo erano (vedasi l’India) ma sono state volontariamente sottovalutate.
  2. La guerra fredda è stata seguita dallo scoppio della guerra al terrore, che ha monopolizzato l’attenzione delle cancellerie euro-americane sino agli anni recenti, permettendo alla Cina di crescere e prosperare all’ombra della sovra-esposizione del jihadismo internazionale.

Adesso che la minaccia sovietica è rimossa e che la guerra al terrore ha perso priorità ed intensità, il ri-orientamento dell’agenda estera degli Stati Uniti sulla Cina era semplicemente prevedibile ed inevitabile. Pechino, oltre ad essere l’unica potenza al mondo capace di sfidare la primazia americana, è anche l’unica che, proprio come Mosca ai tempi dell’Urss, può proporre un modello sociale alternativo a quello liberale. Non è solo geopolitica: è un conflitto fra due visioni del mondo profondamente opposte ed inconciliabili.

 

Capire il sistema Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono il paese occidentale che più di ogni altro ha cercato di promuovere ed esportare il suo modello legale e sociale nel globo, anche con la forza. È necessario capire perché questo è accaduto, accade e continuerà d accadere. Gli Stati Uniti sono un paese nato da una sanguinosa rivoluzione anti-imperialista, la cui identità politica e culturale è stata storicamente plasmata dalla combinazione fra il legalismo (la supremazia del diritto) e l’auto-convinzione di aver ottenuto un mandato divino per rendere il mondo un posto migliore (manifesto destino).

Anche il celebre “Discorso d’addio” di George Washington del 1796 continua ad essere ancora oggi mis-interpretato dato che invitava la posteriorità ad evitare la pratica delle alleanze permanenti, ma in nessun modo proclamava un isolazionismo tout court ed è legittimamente considerabile il manifesto dell’unilateralismo americano.[1]

È solo a partire da questa premessa che si possono contestualizzare l’espansione americana verso Ovest, la dottrina Monroe, la guerra ispano-americana del 1898, il coinvolgimento nella prima guerra mondiale, la costruzione egemonica nel secondo dopoguerra di un ordine mondiale americano-centrico e promuovente il liberalismo, ed anche eventi più recenti come gli interventi in Serbia, Libia, Siria e, infine, il confronto con la Cina.

L’individuo ed i suoi diritti sono ritenuti i pilastri principali della società libera americana come si può facilmente comprendere dai tre imperativi esposti nella Dichiarazione d’Indipendenza: “Vita, Libertà e Ricerca della felicità”. In quella frase si trovano i semi di una tradizione interventista germogliata successivamente ed inevitabilmente, in quanto quei tre diritti negativi inalienabili vengono ritenuti di derivazione divina e garantiti all’intera umanità. La conseguenza naturale di un simile ragionamento è che gli Stati Uniti hanno il dovere di far sì che quel trio venga rispettato in tutto il globo, ovunque venga violato. Questo era, almeno, ciò a cui stava pensando Thomas Jefferson mentre sviluppata il cosiddetto concetto di “impero della libertà”, ovvero la responsabilità di diffondere i valori americani in tutto il mondo nell’aspettativa di costruire regimi amichevoli a Washington.[2]

Dato che gli Stati Uniti si considerano l’espressione della libertà per eccellenza, tutti quei paesi che non si conformano a questa peculiare visione liberale sono suscettibili di subire pressioni. Infine, occorre spiegare il funzionamento del sistema americano, che è stato largamente influenzato dall’illuminismo europeo, dal quale ha importato numerosi concetti eccetto le venature irreligiose ed anticlericali. Gli Stati Uniti sono dominati dallo stato di diritto, dalla supremazia della Costituzione (alla quale tutti sono assoggettati, inclusi i più alti ufficiali pubblici come il presidente), dalla divisione bilanciata dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e dal Common Law, ovvero dalla possibilità di creare leggi a partire dalla giurisprudenza. Ognuno può ricorrere ai tribunali per far rispettare i propri diritti e spesso i giudici non si limitano a pronunciare una semplice sentenza: fanno la storia, spianando la strada per cambiamenti epocali attraverso dei verdetti aventi il potere di riscrivere il quadro legislativo esistente per via della regola del precedente giuridico.

Sono stati i giudici a decriminalizzare e legalizzare l’aborto (Roe v. Wade; Doe v. Bolton) ed il matrimonio omosessuale (United States v. Windsor; Obergefell v. Hodges); e sono stati i giudici a legittimare la segregazione razziale (Plessy v. Ferguson) e poi a porvi fine (Brown v. Board of Education; Heart of Atlanta Motel, Inc. v. United States).

Poi, vi è l’assoluta necessità di introdurre il sistema economico americano. Gli Stati Uniti sono il paese capitalista per antonomasia: culla del capitalismo finanziario contemporaneo, delle scuole di pensiero economico più liberiste, delle più grandi corporazioni multinazionali, mente dell’ordine mondiale liberale basato sulle istituzioni di Bretton Woods, casa di 8 dei 10 imprenditori più ricchi del mondo, ed il luogo in cui la mano invisibile di Adam Smith viene lasciata operare senza freni portando, spesso, allo scoppio di crisi che si riverberano su scala planetaria.[3]

Gli Stati Uniti hanno storicamente basato la loro crescita, potere e ricchezza sui benefici derivanti dall’ideologia del libero mercato. La guerra fredda fu qualcosa di più di uno scontro con l’Unione Sovietica, fu uno scontro esistenziale per la sopravvivenza del sistema America.

Ovunque vi siano economie aperte, gli Stati Uniti possono trarne vantaggio, rilevando aziende, comprando beni strategici, esportando i loro prodotti, dando vita a forme di interconnessione economico-finanziaria che rendono un disaccoppiamento tanto difficile quanto dannoso. Infatti, gli accordi di libero scambio sono un importante instrumentum regni della politica estera americana. Il potere dell’egemonia americana non è pienamente spiegabile e comprensibile senza tenere in considerazione questa complessa realtà.

Infine, è degno di nota sottolineare come, nel corso del tempo, lo spazio occupato dai diritti negativi abbia eroso l’importanza di quelli positivi, portando alcuni politologi a parlare in termini negativi del cosiddetto fenomeno della “cornucopia permissiva”, una forza disgregante che agisce contro la coesione sociale nel nome della presunta superiorità dell’individuo sulla comunità e di tutte le sue rivendicazioni di avere libertà da ogni obbligo ma mantenendo il diritto di poter soddisfare ogni suo desiderio.[4]

Capire il sistema Cina

La Cina contemporanea è erede di una civiltà millenaria il cui approccio ai diritti positivi e negativi, la visione del rapporto fra stato e cittadino e la conformazione del potere e del diritto, sono stati storicamente molto diversi rispetto all’Occidente. È impossibile capire la situazione attuale senza dare uno sguardo al passato, dato che la Cina è al tempo stesso l’ultimo gigante “comunista” ed il risultato di una lunga storia plasmata dagli insegnamenti confuciani; la sua identità è frutto di questa combinazione fra antico e moderno.

La storia del diritto tradizionale cinese inizia dapprima che nell’impero romano venissero codificate le prime leggi, ovvero fra il 536 ed il 400 avanti Cristo, grazie ai lavori di Xing Shu e Fa Jing. È in quest’epoca molto remota che nasce l’idea di avere uno stato basato sulla figura dell’imperatore, altamente centralizzato ed intelligentemente burocratizzato, e moralmente influenzato dal confucianesimo; idea che si consoliderà a partire dall’inizio della dinastia Han.

Per molti secoli, il sistema politico cinese è stato simile all’ordine feudale europeo. Due idee, in particolare, hanno plasmato la visione della Cina: la continuità ed il mandato del cielo. Il primo è considerato la principale peculiarità della civilizzazione cinese e ritiene la Cina un monolite sempiterno. I cambi dinastici, il secolo dell’umiliazione, il periodo repubblicano ed infine la rivoluzione comunista, tutto viene letto come il susseguirsi coerente di un ciclo di eventi che ha aiutato il paese a preservare se stesso.

Il mandato del cielo è strettamente collegato alla tesi della continuità e ha funto da giustificazione legale e morale per l’esercizio assolutistico del potere da parte dell’imperatore, in quanto ritenuto il garante della continuità. Si può affermare che proprio questo concetto ha gettato le fondamenta per la tendenza diffusa a livello popolare e politico di idealizzare il capo di turno, costruendogli attorno dei forti culti della persona; tendenza che è stata poi ereditata dal Partito Comunista Cinese come palesato dai culti creati attorno le figure di Mao Tse Tung e Xi Jinping.

Ogni dinastia ha aggiunto o rimosso qualcosa dal diritto tradizionale ma senza mai scalfirne i principii basici, proprio nel nome della continuità. Il lascito del diritto tradizionale è visibile ancora oggi e continua a plasmare il pensiero e la pratica legalistiche della Cina contemporanea, dove il diritto è visto e trattato come uno strumento con cui conseguire fini politici, amministrativi e sociali.

Il più serio sforzo riformistico del diritto cinese è stato fatto nel corso dell’era Qing (19esimo secolo) per via di una combinazione di pressioni interne (corruzione galoppante e disordini civili) ed esterne (l’entrata in scena delle potenze europee, del Giappone e degli Stati Uniti).

Esperti europei di diritto giunsero in Cina per aiutare i Qing a riformare l’antico sistema di leggi.
Nel 1864 fu tradotto in lingua cinese “Elementi di diritto internazionale” di Henry Wheaton, e nel 1904 fu messa su la Commissione per la Codificazione delle Leggi.[5] Due anni dopo, la commissione suggerì di adottare un governo costituzionale in stile giapponese, che desse maggiori poteri all’Assemblea Nazionale ma lasciando l’ultima parola all’imperatore.

È interessante notare che, nello studio dei diversi approcci occidentali al diritto e alla società, i cinesi manifestarono diffidenza nei confronti del sistema angloamericano, basato sul Common Law e socialmente “troppo” liberale. Tale sistema venne ritenuto esiziale per la società cinese, basata sull’ordine, sulla gerarchia e sulla centralità delle comunità e delle unità familiari.[6]

L’importanza della continuità è stata evidenziata nel 1912, con l’abdicazione dell’imperatore Pu Yi e l’insediamento della repubblica. Questo periodo sarebbe durato fino al 1949 e viene tradizionalmente diviso in due fasi: una più conflittuale dell’altra. La seconda fase è stata caratterizzata dall’egemonia del Partito Nazionalista (Kuomintang) e dai suoi tentativi di modernizzare la Cina. Anche in questo caso, nonostante i propositi occidentalizzanti, i nazionalisti mostrarono rispetto verso il passato della civiltà cinese, scegliendo Nanchino come capitale in segno di continuità con la dinastia Ming.

Ad ogni modo, l’esperienza nazionalista ebbe vita breve a causa dello scoppio di una grave guerra civile fra repubblicani e comunisti. Vinsero questi ultimi, che assunsero il potere ufficialmente nel 1949 dando vita ad un regime di ispirazione sovietica basato sul sistema monopartitico e sulla militarizzazione degli affari pubblici. La giustizia fu sottomessa alla politica, diventando uno strumento del partito, mentre cultura ed istruzione furono impiegate per indottrinare le masse e far loro accettare il nuovo ordine.

Con la fine del maosimo si è assistito alla transizione verso un nuovo modello economico, il cosiddetto socialismo di mercato, e ad alcuni cambiamenti rilevanti a livello di società civile e riforma politica, ma la natura fondamentale della rivoluzione è stata preservata, sulla scia della continuità e nell’ottica della stabilità sul lungo termine per mezzo di un uso saggio del diritto.

Sulla carta, la Cina è diventata un paese “governato dalla legge che protegge e rispetta i diritti umani”.[7] Ad ogni modo, gli sviluppi successivi hanno mostrato che la Cina ha una concezione molto particolare dei diritti umani e della loro tutela. Infatti, gli attivisti per i diritti umani vengono spesso incarcerati e diritti umani fondamentali come la libertà di religione sono largamente negati, soprattutto ai cristiani e ai musulmani che vivono delle vere e proprie persecuzioni.[8] [9] [10]

La giustizia continua ad essere utilizzata come uno strumento politico dal Partito Comunista, che si considera l’unico legittimo costruttore dell’identità nazionale, della prosperità economica e della stabilità sociale, che vengono ricercate per mezzo di iniziative dall’alto implementate in maniera coercitiva. Di conseguenza, i cittadini che ricorrono ai tribunali per denunciare abusi di potere e violazioni commesse da ufficiali pubblici, trovano in essa più un ostacolo che una fonte di supporto. Alcuni film e documentari cinesi, come la Storia di Qiu Ju e Hooling Sparrow, mostrano e denunciano molto accuratamente questa realtà.

Infine occorre dare uno sguardo al sistema economico cinese. Mao vide nell’Unione Sovietica un modello da seguire su diversi temi, inclusa la gestione dell’economia nazionale, perciò progettò un’economia pianificata basata sulla collettivizzazione e sul monopolio statale. I suoi sforzi sono universalmente considerati dei fallimenti, causa di carestie e cronica bassa produttività, e subito dopo la sua morte, la nuova dirigenza guidata da Deng Xiaoping, iniziò un profondo ripensamento del discorso politico, approdando al cosiddetto socialismo dalle caratteristiche cinese, una forma di socialismo di mercato meno stato-centrica, aperta agli investimenti stranieri e alla privata proprietà.

Questa ricetta ha consentito alla Cina di diventare la fabbrica del mondo, ma negli anni ha iniziato ad essere messa in discussione, prima da Hu Jintao e poi da Xi. L’economia cinese è oggi sempre più controllata dallo stato ed anche le corporazioni ufficialmente private, come Huawei, sembra che siano legate al partito e/o alle forze armate.[11] [12] [13] Questa consapevolezza ha spinto gli Stati Uniti a giustificare la guerra commerciale e lo scontro egemonico.

Ad ogni modo, per essere intellettualmente onesti, neanche negli Stati Uniti la grande imprenditoria privata è esente dalle interferenze governative, al contrario le corporazioni spesso si dimostrano delle armi al servizio del governo – si pensi al caso della United Fruit Company che è stato approfondito proprio sulle colonne di Opinio Juris.[14]

Conclusioni

Le civiltà americana e cinese sono sempre state distanti ed inclini allo scontro frontale e la storia recente ha contribuito ad accentuare tale distanza, che infine si è trasformata in mutua ostilità. Il cosiddetto secolo dell’umiliazione ha giocato indubbiamente un ruolo fondamentale nell’aumentare la diffidenza di Pechino verso le potenze straniere, Stati Uniti ed Europa in particolare, e nel condizionare l’agenda interna ed esterna del Partito Comunista.

In Cina, la legge viene utilizzata come uno strumento politico per preservare l’ordine sociale per via dell’importanza storicamente rivestita dal concetto di continuità, mentre il modus operandi assolutistico del capo di turno ha più a che fare con una tradizione radicata, le cui origini si perdono nei millenni, che con l’ascesa del comunismo. In breve, i comunisti hanno ereditato un sistema già esistente basato sull’assolutismo, sulla centralizzazione, sulla burocratizzazione e sul rapporto stato-cittadino incardinato sulla sottomissione dell’ultimo. I recenti tentativi di ri-confucianizzazione della società sono la prova più evidente dell’attualità del concetto di continuità, che non è mai stato veramente abbandonato e ha aiutato la civiltà cinese a sopravvivere nei secoli, facendola tornare allo splendore dopo ogni trauma.

Inoltre, dovrebbe essere ricordato che la Cina ha manifestato avversione verso il sistema legalistico e sociale angloamericano sin dai primi contatti con il mondo anglosassone. Si tratta di un elemento non trascurabile. I semi della discordia sono sempre stati presenti e neanche il paragrafo repubblicano filo-occidentale ha potuto evitare che germogliassero e dessero frutti, nel 1949.

Gli Stati Uniti, d’altra parte, tendono ad interferire ovunque nel mondo come se fossero un poliziotto globale poiché si vedono e si considerano l’impero della libertà, il cui mandato (divino) è l’esportazione del proprio modo di vivere in tutto il mondo. L’interesse dell’amministrazione Trump verso la questione uigura e le proteste di Hong Kong è il migliore esempio di questa attitudine dura a morire.

Per via di queste ragioni si può sostenere che il disaccoppiamento, con annessa guerra fredda, fosse una semplicemente questione di tempo anche perché la rivoluzione diplomatica di Henry Kissinger non avvenne per via di simpatie nei confronti della Cina quanto per la necessità di contenere l’Unione Sovietica e mettere i due campioni del comunismo l’uno contro l’altro.
Lo storico avvicinamento non ha condotto alla sepoltura definitiva dei mutui sospetti e delle divergenze di fondo che, anzi, nel tempo hanno continuato a crescere fino al punto che Washington ha pensato di rivedere la propria agenda cinese, optando per l’inaugurazione di una nuova guerra fredda.


Note

[1] Trascrizione del Discorso d’Addio di George Washington, accessibile qui: https://www.ourdocuments.gov/doc.php?flash=false&doc=15&page=transcript

[2] Spiegazione del concetto di impero di libertà, accessibile qui: https://www.monticello.org/site/research-and-collections/empire-liberty-quotation

[3] Forbes Billionaires 2020, Forbes,

[4] Le ombre dell’occidente, La Repubblica, 22/07/1994

[5] Chen, Jianfu. Chinese Law: Towards an Understanding of Chinese Law, Its Nature and Development, The Hague, Kluwer Law International, 1999, cit. p. 22 13

[6] Ignazio Castellucci, “Rule of Law with Chinese Characteristics” (2007)

[7] Annual Survey of International & Comparative Law, 1-4

[8] Mai J., Five Chinese human rights lawyers, activists detained after secret gathering, South China Morning Post, 01/01/2020

[9] Giuliani F., La Cina continua la sua lotta all’islam, InsideOver, 14/10/2019

[10] Christian persecution in China, Open Door USA

[11] Scissors, D., Deng Undone, Foreign Affairs, 06/2009

[12] Kawase, K., Chinese state tightens grip 40 years after Deng’s reforms, Nikkei Asian Review, 12/12/2018

[13] Doffman, Z., Huawei Employees Linked To China’s Military And Intelligence, Reports Claim, Forbes, 06/07/2019

[14] Pietrobon, E., Guatemala 1954: Il golpe delle banane, Opinio Juris – Law and Politics Review, 04/05/2020


Foto copertina:Il presidente Donald Trump, a sinistra, incontra il presidente cinese Xi Jinping durante un incontro a margine del vertice del G-20 a Osaka, in Giappone, sabato 29 giugno 2019 (REUTERS/Kevin Lamarque/File Photo)


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