Realtà detentiva tra responsabilità e società della coscienza: la nuova rubrica di Opinio Juris
A cura di Barbara Minicozzi e Lucrezia Fortuna
Perché una rubrica sul carcere e la pena?
Un tema scottante, provocatorio ma di estrema attualità. Opinio Juris area Società lancia una nuova rubrica intitolata “Il carcere e la pena”.
Perché una rubrica sul carcere? Una frase che, pur abusata, resta vera è quella del padre dell’Illuminismo settecentesco, Voltaire: “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”.
D’altra parte, per la responsabilità cui richiama le nostre coscienze, la realtà detentiva è il grande rimosso dal discorso collettivo, quantomeno nel suo ordinario svolgersi quotidiano.
Poi, quando c’è una rivolta, una procedura d’infrazione o un caso di cronaca eclatante, se ne torna a parlare, quasi sempre aggiungendo carcere al carcere: promessa di pene più severe, costruzione di nuovi istituti e introduzione di nuovi e più gravi reati.
Tuttavia, il fallimento della pena detentiva, la continua “periferizzazione”, evidenziano la natura della reclusione e della sua struttura.
Così, raccontare la detenzione vuole essere un contributo a quel movimento che, preso atto della crisi irreversibile della pena carceraria, si mette nella prospettiva di una drastica riforma che, attraverso una serie di tappe progressive, possa portare infine all’utilizzo del carcere come extrema ratio. Insomma, alla sua abolizione di fatto. Abolizione che è superamento, critica radicale indirizzata prima ancora che alle istituzioni, a noi stessi, cittadini e cittadine, che ci troviamo a considerare la pena detentiva come qualcosa di dato e inamovibile – e irriformabile -, sempre e per sempre. (Avv. Lucrezia Fortuna).
La rubrica intende proporre una finestra macro disciplinare sul tema, offrendo analisi in primis sociologiche, di conseguenza storico-giuridiche, attraverso testimonianze dirette e varie prospettive, senza cadere in luoghi comuni, pregiudizi o immagini stereotipate.
Un processo evolutivo che da anni in Italia evidenzia falle di un sistema catapultato in emergenza nazionale.
Colpevoli e innocenti. Gli unici binomi che nella vita quotidiana siamo abituati ad operare come se fossimo indirizzati da retaggi storici e culturali a “visioni da sciacallo” del tema . Tuttavia, la società civile non insegna questo. Non lo insegna nemmeno lo Stato di diritto.
La rubrica si propone di offrire una lettura totale del carcere, della pena, del sistema rieducativo e in particolar modo del sistema di azioni e reazioni innescate nella nostra società. (Dott.ssa Barbara Minicozzi).
Il numero dei suicidi, i tassi di sovraffollamento, la percentuale di coloro che torna a commettere reati una volta scontata la pena: tutto grida che stiamo sbagliando e che la prigione, da sola e per come è oggi, non riesce a rispondere alle finalità per cui è stata concepita e, tanto meno, ai principi indicati dal testo costituzionale
Infatti, l’art. 27 della Costituzione italiana cita:
“La responsabilità penale è personale. L’imputato non e’ considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
La messa in sicurezza della nostra società civile è direttamente proporzionale all’impalcatura del sistema rieducativo e all’affermazione della concezione polifunzionale della pena in ogni momento della dinamica punitiva.
Copertina: Il carcere e la pena