Il declino dell’influenza statunitense su Israele. Quali premesse e prospettive per la pace in Medio Oriente?
Desirèe Di Marco*
Salgono a più di settemila i morti a Gaza. Cento nei Territori Occupati.
Queste vittime si aggiungono alle decine di migliaia che pesano sul progetto coloniale israeliano. Questo, pensato più di un secolo fa, oggi è messo in atto con più forza che mai. Il lasso di tempo è breve per evitare di ripetere gli errori del passato e spingere il Medio Oriente verso altra morte, violenza e distruzione.
La situazione attuale
Gli attacchi aerei israeliani hanno costretto il 70%[1] della popolazione di Gaza a fuggire dalle proprie case. I 2,3 milioni di abitanti della striscia sono rimasti senza cibo, acqua, medicinali e carburante e i convogli di aiuti umanitari autorizzati ad entrare hanno trasportato solo una frazione del necessario. l bombardamenti vanno avanti senza sosta dal 7 ottobre.
La situazione è catastrofica[2]. Oxfam afferma che tenere una popolazione in uno stato di fame e carestia è un’arma di guerra[3]contraria al diritto internazionale. A farne le spese sono soprattutto i più deboli, i bambini. Mohammad Ziyara, – Ministro palestinese dei lavori pubblici e delle abitazioni – ha dichiarato che i bombardamenti hanno “cancellato intere famiglie dal registro civile”, così come “quartieri e comunità residenziali”.
L’esercito israeliano ha distrutto almeno il 45% di tutte le unità abitative di Gaza. Tra le aree più colpite ci sono Beit Hanoon, Beit Lahiya, Shujaiya, i quartieri intorno al campo profughi di Shati e Abasan al-Kabira a Khan Younis. Gli ospedali sono al collasso, l’acqua potabile scarseggia e l’elettricità è stata tagliata.
Alcune importanti premesse
Dal 2007 Israele ha mantenuto sotto assedio lo spazio aereo e le acque territoriali di Gaza. Dopo quattro assalti militari iniziati nel 2008, 2012, 2014 e 2021, immaginare una ricostruzione è praticamente impossibile. Tel Aviv nega ai materiali da costruzione, come acciaio e cemento, di raggiungere la Striscia.
L’assalto del 2008 ha comportato l’uso di armi vietate a livello internazionale, come il gas fosforo. Nel 2014, nell’arco di 50 giorni, Israele ha ucciso più di 2.100 palestinesi, tra cui 1.462 civili e quasi 500 bambini.
Durante l’assalto, chiamato dagli israeliani Protective Edge Operation[4], circa 11.000 palestinesi sono stati feriti, 20.000 case sono state distrutte e mezzo milione di persone sfollate.
E il restante dei paesi e governi arabi? Purtroppo, la maggioranza dei governi arabi non è riuscita ad utilizzare le proprie risorse e il proprio peso economico e politico al fine di rimuovere l’assedio su Gaza e assicurare un cessate il fuoco definitivo.
La Lega degli Stati Arabi non ha saputo affrontare con forza il blocco imposto a Gaza e non ha compreso totalmente che strumentalizzare la fame a metodo di guerra costituisce un crimine contro l’umanità. Ad oggi le risoluzioni della Lega degli Stati Arabi sono deboli. I paesi non riescono a raggiungere una posizione univoca e forte.
Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Occidente: concerto di dissensi
Stati Uniti[5] ed Europa con Israele. Cina, Russia, Iran ed Emirati Arabi Uniti con la Palestina.
Le Nazioni Unite sono spaccate tra veti e risoluzioni fallite: la Russia e la Cina, insieme ad Emirati Arabi Uniti e Brasile, hanno posto il veto mercoledì ad una risoluzione degli Stati Uniti. Questa – condotta senza nessuna consultazione con le altre missioni e rappresentanze del Consiglio di Sicurezza – parlava di “pausa umanitaria”.
Le pause umanitarie sono però diverse dai cessate il fuoco. Meno effettive perché possono essere previste anche per poche ore e non garantiscono una tregua duratura.
“La bozza non riflette gli appelli per un cessate il fuoco,[6]” ha dichiarato l’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite Zhang Jun al Consiglio dopo il voto. “In questo momento, il cessate il fuoco non è solo un termine diplomatico. Significa la vita e la morte di molti civili”.
Dopo il fallimento della risoluzione statunitense, il Consiglio di Sicurezza ha votato un testo elaborato dalla Russia che chiedeva un cessate il fuoco immediato e il ritiro dell’ordine da parte di Israele ai civili di Gaza di trasferirsi a sud. La risoluzione ha ricevuto soltanto quattro voti[7].
I paesi arabi e la Turchia tra precari equilibri geopolitici
Gli Emirati Arabi Uniti, la Giordania, il Bahrein, l’Arabia Saudita, l’Oman, il Qatar, il Kuwait, l’Egitto e il Marocco hanno condannato l’attacco ai civili e le violazioni del diritto internazionale a Gaza.
Qui ad oggi otto paesi: Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Giordania e Tunisia, si sono attivati con aiuti umanitari, così come il Ruanda e l’Iran[8] che ha avvertito di una possibile azione “preventiva” contro Israele. Anche l’Iraq con le Forze di Mobilitazione Popolare ha dichiarato di essere pronto ad intervenire nel caso in cui gli attacchi a Gaza dovessero persistere. Hezbollah dal Libano ha già lanciato alcuni razzi contro Israele. Il rischio che il conflitto si estenda oltre i confini della Striscia è alto.
Uno dei pochi paesi che ha contatti diretti sia con Hamas che con Israele è la Turchia. Il Paese vorrebbe negoziare una pace duratura, forte del fatto che ha mantenuto nel corso degli anni un buon canale di comunicazione con Hamas, mai definito “gruppo terroristico” ma gruppo di liberazione che lotta per proteggere il territorio palestinese. Allo stesso tempo però il Presidente turco Erdogan ha cercato di mantenere un dialogo e un rapporto anche con Israele, ma con delle limitazioni.
Ankara e Tel Aviv non si sono mai potute confrontare apertamente sulla questione dell’occupazione e della condizione dei civili palestinesi. Se non c’è dialogo su questo non ci può essere azione e né tanto meno mediazione. A conferma di ciò, arriva oggi la notizia da parte di Erdogan di aver cancellato[9] una visita in Israele precedentemente programmata. Questo fa pensare ad una possibile inclinazione dei rapporti.
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Israele e Stati Uniti: una relazione in mutamento
Anche i rapporti tra Stati Uniti e Israele sono in mutamento. Il peso e l’influenza che gli Stati Uniti pensavano di esercitare sul paese è molto minore del previsto, o di quello che si immaginavano. Israele ha silenziosamente cercato, e forse ottenuto, un’ampia autonomia dal suo mezzo secolo di dipendenza dagli Stati Uniti. Tel Aviv non ha più bisogno di garanzie di sicurezza americane per proteggersi dagli Stati vicini (vedi processo di normalizzazione). Né ritiene di aver bisogno della mediazione americana nell’attuale conflitto a Gaza e in Palestina in generale.
Un tempo dipendente dai trasferimenti di armi americane, Israele ora produce internamente molte delle sue armi. E’ diventato un paese più autosufficiente anche dal punto di vista diplomatico, coltivando alleati indipendenti da Washington. Anche culturalmente, gli israeliani sono meno sensibili all’approvazione americana e fanno meno pressione sui loro leader per mantenere una buona reputazione a Washington.
Conclusione
Cosa succederà al futuro delle relazioni arabo-israeliane? Quali decisioni prenderanno insieme agli altri leader mondiali per raggiungere la pace in Palestina? Il processo di normalizzazione dei rapporti con Israele riprenderà?
La posizione degli Stati Uniti come unica superpotenza mondiale è decisamente in declino, e di conseguenza i suoi alleati agiscono in modo più autonomo, assumendo posizioni più assertive e bilanciando i loro legami con altre potenze. Ovviamente gli Stati Uniti rimangono uno dei paesi più potenti ma oggi hanno una sfida in più da affrontare: Israele.
Una sfida non solo per gli Stati Uniti, ma anche per i 22 paesi arabi che oggi sono impotenti davanti al disastro palestinese.
Note
[1] «Horrific scenes’ as dozens of bodies found in Israel’s Kfar Aza near Gaza», Al Jazeera, 11 ottobre 2023, consultato al link: https://www.aljazeera.com/news/2023/10/11/horrific-scenes-as-dozens-of-bodies-found-in-israels-kfar-aza-near
[2] «In Palestine, even the olives are bleeding…», Middle East Monitor, 27 ottobre 2023, consultato al link: https://www.middleeastmonitor.com/20231027-in-palestine-even-the-olives-are-bleeding/ (27 ottobre)
[3] «Starvation used as a ‘weapon of war’ in Gaza amid Israeli siege: Oxfam», Al Jazeera, 25 ottobre 2023, consultato al link: https://www.aljazeera.com/news/2023/10/25/starvation-used-as-a-weapon-of-war-on-civilians-in-gaza-oxfam (26 ottobre)
[4] «The Gaza Strip: Under siege, at war with Israel»,, Al Jazeera, 27 ottobre 2023, consultato al link: https://www.aljazeera.com/gallery/2023/10/27/the-gaza-strip-under-siege-at-war (27 ottobre 2023)
[5] «US military support to Israel: What and how?», Andadolu Agency, 26 ottobre 2023, consultato al link: https://www.middleeastmonitor.com/20231026-us-military-support-to-israel-what-and-how/ (26 ottobre 2023)
[6] «US vetoes UN resolution calling for humanitarian pause in Israel-Hamas war», Al Jazeera, 18 ottobre 2023, consultato al link: https://www.aljazeera.com/news/2023/10/18/us-vetoes-un-resolution-calling-for-humanitarian-pause-in-israel-hamas-war (18 ottobre 2023)
[7]«Two more resolutions to halt Israel-Gaza war fail at UN Security Council», Al Jazeera, 26 ottobre 2023 consultato al link: https://www.aljazeera.com/news/2023/10/26/two-more-resolutions-to-end-gaza-violence-fail-at-un-security-council (26ottobre 2023)
[8] «Iran warns Israel of regional escalation if Gaza ground offensive launched», Al Jazeera, 15 ottobre 2023, consultato al link: https://www.aljazeera.com/news/2023/10/15/iran-warns-israel-of-regional-escalation-if-gaza-ground-offensive-launched (15 ottobre 2023)
[9] T. Gumrukcu., H. Hayatsever, «Turkey’s Erdogan says Hamas is not terrorist organisation, cancels trip to Israel», Reuters, 25 ottobre 2023, consultato al link: https://www.reuters.com/world/middle-east/turkeys-erdogan-says-hamas-is-not-terrorist-organisation-2023-10-25/ (26 ottobre 2023)
Foto copertina: Gaza
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