I rapporti tra Unione europea e Turchia: un difficoltoso dialogo con Ankara


Negli ultimi anni la Turchia si è sempre più allontanata dall’Unione europea a causa della svolta autoritaria di Erdoğan, del contrasto con alcuni Stati membri, del labile rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto suscitando dissenso a livello internazionale.


 

La Turchia ha iniziato ad intrattenere dei rapporti con la Comunità Economica Europea (CEE) già negli anni ’60. Nel 1963, infatti, con l’accordo di Ankara e con il Protocollo addizionale del 1970 si sono fissati gli obiettivi fondamentali della loro associazione, il rinforzo delle relazioni commerciali ed economiche e l’instaurazione dell’unione doganale in tre fasi[1] stabilita poi nel 1995.

Tuttavia, durante gli anni ’80 il colpo di Stato e l’irrisolto contenzioso territoriale con la Repubblica di Cipro hanno segnato un periodo di pausa dei rapporti. Solo nel 1987 la Turchia ha deposto la domanda di adesione alla CEE tradottasi nel 1999 nell’acquisizione dello status di candidato grazie al Consiglio europeo riunito in quell’anno ad Helsinki. Il Paese ha cercato di soddisfare i criteri di Copenaghen, sulla base di quanto previsto dall’art. 2 e dell’art. 49 TUE. Diverse sono state le riforme per conformarsi soprattutto al criterio politico che prevede la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela[2].

Dietro suggerimento della Commissione europea, il Consiglio europeo ha avviato nel 2005 i negoziati per l’adesione. Dei trentacinque capitoli ne sono stati aperti tredici e solamente quello riguardante la scienza e la ricerca è stato chiuso. La svolta autoritaria di Erdoğan ha paralizzato il processo di adesione. Le opposizioni, già esistenti a livello europeo, si sono riaffermate con forza. La Turchia non si trova interamente nel continente europeo. È, infatti, uno Stato cerniera tra Europa e Asia, nonché un anello di congiunzione con il Medio Oriente. In secondo luogo, l’aspetto religioso è tenuto in considerazione. Se entrasse nell’UE la popolazione musulmana passerebbe dal 5% al 20%. Si tratta poi di uno dei Paesi più popolosi d’Europa, cosa che potrebbe tradursi in un peso politico maggiore rispetto a quello degli Stati europei più forti. Confina con Stati estremamente instabili e questo condurrebbe l’UE a dover far fronte a nuovi problemi. Infine, la Turchia ha preso sempre più le distanze dai valori europei e ha continuato a retrocedere nel campo dello Stato di diritto. Recentemente, i deputati del Parlamento europeo hanno criticato le riforme istituzionali regressive del Paese e sono allarmati dal consolidamento di “un’interpretazione autoritaria del sistema presidenziale”, dalla mancanza di indipendenza del potere giudiziario e dalla “continua ipercentralizzazione del potere nella presidenza”[3].

Un iniziale appoggio

L’appoggio dell’Occidente, in particolare di Unione europea e Stati Uniti nei confronti della leadership di Erdoğan, esponente del partito della Giustizia e dello Sviluppo, inizialmente è stato forte per una serie di ragioni. In primo luogo, il leader turco è stato particolarmente abile nel proporsi come una soluzione moderata non mettendo sin da subito in discussione l’alleanza con gli Stati Uniti né lo sviluppo in chiave capitalista dell’economia turca, prendendo le distanze così dall’altro grande leader ideologico e spirituale dell’AKP rappresentato da Fethullah Gülen, un religioso sunnita dalle idee più radicali, oggi rifugiato in America. Erdoğan è stato considerato in un primo momento come colui che avrebbe inserito le componenti islamiche della società turca nel modello istituzionale del Paese e che avrebbe condotto la Turchia più vicina all’Unione europea. Si trattava di un islam più sociale che politico. Dal 2016 si è avuto un cambiamento. Dopo il colpo di Stato Erdoğan ha meglio concentrato l’immagine della Turchia sulla proiezione di un culto della personalità e sulla realizzazione di una sorta di nuovo imperialismo turco.

Una politica estera ostile verso due Stati membri dell’UE

Il contrasto della Turchia con Grecia e Cipro, due Stati membri dell’UE allontana sempre di più il Paese dall’Organizzazione. Erdoğan ha realizzato una politica aggressiva nei confronti dello Stato ellenico con cui ha problemi per la divisione delle rispettive zone marittime e per le questioni che riguardano la scoperta di eventuali giacimenti petroliferi e gas naturale nel Mediterraneo Orientale. I rapporti pessimi tra i due, inaspriti dalla politica interna di “turchizzazione” a svantaggio delle minoranze, tra cui proprio quella greca, trovano le loro radici nel secolo scorso. Le isole nel Mar Egeo, attribuite all’Italia per la vittoria contro l’impero ottomano nella guerra coloniale per la Libia nel 1911-1912, sono parte della Grecia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Sebbene di fatto abitate da greci, si trovano a pochi chilometri dalla costa turca costituendo una minaccia per il Paese che si aggiunge alle periodiche rivendicazioni di sovranità sull’Egeo. Inoltre, la questione di Cipro resta un nodo irrisolto. La secessione dell’isola è avvenuta nel 1974 quando le forze militari turche, ancora oggi presenti, ne hanno invaso la parte settentrionale che è sede della Repubblica Turca di Cipro Nord, internazionalmente riconosciuta solo dalla Turchia. L’occupazione militare è stata condannata dall’ONU con la risoluzione n. 541 del 1983. Cipro è entrata nella Ue nel 2004 nella sua interezza, seppure il governo non possa esercitare la propria legittima sovranità sulla parte occupata. Alcune settimane prima, il piano di riunificazione proposto da Kofi Annan, l’allora Segretario generale dell’ONU, approvato dai turco-ciprioti, è stato bocciato dai greco-ciprioti che vi hanno riscontrato, tra i vari punti controversi, il tentativo di concedere una sovranità sostanzialmente di diritto all’area turco-cipriota occupata da Ankara[4]. Sono preoccupanti le azioni illegali che continuano ad essere condotte sull’isola.

I flussi migratori

Erdoğan si è trovato ben presto in una posizione di forza, anche grazie al ruolo che la Turchia ha avuto per contenere gli effetti della primavera araba e delle guerre civili scoppiate in Iraq dopo il 2003 e in Siria dopo il 2012. Accoglie oggi un numero cospicuo di rifugiati siriani sotto finanziamento europeo. L’accordo stretto fra UE e Turchia nel marzo del 2016, nato con l’esplicito obiettivo di bloccare i migranti in Grecia per poi rispedirli indietro verso lo Stato turco, ha fatto sì che il numero di coloro che sono entrati in Europa illegalmente è diminuito in modo significativo. Criticatissimo dalle associazioni per i diritti umani, è stato firmato in un momento particolarmente drammatico in cui, da almeno un anno, decine di migliaia di persone tentavano di raggiungere le isole greche imbarcandosi su mezzi di fortuna dalla vicina costa turca. Sono morti a centinaia affogati quando le acque inquiete del mare Egeo si sono increspate rovesciando i gommoni stracolmi organizzati da trafficanti di esseri umani[5]. Nonostante gli ostacoli iniziali sorti a seguito delle lamentele di Erdoğan circa la mancata ricezione di tutti i fondi promessi e la conseguente dichiarazione di apertura dei confini della Turchia per i migranti che volessero tentare di arrivare sul territorio dell’Unione europea, l’accordo è stato rinnovato. I vantaggi per entrambi i soggetti sono senza dubbio consistenti.

Diritti umani

Si sta assistendo ad un peggioramento della situazione anche sul piano del rispetto dei diritti umani. La Turchia ha annunciato la sua uscita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota più semplicemente come Convenzione di Istanbul che, firmata nel 2011 ed entrata in vigore nel 2014, definisce per la prima volta la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e come una forma di discriminazione di genere[6] prevedendo un meccanismo di controllo specifico per verificare il rispetto delle norme in essa contenute. Il governo ha dichiarato che verrà assicurata la difesa dei diritti delle donne attraverso l’implementazione di leggi adottate però a livello nazionale, tenendo in considerazione anche la tradizione islamica. Questa scelta risiede nell’avversione nei confronti delle persone LGBT+ e verso il concetto di gender. I conservatori e gli esponenti religiosi hanno sempre mostrato un atteggiamento ostile verso questa Convenzione che è ritenuta contraria alle norme dell’islam e volta ad incoraggiare divorzio e omosessualità. Il vicepresidente turco, Fiat Oktay, commentando la decisione del ritiro dalla Convenzione ha scritto su Twitter che la soluzione per “elevare la dignità delle donne turche” sta “nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi”, non nell’imitazione di esempi esterni[7]. In più, come evidenziato da Amnesty International, i diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica sono stati fortemente limitati e le persone considerate critiche nei confronti dell’attuale governo, in particolare giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani, sono state detenute o hanno dovuto affrontare accuse penali inventate. Permangono poi i difficili rapporti con i curdi, il popolo più numeroso al mondo a non avere uno Stato, ancora divisi tra Turchia, Siria e Iran, e Iraq.

Immagine internazionale

Emblematico simbolo dei rapporti tra Turchia e Unione europea è rappresentato dall’incidente diplomatico noto come “sofagate” in occasione dell’incontro ad Ankara durante il quale la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è stata inizialmente lasciata in piedi e poi fatta accomodare su un divano. Il leader turco ha riservato invece la sedia alla sua destra al presidente del Consiglio europeo Charles Michel. L’episodio ha destato scalpore ed è stato considerato come una scortesia voluta, considerando che nel 2015 Jean-Claude Juncker si è seduto accanto ad Erdoğan. In termini di protocollo, ha sottolineato il portavoce dell’esecutivo UE, Eric Mamer, i “presidenti della Commissione e del Consiglio europeo sono trattati nello stesso modo”[8]. In seguito all’accaduto, il primo ministro italiano Mario Draghi ha definito Erdoğan un dittatore di cui si ha bisogno per collaborare al fine di perseguire gli interessi dell’Italia pur ribadendo, al contempo, la necessità di essere franchi nell’esprimere la diversità di visione.

Queste affermazioni hanno dato luogo ad uno scontro diplomatico tra Italia e Turchia con la convocazione dell’ambasciatore italiano. Dal canto suo, Biden, il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha mandato un chiaro messaggio alla Turchia, riconoscendo il genocidio degli armeni. Attualmente lo Stato turco non ha effettuato alcun tipo di riconoscimento e l’articolo 301 del suo codice penale prevede di perseguire chi ne parla pubblicamente definendo l’episodio un genocidio. Il premio Nobel Orhan Pamuk che ha fatto delle dichiarazioni a una rivista svizzera su quanto accaduto ai curdi tra 1915-1916 è stato oggetto nel 2005 di un processo con l’accusa di vilipendio dell’identità nazionale, poi ritirato nel 2006.

Conclusioni

Nonostante questo forte arretramento sul piano della democrazia, la necessità di instaurare un rapporto di buon vicinato tra i due resta essenziale. D’altronde Erdoğan presenta il Paese come un elemento di stabilità per i flussi migratori, questione che obbliga l’Unione europea a dovervi interloquire.

I tentativi provenienti principalmente dall’asse franco-tedesco, di proporre alla Turchia una partnership privilegiata in luogo della piena membership, sono stati fermamente rigettati da Ankara, che non contempla altra alternativa rispetto alla piena partecipazione all’Unione[9]. Si spera che in futuro le relazioni possano migliorare, altrimenti la Commissione europea potrebbe addirittura raccomandare la sospensione formale dei negoziati di adesione. È una situazione complicata che fin quando Erdoğan governerà sarà di difficile risoluzione.


Note

[1] Wikipedia, Adesione della Turchia all’Unione europea.
[2] Wikipedia, I criteri di Copenaghen
[3] “Le relazioni UE-Turchia sono al minimo storico”, Parlamento europeo, comunicato stampa,  19 maggio 2021.
[4] “Greci e Turchi tra convivenza e scontro. Le relazioni greco-turche e la questione cipriota”, Vincenzo Greco, prefazione di Antonio Varsori, recensione di Ninni Radicini, ed. Franco Angeli, pag.398, 2007
[5] “L’accordo sui migranti a cui UE e Turchia non intendono rinunciare”, Treccani, 26 marzo 2020
[6] v. art. 3: “Ai fini della presente Convenzione: a. con l’espressione «violenza nei confronti delle donne» si intende designare una violazione dei diritti dell’uomo e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; […]”.
[7] “La Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne”, Il Post, 20 marzo 2021.      
[8] “Draghi: ‘Erdogan un dittatore’. Weber: ‘Ha ragione, la Turchia non è libera’”, ANSA, 9 aprile 2021.
[9] “La Turchia e l’Unione europea”, Treccani.


Foto copertina: Immagine web

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