[dropcap]La storia [/dropcap]di uno dei tanti colpi di stato orchestrati dalla United Fruit Company in America latina, sicuramente il più celebre, per rovesciare un governo democraticamente eletto che mirava a recuperare la sovranità perduta. Le lezioni sono valide ancora oggi.
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Stati Uniti, 1899. La Belle Époque volge al termine ed il nuovo secolo è alle porte. Il 1900 sarebbe passato alla storia come il secolo breve, delle guerre mondiali, e della guerra fredda, ma all’epoca era troppo presto per sapere tutto questo.
Quell’anno, a Boston, due imprese leader dell’industria bananifera decidono di fondersi: la Tropical Trading and Transport Company di Henry Meiggs e la Boston Fruit Company di Lorenzo Dow Baker e di Andrew Preston. Da quella fusione nacque la United Fruit Company (UFC), un gigante in divenire già in possesso di decine di migliaia di acri di terra fra Costarica, Guatemala, Belize, che negli anni avrebbe trasformato la cintura mesoamericana in un proprio dominio, controllando elezioni politiche, appalti, forze armate e addirittura provvedendo alla realizzazione di stati sociali primordiali.[1]
Quest’ultimo punto, però, non deve trarre il lettore in inganno, perché la UFC non era interessata al benessere delle popolazioni, e neanche dei lavoratori, quanto alla ricerca di consenso, anche se esiguo. È la brutalità, infatti, ad aver tradizionalmente caratterizzato l’operato della compagnia nell’America latina.
Honduras, 1910-12. La UFC acquista un piccolo esercito di mercenari per aiutare il generale golpista Manuel Bonilla a rovesciare il governo legittimo del presidente Miguel Davila. L’operazione ha successo, le violenze spingono Davila a rinunciare ai propri poteri e ritirarsi a vita privata.
Colombia, 1928. Un campo di lavoro a Ciénaga è paralizzato dai lavoratori in sciopero, che chiedono il miglioramento delle condizioni salariali e di vita. La UFC non ha intenzione di cedere e ordina alle forze armate di sparare sugli scioperanti: una strage con più di 100 morti, passata alla storia come il “massacro delle banane”.
Negli anni ’30, con l’arrivo di Samuel Zemurrey alla guida della compagnia, la morsa della UFC sulle terre latinoamericane iniziò a consolidarsi ulteriormente ed un’attenzione particolare fu rivolta al ribelle Guatemala.
“L’America Latina era il cortile di casa degli Stati Uniti, e la UFC il giardiniere che tagliava le erbacce”
La UFC controllava il paese sin dalla fine dell’Ottocento insieme ad un altro gigante privato statunitense, l’International Railways of Central America (IRCA). La prima controllava l’economia nazionale, dipendente dalle esportazioni di banane, la seconda monopolizzava la rete infrastrutturale, da essa costruita e gestita. Tutte e due, con i capitali ed il potere a disposizione, decidevano le sorti politiche del paese sin dalla fine del secolo precedente.
Negli anni ’40, però, qualcosa si spezzò: la rabbia popolare verso la feroce dittatura militare di Jorge Ubico, al potere sin dal 1931 grazie alla UFC, si trasformò in una rivoluzione, appoggiata dalle forze armate. Il brutale regime capitolò e l’esercito prese in carico il fardello della transizione democratica, di guidare il paese verso le elezioni libere.
Le elezioni del 1944 videro la vittoria di un simpatizzante socialista, Juan José Arévalo Bermejo, e quelle successive, del 1951, di un suo discepolo, Jacobo Arbenz Guzman. La presidenza di Arévalo non fu facile: furono 30 i progetti golpisti scoperti nell’arco dei sei anni, dei quali almeno 11 direttamente pianificati dalla UFC. Su Arbenz ricadeva il compito di ultimare l’opera iniziata dal predecessore: spezzare il duopolio UFC-IRCA.
Furono istituite alcune compagnie pubbliche per rivaleggiare con i giganti statunitensi, i cui interessi toccavano anche l’energia e le telecomunicazioni, ponendo una grave minaccia alla sicurezza nazionale. Quali fossero le intenzioni di Arbenz era chiaro: sovranità. Ma la UFC iniziò a diffondere un’altra teoria: Arbenz sognava il comunismo. Questo fu ciò che iniziò a ripetere a mezzo stampa, al mondo politico e all’opinione pubblica statunitensi Edward Bernays, il padre fondatore dell’ingegneria del consenso ed il primo “spin doctor” del pianeta – o, almeno, il primo ad avere successo.
Bernays aveva già lavorato per la UFC, occupandosi di curare una strategia commerciale per incrementare le vendite negli Stati Uniti. La sua ricetta, basata sull’utilizzo di personaggi pubblici negli spot commerciali e lo sventolamento di presunte ricerche scientifiche dimostranti gli effetti benefici delle banane per il corpo e la mente, ebbe successo e Zemurray lo richiamò.
Lo spin doctor scrisse il celebre “Rapporto sul Guatemala”, un libro-inchiesta su Arbenz ed il suo presunto progetto sovietista, che da Zemurray fu stampato e distribuito ad ogni singolo membro del Congresso. Le più importanti testate giornalistiche del paese, come il New York Times e il Washington Post, furono invase da messaggi di presunti informatori e spie provenienti dal Guatemala, ognuno denunciante la rivoluzione bolscevica alle porte.
Ma la UFC lavorò duramente anche per convincere la CIA del pericolo rosso rappresentato da Arbenz e il fatto che il paese fosse in pieno clima maccartista senz’altro contribuì a far cadere l’allora direttore, Allen Dulles, nel tranello. L’agenzia iniziò a lavorare ad un cambio di regime nel 1953, l’operazione fu ribattezzata PBSUCCESS.
Fu contattato Castillo Armas, un militare di alto grado esiliato da Arévalo, per guidare l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), una forza paramilitare composta da mercenari che sarebbe entrata in piena operatività nel corso del colpo di stato. La flotta della UFC fu utilizzata per trasportare armi acquistate in Europa occidentale in Guatemala.
Fu istituita una stazione radiofonica, la Voce della Liberazione, che iniziò a trasmettere messaggi alla popolazione guatemalteca, mettendola a conoscenza dell’esistenza dell’ELN e dei presunti piani di Arbenz, “l’uomo di Stalin in America latina”.
Fu messa in moto una campagna di guerra informativa e psicologica all’avanguardia, antesignana delle guerre ibride contemporanee: diffusione costante di bufale, affissione di manifesti anticomunisti per le strade, corruzione di politici e giornalisti affinché ripetessero le istruzioni di Bernays al popolo. Tutto ciò accadde sullo sfondo di forti e crescenti pressioni a livello internazionale: diversi paesi ruppero le relazioni bilaterali con il Guatemala e il ritrovamento di armi di produzione sovietica lungo le coste nicaraguensi e honduregne fu utilizzato per dare credibilità alle accuse.
Le armi furono in realtà fabbricate dalla CIA e Honduras e Nicaragua stavano attivamente collaborando all’operazione PBSUCCESS, avendo allestito campi d’addestramento per l’ELN e consentito alla Voce della liberazione di utilizzare le proprie strutture per trasmettere in Guatemala.
Intanto, UFC e IRLA stavano tentando di spingere il popolo all’insurrezione. Sfruttarono il monopolio nei trasporti e nelle comunicazioni via terra e via mare per isolare il paese, bloccando completamente l’import-export e paralizzando l’economia. Ciò nonostante, la società civile non scese in strada, Arbenz godeva di un vasto supporto popolare.
Si optò, quindi, per l’attivazione dell’ELN. L’esercito partì dalle basi honduregne e nicaraguensi in giugno, aiutato dalla copertura aerea fornita da velivoli militari statunitensi con la bandiera oscurata. L’immobilismo di Arbenz, che rifiutò ogni consiglio delle forze armate e che fu probabilmente dettato dalla paura, fu considerato alla stregua di un tradimento. I militari si congedarono, permettendo all’ELN di deporre il presidente e di stabilire un nuovo governo, guidato da Armas.
La felicità in casa UFC, però, durò molto poco: il malcontento fra forze armate e popolazione era elevato, e l’agenda politica di Armas, svuotata di ogni contenuto teso al benessere della collettività e totalmente dettata dalla compagnia, esacerbò il clima. Armas fu ucciso da un nostalgico arevalista il 26 luglio 1957. Fu il preludio di quel che sarebbe accaduto tre anni dopo: lo scoppio di una delle più tremende guerre civili del Novecento, durata sino al 1996 e causa di 200mila morti.
La violenza costrinse la UFC a cessare le operazioni in Guatemala, ma altri paesi, sulla scia di quanto successo, iniziarono a premunirsi e limitare il raggio d’azione della compagnia al loro interno: Costarica, Ecuador e Cuba, prossima alla rivoluzione.
I profitti della UFC furono ulteriormente limitati negli anni seguenti, per via della caduta nell’instabilità dell’intero subcontinente, e i vertici decisero infine di scioglierla per via della fama negativa conquistata. Nacque così la Chiquita Brands International, ma non finirono le pratiche sovversive: appoggio all’opposizione anti-castrista, finanziamento della guerra civile colombiana, scrittura del colpo di stato in Honduras nel 2009, e molto altro.
Conoscere la storia della UFC è importante perché aiuta a comprendere l’importanza di avere un’economia nazionale forte e non dipendente dal capitale straniero. Le grandi corporazioni multinazionali possono essere al tempo stesso fonte di guadagno e causa di colonizzazione economica ed è raro che le loro agende non contemplino, anche solo in minima parte, la seconda. La massimizzazione del profitto e la necessità di mantenere domini monopolistici od oligopolistici portano inevitabilmente all’adozione di pratiche imperialistiche e questo dapprima dell’ascesa della UFC; si pensi ad esempio al ruolo giocato dalla Compagnia delle Indie nel consentire alla corona britannica di estendersi nell’Asia meridionale.
Le guerre economiche non si combattono soltanto attraverso embarghi, dazi e sanzioni, ma anche con le multinazionali e se la loro pericolosità era elevata già ai tempi del colonialismo britannico e nella prima metà del Novecento, oggi, nell’era dell’iper-globalizzazione e dell’interdipendenza economica, il loro potenziale è ancora più distruttivo e difendersi è estremamente difficile.
Note
[1]L’intero articolo è basato su un capitolo del seguente libro: Emanuel Pietrobon, L’arte della guerra segreta, Amazon Kindle Publishing, 2020
Foto copertina: WarHistoryOnline
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