Un piccolo Stato tra grandi interessi mondiali.
Gibuti è uno Stato dell’Africa orientale situato nel Corno d’Africa confinante a nord con l’Eritrea, a ovest con l’Etiopia e a sud con la Somalia. Affacciandosi sia sul Mar Rosso che sul Golfo di Aden, la sua posizione è fortemente strategica e questo ha reso Gibuti fonte di grande interesse per le potenze mondiali che hanno aperto le proprie basi militari al suo interno. Il Paese si trova al centro delle rotte commerciali che collegano tre continenti (Asia, Africa ed Europa) e al largo delle sue coste transita circa il 10% del commercio navale mondiale, costituito per la maggior parte da navi cargo e petrolifere[1]. Il Presidente Ismail Omar Guelleh controlla la nazione dal 1999 e il 9 aprile 2021 è stato rieletto per un quinto mandato con il 97% delle preferenze. Sebbene egli abbia sempre negato qualsiasi atto di repressione contro l’informazione, negli anni numerosi sono stati gli arresti, le distruzioni delle stazioni radio, le minacce e le inchieste giudiziarie contro i giornalisti. Dal punto di vista economico- finanziario, il Pil nazionale si aggira intorno a 3500$ ed è uno dei più alti tra gli Stati dell’Africa sub-sahariana.
Nonostante questo risultato, il Paese lotta da anni contro una dilagante povertà che coinvolge circa il 20% della popolazione e il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 26%[2]. Malgrado le forti repressioni statali e le difficoltà economiche, oggi Gibuti trae il proprio sostentamento dalla sua posizione geografica. Infatti, per sostenere la propria crescita politica ed economica, il Presidente Guelleh ha concesso l’affitto di terreni alle potenze mondiali per la creazione di basi militari e logistiche con l’obiettivo di controllare e garantire la sicurezza ad una delle più importanti rotte commerciali globali.
Il ruolo dell’Italia
Nell’ottobre 2013 l’Italia ha inaugurato la sua prima base logistica delle forze armate all’estero dopo la Seconda Guerra Mondiale: la Base Militare Italiana di Supporto (BMIS). Edificata a Loyada, a pochi km a sud dalla capitale Gibuti, è collocata in un’area strategica per le linee di comunicazioni marittime che collegano il Mediterraneo, il Canale di Suez, Golfo Persico e il sud est asiatico[3]. In essa sono stati stanziati circa 100 militari il cui compito principale è quello di fornire supporto ai contingenti italiani che operano nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano in missioni di anti-pirateria (Operazione Atalanta dell’UE in corso dal 2008 ed Ocean Shield tra il 2009 e il 2016)[4] . Importante è il ruolo svolto dal corpo Carabinieri nella missione di addestramento Miadit in cui si formano in media circa 180 poliziotti somali e più di 200 militari gibutiani. Il ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, in una visita ufficiale nel Paese africano a marzo 2021 ha sottolineato come Gibuti “sia una realtà piccola ma cruciale, che in questi anni ha fatto della sua posizione nevralgica un punto d’accesso importante alla regione del Corno d’Africa e una cabina di regia per le operazioni di contrasto al terrorismo, di sorveglianza dei traffici commerciali, di contrasto alla pirateria (…)”[5]. La base inoltre ha come obiettivo a lungo termine quello di “rigenerare la polizia federale somala mettendola innanzitutto in grado di operare nel complesso scenario e successivamente, con i corsi training of trainers, portarla gradualmente all’autosufficienza formativa”5.
Gibuti tra la Via della Seta cinese e l’Uncle Sam americano
Gli USA trovarono in Gibuti un territorio adatto per collocare la loro prima base permanente sul continente africano: la Camp Lemonnier. Affittata per più di 60milioni di dollari all’anno, essa ha visto negli anni un progressivo aumento di forze militari tra cargo dell’US Air Force, reparti di forze speciali antiterroristiche e di forze di intervento rapido per proteggere le ambasciate. L’ampio numero di forze sul campo è dovuto a molteplici fattori quali: la presenza dell’ISIS, incursioni del gruppo terrorista Al-Shabab in Somalia e le azioni di pirateria nell’Oceano Indiano e nel Mare Arabico[6]. Anche la Cina ha consolidato la propria presenza in Gibuti grazie all’installazione della Base di Supporto dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) nel 2017, capace di ospitare due portaerei cinesi, navi d’assalto e fino a quattro sottomarini nucleari. Il generale Stephen J. Townsend, comandante dell’Africom (il Comando delle operazioni militari americane in Africa) si dice preoccupato del crescente interesse cinese sull’Africa e sui negoziati portati avanti da Pechino con la Tanzania per la creazione di una nuova base militare a Bagamoyo, sulla costa vicina all’isola di Zanzibar. La Cina ha sempre negato che la propria base in Gibuti rappresenti uno strumento per ampliare la propria influenza in Africa affermando che il suo scopo principale è quello di prender parte a “a missioni di scorta, mantenimento della pace, soccorso umanitario e di altro genere nel Golfo di Aden e nelle acque somale”7. Nonostante queste rassicurazioni, oggi la Cina è diventato il principale partner commerciale di Gibuti e ne detiene circa il 70% di debito estero. Nel luglio 2017 il governo gibutiano ha inaugurato la più grande zona franca dell’Africa per promuovere gli scambi commerciali. Questo ambizioso progetto è stato finanziato dal governo cinese che intende introdurre Gibuti nella propria Via della Seta Marittima[7] e trasferire la produzione manifatturiera in aree in cui la manodopera ha costi inferiori. Negli anni Pechino ha investito miliardi nel settore dei trasporti ed è grazie ad essi che è stata inaugurata nello stesso anno l’importante linea ferroviaria che collega Gibuti alla capitale etiope Addis Abeba per favorire il commercio tra i due Paesi e per permettere all’Etiopia di usufruire dei porti gibutiani per il proprio export (circa il 90% delle merci etiopi passa per Gibuti)8.
Conclusioni
Sul territorio di Gibuti non sono solo presenti le basi italiane, americane e cinesi. La Francia ha recentemente aumentato il proprio numero di milizie con nuove squadre di aviazione tra caccia ed elicotteri d’assalto, mentre il Giappone ha realizzato nel Paese la sua prima base militare estera dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Numerose sono anche le milizie di Germania, Spagna, Regno Unito e Russia. Questa presenza massiccia di forze militari costituisce una vera e propria manna per il piccolo Paese che incassa ogni anno centinaia di milioni di dollari. È evidente come la Cina stia guardando con sempre più interesse a Gibuti e al Corno d’Africa ed è probabile che estenderà le proprie ambizioni anche oltre il Canale di Suez causando un ulteriore peggioramento delle relazioni diplomatiche, già tese, con NATO e USA.
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Note
[1]Lorenzo Longhi, Gibuti: la perla del Mar Rosso. Lo Spiegone, 18 febbraio 2021.
[2]Chiara Gentili, Gibuti: scontri tra gruppi etnici, almeno 3 morti. Sicurezza Internazionale, 3 agosto 2021.
[3]www.difesa.it
[4]Francesco Semprini, A Gibuti i militari italiani in prima linea su sicurezza e cooperazione. La Stampa, 12 ottobre 2018.
[5]Antonio Mazzeo, AFRICA. L’Italia addestra le milizie paramilitari e l’ONU ne ignora la pericolosità. www.pagineesteri.it 23 ottobre 2021.
[6] Giovanni Porzio, Quel Risiko tra Cina e Usa nel porto di Gibuti. La Repubblica, 16 giugno 2017.
[7] T. Corda, G Dentice, M. Procopio, Corsa al Corno d’Africa: interessi globali e competizione regionale. ISPI, 9 ottobre 2018.
Foto copertina: Città di Gibuti, gennaio 2008 Wikimedia