La Rivoluzione islamica e la nascita della Repubblica teocratica
Storici ed accademici, sono quasi tutti concordi nel considerare il 1979 come un anno particolare, una sorta di anno “zero”, un vero e proprio spartiacque per la storia contemporanea ed, in particolare, per il Medio Oriente.
In quell’anno si sono succeduti: l’accordo di pace tra Egitto ed Israele[note]Il trattato di pace israelo-egiziano del 1979 fu firmato il 26 marzo 1979 a Washington a seguito degli accordi di Camp David del 1978. L’Egitto fu così il primo paese arabo a firmare un accordo di pace e a riconoscere Israele. Il trattato di pace fu firmato 16 mesi dopo la visita del presidente egiziano Sadat in Israele del 1977, e al termine di intensi negoziati. Sadat verrà poi assassinato nel 1981 dal gruppo ‘al-Jihād’.[/note] ; il subentro di Saddam Hussain ad Al-Bakr come Presidente dalla Repubblica dell’Iraq e l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica. L’avvenimento che più di tutti ha segnato la storia mediorientale è tuttavia e senza dubbio la Rivoluzione islamica in Iran, che portò alla fine della monarchia dei Pahlavi[note]La dinastia Pahlavi regnò in Iran dal 1925 al 1979, quando la Rivoluzione iraniana mise fine alla millenaria tradizione monarchica del Paese.[/note] e la nascita della prima repubblica teocratica.
Il motivo della destituzione ha radici remote che affondano nelle forzature e nei fallimenti delle politiche dello Scià [note]Re che gode di assoluti poteri in campo politico, ma che può vantare anche una notevole caratura spirituale, ergendosi anche al di sopra della classe sacerdotale.[/note] Muhammad Reza Pahlavi.
Dopo la caduta di Mossadeq[note]Mohammed Mossadeq (o Mossadegh), da Primo ministro, nazionalizzò la Anglo-Iranian Oil Company di proprietà inglese, trasformandola nella National Iranian Oil Company (Crisi di Abadan). Fu rovesciato qualche mese più tardi da un colpo di Stato promosso da Gran Bretagna e Usa (Operazione Ajax).[/note] nel 1953, Reza Pahlavi, era considerato come il “gendarme” americano in Medio Oriente, ed il suo esercito, grazie in parte agli aiuti militari (in conseguenza del Patto di Baghdad[note]Il patto di Baghdad venne firmato il 24 febbraio 1955 inizialmente tra Turchia e Iraq, cui poi si aggiunsero l’Iran e il Pakistan, come accordo di difesa reciproca anticomunista. Il documento prevedeva l’impegno per le Parti contraenti di cooperare per fronteggiare in comune ogni eventuale aggressione contro di loro. Esso venne caldeggiato dalla Gran Bretagna e soprattutto dagli Stati Uniti che con i presidenti Truman e, in seguito, Eisenhower avrebbero portato avanti una politica di isolamento dell’Urss. L’alleanza venne rinominata “Central Treaty Organization”, CENTO nell’ottobre 1958, data in cui il quartier generale venne trasferito ad Ankara, Turchia.[/note]) ed in parte agli ingenti proventi petroliferi, divenne un efficientissima macchina da guerra.
Organizzò una potente e spietata polizia segreta, la Savak[note]“Sāzemān-e Eṭṭelā’āt va Amniyat-e Keshvar”, “Organizzazione nazionale per la sicurezza e l’informazione”. Fu la polizia segreta che la dinastia Pahlavi usò per tenere sotto controllo l’Iran, in particolare dopo il governo di Mossadeq che aveva tentato di indebolirne il potere. Si tratta probabilmente dell’organizzazione più brutale del Medio Oriente, a causa delle sue famigerate camere di tortura in cui gli oppositori politici, in particolare comunisti, venivano sottoposti a ogni tipo di sevizia. Durante gli ultimi quindici anni di governo dello Scià, sotto il comando del colonnello Nematollah Nassiri, arrivò a impiegare circa 60.000 agenti (cfr. Marcella E., Ranuzzi de’ Bianchi M., Atzori E., Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero e potere in Iran, Bologna, Odoya, 2008).[/note] spesso accusata di brutali repressioni, omicidi e torture. Per consolidare il proprio potere e rafforzare l’unità dello Stato, lo Scià, rinunciò a puntare sull’identità religiosa preferendo optare per la legittimazione laica attraverso l’esaltazione della tradizione persiana[note]Nel 1971, si fece incoronare a Persepolis come imperatore di una rinnovata Persia ariana.[/note] e della (ritrovata) potenza militare.
Intraprese inoltre una serie di misure e riforme con l’obiettivo di modernizzare il paese. Questa fase, denominata “rivoluzione bianca” iniziò nel 1963, e prevedeva, oltre alla riforma agraria[note]Mal vista dal clero perché vedeva intaccate le entrate provenienti dai beni religiosi di manomorta, i wafq, oltre al fatto che le terre da distribuire ai contadini, di fatto erano tutte di proprietà del Clero.[/note](che, rivelatasi un fallimento[note]La gestione imprenditoriale dell’agricoltura ad alto impiego di capitale e di tecnologia portò ad un’eccedenza di manodopera ma non contribuì a migliorare la produzione agricola pro-capite, tanto che alla fine degli anni ‘70, l’Iran importava dall’estero la maggior parte dei prodotti alimentari.[/note], provocò un incremento dell’emigrazione interna, dalle campagne verso le grandi di città, da parte dei contadini disoccupati), una riforma del sistema educativo e l’istituzionalizzazione dell’intervento dello Stato in campo sociale ed economico, teso ad una occidentalizzazione a tappe forzate (che andò ben presto a scontrarsi con la cultura e la tradizione iraniana).
A partire dalla metà degli anni ‘70, l’economia iraniana iniziò a vacillare: la combinazione tra un agricoltura in declino, un industria inefficiente e le massicce importazioni dall’estero portarono ad un aumento dell’inflazione, andando a colpire innanzitutto il ceto mercantile dei bazari, i contadini e, di riflesso, l’intellighenzia giovanile. La crescita economica degli anni ‘50 e ’60, inoltre, aveva acuito le sperequazioni sociali: la forbice economica si era allargata; il divario tra la cerchia ristretta di miliardari vicina allo Scià e le masse di poveri nelle campagne e nelle grandi città era enorme.
Il clima, già di per sé tesa, sfociò in rivolta con l’intervento determinante di un particolare gruppo: il clero islamico sciita.
All’interno di quest’ultimo, organizzato ed attivo politicamente, emerse come leader un vecchio ed autoritario ayatollah [note]E’ un titolo di grado elevato che viene concesso agli esponenti più importanti del clero sciita, talvolta al più autorevole, e ai mujāhidīn, la casta dei dotti musulmani. Questo titolo negli ultimi decenni ha assunto una connotazione politica che prima era attenuata (cfr. Malek Chebel, Dizionario dei simboli islamici, Roma, Edizioni Arkeios, 1995, p. 59.[/note], Ruhollah Khumayni (Khomeini). Khomeini che, all’epoca, non era il più influente né il più prestigioso dei religiosi iraniani; si trovava in esilio dalla metà degli anni ‘60 perché si era opposto al servizio militare obbligatorio imposto anche ai religiosi ed aveva poi guidato le proteste contro la proposta di referendum sulla sopracitata riforma agraria e contro le repressioni poliziesche delle attività del clero nella città santa di Qom[note]Qom è la seconda città santa dell’Iran, divenne la residenza di Khomeini, ed ancora oggi Qom attira studiosi e studenti sciiti da tutto il mondo, oltre a migliaia di pellegrini.[/note].
Crebbe la sua popolarità anche in seguito alle critiche mosse alla monarchia, accusata di non «essere islamica» e di essere «serva degli Stati Uniti»[note]In particolare, Khomeini si scagliò contro l’immunità concessa ai diplomatici americani.[/note], Khomeini predicava un ritorno ad una forma di governo puramente ispirata alla religione (teocrazia), aizzando il clero alla ribellione contro le autorità dispotiche e a prendere il potere, insomma ad una rivoluzione islamica. Divenuto ben presto personaggio scomodo, Khomeini, fu costretto all’esilio, prima in Turchia, poi in Iraq ed, infine, a Parigi, dove tuttavia ottenne maggiore visibilità e vide accrescere il suo prestigio presso gli iraniani.
Gli incitamenti alla rivolta venivano trasmessi, di nascosto, attraverso audiocassette e videocassette registrate a Parigi e distribuite poi in tutto l’Iran.
L’8 gennaio 1978, il quotidiano governativo “Etelat”, pubblicò un articolo contro Khomeini, accusandolo di fare gli interessi dell’India e di non essere un vero iraniano[note]Il nonno infatti era di origini indiane.[/note]. La notizia dell’articolo arrivò a Qom, dove il sostegno a Khomeini era molto diffuso. Iniziarono così le proteste contro lo Scià e la risposta della polizia fu violenta tanto provocare diversi morti.
Il quarantesimo giorno[note]Secondo la tradizione islamica, il lutto dura 40 giorni.[/note] dopo i fatti di Qom, nelle moschee iraniane la gente si riunì per commemorare le vittime del massacro e da lì, poi, in piazza a protestare contro lo Scià e la brutalità della Savak, la cui reazione, nuovamente brutale, portò ad una nuova ondata di proteste, sempre più violente[note]I gruppi di guerriglia come i Mujaheddin-e Khalq e i Fedayn-e Khalq organizzavano attentati al fine di scatenare una rivoluzione.[/note]. Fu così che a Tabriz, esattamente 40 giorni dopo gli avvenimenti di Qom, una nuova commemorazione sfociò in rivolta, anche essa stroncata con violenza dall’esercito provocando altri morti. Seguirono ai fatti di Tabriz, ancora quaranta giorni dopo, le proteste di Isfahan, poi di Mashhad e poi di Teheran.
La rivoluzione iraniana si sviluppò così, a ritmo di un esplosione di violenza ogni quaranta giorni. Il seguito popolare alle manifestazioni crebbe sempre più e la risposta dello Scià sempre più violenta[note]Cfr. Kapuscinki Riszard, Shah – in – shan (titolo originale Szachinszach), edito ‘I narratori’, per la prima volta nel 2001, qui nella ottava edizione rivisitata del 2013, pagg. 133-136.[/note].
La posizione dello Scià diveniva sempre più compromessa. Il 19 agosto del 1978, circa 430 persone persero la vita nella città di Abadan, a causa di un incendio di origine dolosa scoppiato all’interno del cinema “Rex”. Sebbene i veri responsabili fossero i sostenitori dell’ayatollah, che intendeva screditare Reza Pahlavi, la strage venne erroneamente attribuita allo Scià e alla Savak.
Il successivo 8 settembre, un gruppo di manifestanti, riunitisi in strada, così violando il coprifuoco a loro imposto, fu represso dalla polizia. Il clero sfruttò questo avvenimento per accrescere il malcontento della popolazione. Fece credere che il numero delle vittime di quell’atto fosse notevolmente più alto: sparse sulla strada decine di paia di scarpe, così da indurre l’opinione pubblica a credere che gli agenti della Savak avessero tolto velocemente i cadaveri dalla strada.
La rivolta, a quel punto, divenne inarrestabile. Nel dicembre 1978, in occasione della festa dell’Ashura[note]Festa sciita celebrata in commemorazione della morte dell’Imam martire Husayn, nipote del profeta.[/note], gli scontri furono violenti, la protesta divenne feroce tanto da spingere, il 5 gennaio 1979, milioni di persone a marciare per le strade contro lo Scià, inneggiando al ritorno di Khomeini.
L’ultimo disperato tentativo di salvare il suo trono fu la nomina di Shapur Bakhtiar a primo ministro, il quale accettò, ma a condizione che il sovrano lasciasse temporaneamente il Paese. Fu così che Reza Pahlavi partì il 16 gennaio 1979 per il Marocco. La popolazione, seppure entusiasta per l’avvenimento, non cessò la lotta, considerando la partenza dello Scià un’ulteriore prova della debolezza e dell’imminente crollo della monarchia.
Bakhtiar concesse la libertà di stampa ed indisse libere elezioni. Tuttavia Khomeini non riconobbe il governo di quest’ultimo ed annunciò il suo ritorno in patria dall’esilio francese[note]Cfr. Hobsbawn Eric J., Il secolo breve 1914-91 (titolo originale dell’opera Age of Extremes. The short twentieth century 1914-91), quinta edizione BUR 2015, pagg. 528-530.[/note], cosa che avvenne il 31 gennaio. Le manifestazioni a favore dell’ayatollah si moltiplicavano, mentre sempre più numerose erano le diserzioni nell’esercito, che l’11 febbraio annunciò il proprio disimpegno dalla lotta. A Bakhtiar non restò che darsi alla fuga.
Il 30 marzo, un referendum sancì la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran con il 98% dei voti. L’applicazione della legge islamica fu immediata: furono bandite le bevande alcoliche, così come il gioco d’azzardo e la prostituzione, ed iniziarono le persecuzioni contro gli omosessuali e chiunque assumesse comportamenti non conformi alla sharia [note]Beltrame S., Mossadeq. L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica, Ed. Rubbettino 2009.[/note]
La rivoluzione iraniana rappresenta, ad oggi, il primo esempio di rivoluzione islamica effettivamente riuscita e durata nel tempo. L’alleanza tra ulama e bazari fu vincente. Khomeini seppe, da vero stratega, delegittimare tutte le altre forze laiche che potevano emergere come alternativa allo Scià. Furono infatti battuti sia i comunisti del partito Tudeh, che fu represso e cancellato, sia i liberali moderati, che si raggruppavano intorno la figura di Mehdi Barzagan, sia infine gli stessi islamici progressisti di Bani Sadr (primo Presidente della Repubblica eletto nel 1980).
Khomeini emerse come leader assoluto nel panorama politico iraniano, sino alla sua morte, avvenuta nel 1989. Diresse il paese attraverso il Consiglio dei Guardiani della rivoluzione, formato da giuristi a lui fedeli, e le milizie rivoluzionarie dei pasdaran[note]Campanini M., Storia del Medio Oriente 1798-2005, Edizioni Il Mulino, Bologna 2006, pagg. 159-162.[/note]. A raccontare, con estrema lucidità, gli avvenimenti che hanno portato alla rivoluzione, ci ha pensato Ryszard Kapuscinki[note].
Nato a Pinsk (città originariamente polacco, oggi bielorussa), è stato corrispondente per l’agenzia di stampa polacca PAP. Ha vinto numerosi premi come giornalista ed è considerato uno dei maggiori reporter della storia. È morto a Varsavia nel gennaio 2007.[/note], nel suo “Szachinszach”, tradotto in Italia con il titolo “Shah-in-shah”, nel quale la cronaca diviene storia attraverso il racconto e la descrizione della vita quotidiana degli iraniani di quegli anni.
Immagine in copertina: Iranian protesters hold a up a poster of Ayatollah Ruhollah Khomeini during a demonstration in Tehran against the shah in January 1979. (AFP/Getty Images) – Fonte: Tablet