La guerra nella striscia di Gaza è anche una guerra contro le donne: fame, malattie, privazioni, morte sono il prezzo quotidiano da pagare per un conflitto che le donne non hanno scelto.
Introduzione
L’escalation di violenza che dilaga dagli attacchi del 7 ottobre non ha fatto altro che inasprire le condizioni disperate di oltre 2 milioni di persone che vivono nella prigione a cielo aperto di Gaza. I numeri sono impressionanti: secondo UN Women, a sei mesi dallo scoppio delle ostilità sono 10.000 le donne palestinesi uccise a Gaza, tra di loro si stima ci siano 6.000 madri, che lasciano orfani circa 19.000 bambini[1]. Le donne che sono sopravvissute ai bombardamenti Israeliani e alle operazioni di terra sono state sfollate, sono rimaste vedove e rischiano la fame.
L’arma della privazione
“A Gaza, noi (donne) non possiamo soddisfare le nostre più semplici e basilari esigenze: mangiare bene, bere acqua pulita, avere l’accesso ad un bagno, avere gli assorbenti, fare una doccia, … cambiarci i vestiti…”[2]
Il modo in cui questa guerra impatta la difficile sopravvivenza della popolazione civile, ed in questo caso delle donne, ha a che fare con la loro dignità di essere umani, che giornalmente viene calpestata, umiliata, derubata in un gioco di forza che sta producendo una delle pagine più tristi della storia contemporanea. C’è un aspetto ricorrente, una costante che non conosce né spazio né tempo, che possiamo trovare nelle numerose memorie di guerra del secolo scorso, nei diari di quelle donne che hanno vissuto non solo la devastazione che la guerra produceva materialmente intorno a loro, ma soprattutto quella che produceva dentro di loro. Ed ecco che in quelle case diroccate, in quei rifugi di fortuna, in quelle grotte scavate naturalmente dalle montagne, si affacciava un mostro silente, il loro peggior nemico: la fame. Un secolo dopo, a nord della striscia di Gaza, una ricercatrice di 32 anni, Mona Ameen, racconta come lei, la sua famiglia e i suoi amici, sono costretti a fronteggiare questa privazione: “È difficile qui. Ci si rivela a tutti, si perde la propria privacy e si perde se stessi. Per andare in bagno bisogna aspettare almeno un’ora, non è facile fare la doccia, né lavarsi i denti o i capelli. Penso molte volte prima di andare in bagno. Nei giorni normali a casa nostra bevevo quasi tre litri d’acqua al giorno. Ora bevo a sorsi dalla bottiglia in modo da non dover andare spesso in bagno. È il giorno 83 e rispondere ai propri bisogni primari è impossibile. Conseguire cibo, acqua e gli oggetti fondamentali richiede uno sforzo enorme. Quando mi guardo allo specchio vedo quanto è cambiato il mio aspetto, quanto sono dimagrita a causa della guerra e della mancanza di cibo. Non ti riconosci, ti senti come un’altra persona in un altro mondo.[3]”
Secondo Human Rights Watch, centinaia, migliaia di donne e bambini a Gaza sono morti per complicanze dovute alla malnutrizione da quando il governo di Israele ha iniziato a usare la fame come arma di guerra[4]. Il resoconto delle Nazioni Unite nel mese di marzo è altrettanto sconfortante[5]: secondo le statistiche, l’intera popolazione di Gaza, 2,3 milioni di persone, si troverà presto ad affrontare livelli acuti di insicurezza alimentare- il tasso più alto mai registrato. In aggiunta, un’indagine condotta da UN Women su 120 donne, ha rilevato come la maggioranza, l’84%, afferma che la propria famiglia mangia la metà o meno di quanto mangiava prima dell’inizio della guerra. Sebbene, in questo caso, siano le madri e le donne adulte ad avere il compito di procurare cibo per le proprie famiglie, sono anche quelle a mangiare per ultime e di meno. La maggior parte di queste donne ha riferito che almeno un membro della famiglia ha saltato i pasti per permettere agli altri, soprattutto i bambini, di mangiare. Nel 95% dei casi, a restare senza cibo sono proprio le madri, costrette alla ricerca di cibo sotto le macerie o nei cassonetti.
A Gaza manca tutto, dal cibo agli ospedali, passando per l’acqua. Molto prima del 7 ottobre, l’accesso ad acqua potabile era già limitato a Gaza, come risultato di decenni di occupazione israeliana. Prima del 7 ottobre, più di 1 milione di palestinesi non riceveva adeguati servizi igienico-sanitari e per l’82% dei residenti a Gaza (1.8 milioni di persone), la principale fonte di acqua potabile consisteva in quella trasportata dai camion. A Khan Yunis, i rifugi dell’UNRWA, progettati per ospitare 2.000 persone, ne contengono in realtà 20.000, con poca acqua corrente ed un solo bagno ogni 600 persone, rispetto allo standard minimo internazionale di un bagno ogni 20 persone[6].
Le donne a Gaza affrontano difficoltà di cui è difficile parlare apertamente, in una società tradizionale come la loro. La mancanza di acqua per lavarsi, bagni, assorbenti e carta igienica sono tra queste: “Non c’è gas per cucinare, manca il denaro per comprare qualsiasi cosa, non c’è abbastanza acqua per fare la doccia e lavarsi. Ho avuto le mestruazioni qualche giorno fa e non ho potuto lavarmi perché non c’è acqua, non ci sono assorbenti, non c’è niente.”[7]
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In uno scenario di crisi umanitaria così catastrofico, è difficile prestare attenzione ai dettagli, a queste micro-realtà che risultano, per chi le sperimenta sul proprio corpo, un problema in più da dover gestire. In questo modo, le donne e ragazze di Gaza devono ricorrere a metodi poco sicuri per occuparsi delle loro mestruazioni. Come riportato dalla Palestinian working Woman Society for Development, molte donne sono costrette ad alzarsi presto e fare la fila agli ospedali per poter lavarsi e usare il bagno[8]. Questo è particolarmente difficile per le donne incinte e per le donne che hanno partorito da poco e che affrontano settimane di perdite post partum. Alcune donne sfollate tagliano piccoli pezzi dalle tende su cui fanno affidamento per ripararsi dal freddo e dalla pioggia per usarli come sostituti degli assorbenti, rischiando però di contrarre infezioni; ancora, altre devono ricorrere all’uso della pillola anticoncezionale per bloccare il flusso mestruale in assenza di assorbenti.
Essere madri e dare la vita a Gaza
Al dramma quotidiano per la sopravvivenza, quello di chi lotta contro i bombardamenti, contro la carestia, le malattie e le infezioni che si propagano a causa dell’inquinamento idrico, si aggiunge il destino di quelle donne che sono chiamate al traguardo più importante: dare la vita. Si stima che a Gaza, siano 50.000 le donne incinte, con più di 180 che partoriscono ogni giorno. Ma come si può mettere al mondo una nuova vita mentre si rischia la propria? Su cosa si apriranno gli occhi di chi, prima ancora di poter avere la possibilità della vita ha quella della morte?
Partiamo da un dato significativo: secondo l’UNFPA, su 36 ospedali presenti sulla striscia, solo 12 sono parzialmente funzionanti e offrono servizi limitati[9]. Delle 180 donne che partoriscono ogni giorno a Gaza, si prevede che il 15% avrà bisogno di cure mediche aggiuntive a causa di complicazioni legate al parto. Vi è inoltre una grave carenza di farmaci, riserve sanguigne e forniture mediche, e il carburante viene severamente razionato nei restanti ospedali parzialmente funzionanti. A tal proposito, alcuni operatori sanitari di Gaza hanno dichiarato che alcune procedure chirurgiche, compresi i tagli cesarei, sono state condotte senza anestesia e talvolta senza elettricità.
Molte madri vengono dimesse subito dopo il parto (entro appena 3 ore dal parto), a causa della riduzione del numero di letti derivante dai danni agli ospedali. Alcune di loro devono partorire nei rifugi, nelle loro case, nelle strade tra le macerie o in strutture sanitarie sovraffollate, dove le condizioni igienico-sanitarie stanno peggiorando, e il rischio di infezione e di complicazioni mediche sono in aumento. Non c’è medico, ostetrica o infermiera per sostenere le donne durante il travaglio. Non esistono farmaci antidolorifici, anestesia, o materiale igienico quando le donne partoriscono. L’inquinamento idrico ed ambientale, inoltre, acuiscono le difficili condizioni in cui queste donne sono costrette a partorire. Un medico di Khan Younis descrive così questa realtà: “Oggigiorno le donne riferiscono molte più difficoltà nell’allattamento al seno; non solo sono emotivamente tormentate dalla guerra, dalla gravidanza e dalla nascita, ma devono allattare in queste condizioni impossibili. La diffusione della disidratazione, la minore assunzione di cibo e l’inquinamento ambientale stanno aumentando l’esposizione ad agenti patogeni presenti negli alimenti e nell’acqua e stanno diminuendo la resistenza alle infezioni. Stiamo già notando un aumento nelle donne e nei bambini che soffrono di disidratazione e diarrea. I neonati che non hanno accesso all’allattamento al seno – a causa dell’incapacità o della morte della madre- e devono usare la formula sono particolarmente esposti a causa del bisogno di utilizzare acqua pulita e sicura, che al momento è raramente disponibile a Gaza”[10].
Da non sottovalutare è lo stress psicologico e fisiologico cui sono sottoposte migliaia di donne in gravidanza: terrorizzate dalle complicazioni derivanti dalla guerra, dalla malnutrizione e dal dilagare di malattie. Hanno paura del trauma che stanno sperimentando e lo shock della perdita dei propri cari potrebbe essere la causa di parti prematuri. In più, la mancanza di servizi medico-sanitari inadeguati, non fa altro che incrementare stress e preoccupazioni.
Quale futuro per le giovani generazioni?
Il 21,8% della popolazione della striscia di Gaza e il 22.3% di quella della West Bank e di Gerusalemme est è composta da giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Da sempre e ovunque, la guerra è sinonimo di sogni infranti, di speranze distrutte, di tempo sospeso. Ma in quelle parti del mondo dove si lotta strenuamente per il riconoscimento di diritti umani fondamentali, per la garanzia di sistemi educativi che permettano alle future generazioni di avere un’alternativa, soprattutto per quanto concerne le possibilità di riscatto delle donne, la guerra non è solo sospensione della normalità ma è un passo indietro in questo cammino di conquista. Sebbene il 61% degli studenti iscritti agli istituti di istruzione superiore siano donne, la partecipazione femminile al mondo del lavoro è ancora molto bassa ed il divario occupazionale tra i due generi risulta essere molto vasto. Questo grazie anche alla struttura patriarcale della società, che l’occupazione israeliana nei fatti rafforza. Così le donne si trovano a combattere, per i loro diritti, su due fronti: da un lato si scontrano con l’occupazione israeliana, dall’altro con un sistema limitante e repressivo condotto da Hamas. Dall’inizio dell’aggressione, tutte le scuole nella striscia sono state chiuse, privando 608.000 di ragazzi in età scolare del loro diritto allo studio e mettendo a rischio il loro processo evolutivo. In questa cornice, le giovani donne devono fronteggiare l’impatto che questa crisi ha sulle dinamiche e relazioni di genere. Le donne temono sempre più che, alla luce della scarsità di cibo, della chiusura delle scuole e della perdita di opportunità educative, le famiglie ricorrano a meccanismi disperati per far fronte a questa condizione emergenziale, incluso il matrimonio precoce, soprattutto a causa dell’elevato numero di giovani ragazze che hanno perso uno o entrambi i genitori. Una giovane ragazza di 17 anni, sfollata a Khan Younis, è ben consapevole di cosa potrà riservarle il futuro: “I was always an A+ student in my school… What else is there to do in Gaza for a girl?! Now, I am just sitting around … I am afraid that, with time, my parents will use the pretext of the overall insecurity and the closure of schools, as well as our status as strangers in the community, to have me married.[11]”
Note
[1] UN Women, Scarcity and Fear: A Gender Analysis of the Impact of the War in Gaza on Vital Services Essential to Women’s and Girls’ Health, Safety, and Dignity – Water, Sanitation and Hygiene (WASH), April 2024
[2] https://www.unwomen.org/sites/default/files/2024-04/gender-alert-gender-analysis-of-the-impact-of-the-war-in-gaza-on-vital-services-essential-to-womens-and-girls-health-safety-en.pdf
[3] «Teneteci nelle vostre preghiere». Racconti intermittenti da Gaza – Q Code Magazine
[4] https://www.hrw.org/news/2024/04/09/gaza-israels-imposed-starvation-deadly-children
[5] UN Women, Scarcity and Fear: A Gender Analysis of the Impact of the War in Gaza on Vital Services Essential to Women’s and Girls’ Health, Safety, and Dignity – Water, Sanitation and Hygiene (WASH), April 2024
[6] https://news.un.org/en/story/2024/03/1147342
[7] «Teneteci nelle vostre preghiere». Racconti intermittenti da Gaza – Q Code Magazine
[8] https://pwwsd.org/uploads/1705325414857122980.pdf
[9] UNFPA Palestine Situation Report #6 – 1 March, 2024
[10] UN Women, Scarcity and Fear: A Gender Analysis of the Impact of the War in Gaza on Vital Services
[11] UN Women, Gender Alert: The Gendered Impact of the Crisis in Gaza, January 2024
Foto copertina: essere donna a Gaza