La pandemia in Africa


Secondo gli esperti la pandemia da Covid-19 in Africa avrebbe portato ad un altissimo numero di morti, ma così non è stato. Per comprendere come il continente africano ha affrontato e sta affrontando l’emergenza Covid, ne parliamo con Freddie del Curatolo, giornalista e coautore di “La pandemia in Africa – l’ecatombe che non c’è stata” edito da Rosenberg&Sellier(2021)


Quando nel febbraio/marzo 2020 il mondo inizia a fare i conti con il Covid-19. un virus dalle origini sconosciute, tutti iniziano ad interrogarsi sulle misure da adottare per arginare la diffusione. Le immagini che ci arrivavano ci mostravano città chiuse, restringimenti alla circolazione, lockdown mai sperimentati prima d’ora. Ma mentre la comunità scientifica si affannava a cercare una soluzione nei vaccini e buona parte del mondo occidentale e dell’Asia adottavano questi provvedimenti, la domanda ricorrente era: ma in Africa cosa accade?
A spiegarci come l’Africa ha risposto alla pandemia da Covid-19, ci hanno pensato Angelo Ferrari[1] e Freddie del Curatolo[2] con “La pandemia in Africa. L’ecatombe che non c’è stata” edito da Rosenberg&Sellier (2021).
Con “La pandemia in Africa” i due autori ci raccontano l’Africa che è riuscita a scampare dalla temuta strage ma che resta indietro sul fronte dei vaccini. Ci raccontano delle difficoltà oggettive per i Governi di prendere delle decisioni drastiche e di adottare misure di contenimento simili a quelle che abbiamo adottato noi. Prendiamo ad esempio il lockdown, misura applicabile in misura ridotta nelle grandi città e già applicata in coincidenza con altri eventi catastrofici come guerre civili e colpi di stato, ma risultava complicato nei villaggi più isolati dove la possibilità di muoversi vuol dire possibilità di alimentare un economia informale, una chiusura totale significherebbe mettere a rischio la sopravvivenza di milioni di persone. Per alcuni Paesi istituire lo stato di emergenza è stata l’occasione buona per soffocare le opposizioni politiche o rimandare le elezioni già previste. Nel libro gli autori analizzano quelle che sono le conseguenze economiche delle misure di restringimento e in generale legate alla diffusione del virus. Un crisi economica che mina la crescita degli ultimi anni, una crisi economica che rafforza la presenza e il sostegno ai gruppi terroristici sempre più presenti e sempre più minacciosi.
Con “La pandemia in Africa” scopriamo anche come in alcuni Stati africani la prima risposta al virus non è stato il vaccino ma il ricorso a “ricette magiche”. Una risposta fatta di erbe medicinali, pozioni magiche, antiche credenze. Una risposta naturale frutto di un fenomeno che appartiene alla cultura millenaria e religiosa del continente: l’animismo. Spesso l’unica risposta in un continente dove, a parte quale eccezione, i sistemi sanitari sono al collasso se non del tutto assenti, e se vogliamo dirla tutta la pandemia da Covid-19 fa molto meno paura di altre malattie che in Africa in questi decenni hanno fatto milioni di morti: dall’HIV, ebola, colera e soprattutto la fame. La corsa ai vaccini è la sfida, un banco di prova importante, ma ritardi e corruzione sono i rischi da affrontare. Per comprendere tutto ciò ne parliamo con Freddie del Curatolo giornalista, scrittore e musicista che vive in Kenya. Autore di alcuni libri tra cui, nel 2008, di “Malindi Italia, guida semiseria all’ultima colonia italiana in Africa”, e il romanzo “Safari bar” (2013). Dal 2008 dirige MalindiKenya.net il portale degli italiani in Kenya, ed è il coautore del libro.

Il relazione alla diffusione del Covid-19 in Africa, si è parlato di “paradosso africano”. Nonostante le condizioni spesso terribili della sanità africana, il numero di casi e decessi sembra non essere stato (e non essere) così elevato se paragonato anche al resto del mondo. Qualcuno ha provato a spiegare questo paradosso chiamando in causa il clima, altri alla struttura demografica. Lei crede al paradosso africano o i dati sono sottostimati?

“Il cosiddetto “paradosso africano” è il risultato di una serie di concause che hanno ribaltato il frettoloso e catastrofista vaticinio dell’OMS: “Per il continente africano sarà un’ecatombe”. Questa peraltro è la considerazione da cui siamo partiti io e il collega Angelo Ferrari nella stesura del libro.
In effetti io ho sempre pensato, come scriveva Ryszard Kapuściński, che nominare l’Africa come una sola entità è una convenzione che non ha quasi nulla a che vedere con le sue innumerevoli realtà. Se ad esempio dai dati escludiamo la fascia maghrebina e il Sudafrica, si vedrà che i numeri sono ancora più irrilevanti. Sono state tirate in ballo numerose teorie, più o meno azzardate. Io tendo a parlare solamente di quelle che hanno fondamenti medici o studi scientifico-accademici alla base, anche se sono spesso contraddittorie. Ad esempio, uno studio finanziato dall’Africa Centres for Disease Control and Prevention condotto in Sahel ha evidenziato come la polvere di sabbia dei deserti africani sia in grado di proteggere i popoli che ci vivono, abituati da sempre a respirarne le particelle, cosa che avrebbe rinforzato le loro difese nei confronti delle malattie respiratorie. Di contro, una recente ricerca dell’Università di Istanbul, riferisce che la sabbia africana che arriva in Europa può trasportare e “proteggere” il Covid-19, infettando persone non preparate. Leggendo diversi studi sul clima e i dati presi singolarmente in diverse latitudini e situazioni ambientali, si può notare come l’incidenza del coronavirus cala sensibilmente a temperature elevate e ciò conferma le tante ricerche in merito all’incidenza dei raggi UVA e delle vitamine trasmesse dal sole cocente come scudo protettivo naturale per il coronavirus. Faccio l’esempio del Kenya, paese in cui risiedo: la Rift Valley e le zone montane hanno avuto dieci volte i casi riscontrati sulla costa e nella fascia orientale, le più calde del paese. Altro aspetto riguarda l’urbanizzazione. Il Covid-19 in Africa si è registrato per la maggior parte nelle metropoli, in spazi chiusi, mezzi pubblici, mercati affollati. L’Africa rurale, che rappresenta più dell’80% del territorio, ha distanze sociali naturali e la vita si svolge prevalentemente all’aperto. Sono stati svolti anche studi specifici sul DNA delle popolazioni bantù, ma di questo si potrà parlare quando verranno pubblicati. Che i dati in mano all’OMS siano per forza di cose approssimativi, è chiaro. Dall’altra parte le popolazioni dell’Africa Subsahariana non hanno abbandonato il culto dei morti e i riti legati ai funerali. La predizione dell’ecatombe avrebbe dovuto far registrare aumenti esponenziali di cerimonie, processioni alle camere mortuarie e via dicendo. Il realtà nel periodo in cui più o meno tutti hanno attuato il lockdown, i decessi sono diminuiti perché è venuta a mancare la causa numero uno: gli incidenti stradali.”

Ritardi nelle consegne, difficoltà logistiche, diffidenza nei vaccini e mancanza di fondi per sostenere le reti di distribuzione. Riuscirà l’Africa a vincere la sfida vaccini? A che punto siamo con la somministrazione?

“Per questa “tornata” del virus (che ci auguriamo resti l’unica nella storia mondiale) la sfida dei vaccini in Africa non è andata oltre i preliminari. Con ottimismo possiamo dire che si sono poste le basi per essere preparati in futuro. Dopo due anni il grosso del continente ha vaccinato completamente poco più del 10% della popolazione, che rappresenta quasi sempre l’élite dei paesi (coloro che viaggiano all’estero e che hanno rapporti di lavoro con stranieri) o i dipendenti delle istituzioni, della sanità e della scuola che sono stati obbligati a vaccinarsi. Alcuni paesi, come ad esempio la Tanzania, si sono mossi in considerevole ritardo, altri come Congo e Repubblica Centrafricana, hanno problematiche logistiche particolari (il Congo per non far scadere le dosi, le ha “regalate” alle nazioni limitrofe in cambio di altri generi di conforto…  Nel contesto però, è mancato un piano concreto di sensibilizzazione e tam tam mediatico, così come facilitazioni per la povera gente. Per milioni di persone, anche favorevoli al vaccino, sobbarcarsi trasferte di chilometri e chilometri, dovendo anche pagare il biglietto del bus, è impensabile. Antiche credenze, imam e predicatori no vax, diffidenza nei governanti che sono visti soprattutto come avvoltoi che “fanno la cresta” su ogni mascherina venduta, tampone o vaccino donato, hanno aumentato il numero degli agnostici.”

Nel libro si racconta lo scetticismo della popolazione rispetto ai vaccini, si è preferito fare ricorso a pozioni magiche e rimedi naturali, spesso sponsorizzati anche dai governanti che hanno sottovalutato la pericolosità del Covid come ad esempio il presidente della Tanzania Magufuli. Come si può spiegare questo fenomeno?

“Come detto, questo è un fenomeno strettamente legato alle culture africane. Mentre lo scetticismo è legato al fatto che siano i governanti corrotti ad amministrare e propagandare il virus, specialmente in termini di donazioni internazionali (molti gli scandali in questi due anni) l’erbalismo così come la magia bianca sono ancora molto radicate nella società che per altri versi si evolve e abbraccia tecnologia e scienza. Sono pratiche che fanno ancora molta leva sulla gente comune. Un presidente che propaganda un intruglio di erbe salvifico, come nel caso di quello del Madagascar Rajoelina, sa di avere un ritorno di immagine e considerazione dal suo popolo. Per il tanzaniano Magufuli è stato diverso. Il suo è stato un attacco politico, culminato nell’espulsione dei dirigenti OMS dal paese e nel rifiuto di pubblicare i dati. Niente mascherine e divieti di affollamento, e ospedali traboccanti di pazienti a cui non venivamo effettuati tamponi.”

La lotta alla pandemia Covid-19 ha visto alcuni casi virtuosi (pensiamo al Senegal), ma spesso l’adozione di misure di eccezionalità da parte dei governi ha avuto come conseguenza il rinvio delle elezioni o in alcuni casi tali misure sono servite a limitare le opposizioni. I putsch militari che si sono verificati durante questo periodo sono numerosi: in Mali (agosto 2020), in Ciad (aprile del 2021), di nuovo in Mali (aprile del 2021), in Guinea (settembre 2021), Sudan (ottobre 2021) e Burkina Faso (gennaio 2022). In che misura il Covid-19 ha messo a dura prova la tenuta democratica di molti Stati Africani? 

“In Africa sopravvivono “governissimi” di presidenti anziani che da tanti anni utilizzano ogni mezzo ed evento a disposizione per rinsaldare le loro vacillanti semi-dittature. Si pensi a Museveni in Uganda, al sesto mandato, o ad Alpha Condé in Guinea Conacry. Entrambi come prima restrizione pandemica hanno abolito le manifestazioni politiche e della società civile, in un periodo in cui le opposizioni stavano prendendo piede. Sono poche le democrazie africane che possono definirsi tali e non sempre sono state una garanzia di trasparenza e buona condotta nel periodo di pandemia.
Vi sono dittature “illuminate” come quella di Paul Kagame in Ruanda (insieme al Senegal, una delle nazioni più rapide, serie e risolutive sulla prevenzione e la cura del Covid-19) che hanno guadagnato in considerazione interna ed internazionale, ed “oligarchie parlamentari” come quella del Kenya, con maggioranza ed opposizione che di fatto hanno abbracciato la stessa politica, cavalcando il virus per predicare unità e cercare di stroncare sul nascere il terzo polo populista del vicepresidente Ruto. Riducendo l’attività istituzionale, la democrazia ha rallentato il suo iter ed in molti casi l’approvazione di leggi importanti, ad esempio, per l’ambiente e i diritti delle donne. In generale, il potere nel continente non è stato granché scalfito dalla pandemia.”

L’Africa vive un grave periodo di recessione e la diffusione del Covid-19 ha avuto un impatto importante sull’economia, pensiamo solo alla riduzione dei flussi turistici o al rallentamento del commercio mondiale. Questa situazione rischia di aggravare le enormi diseguaglianze che caratterizzano le società africane. Quali sono gli scenari?

“Che la pandemia si sarebbe fatta sentire più sul piano economico e sociale, più che per l’impatto sulla salute dei suoi cittadini, è stato chiaro fin dai primi mesi dall’arrivo in Africa. Per alcune nazioni, come ad esempio il Sudafrica, che erano già alle prese con la recessione, la situazione è diventata insostenibile, sfociando in violenze ed episodi di xenofobia sempre più difficili da arginare. Altre realtà economiche che prima della pandemia veleggiavano nel bel mare del PIL in crescita esponenziale, hanno subito brusche e destabilizzanti frenate. Gran parte delle nazioni con il “segno +” del continente, dall’Angola all’Etiopia, dal Kenya al Ghana, hanno subito dapprima lo stop dell’import-export con la Cina, casa madre del virus. Un rapporto del Supporting Economic Transformation stimava, a inizio febbraio 2020, 4 miliardi in meno di export, quasi raddoppiati l’anno successivo. A questo dobbiamo aggiungere il calo vertiginoso delle rimesse, di cui il turismo da sempre è portatore sano. La chiusura dei viaggi internazionali ha privato alcuni stati della liquidità che costituiva un naturale regolatore monetario, sprofondando nell’inflazione. Il conseguente aumento dei prezzi dei generi alimentari, del petrolio e quindi dei trasporti, ha messo ancor più in difficoltà le categorie vulnerabili, alle prese con il sostentamento quotidiano, e soprattutto agricoltura ed allevamento, già gravate dalla crisi climatica e ambientale. Tutto questo nel periodo in cui l’Africa stava vivendo una crescita generale importante, dopo l’approvazione del mercato continentale di libero scambio a cui ha aderito la quasi totalità dei paesi dell’Unione Africana. L’intero continente, non solo l’Africa Subsahariana, corre il rischio che tutti gli sforzi per arrivare a questo risultato vengano vanificati. L’economia africana tutta, sta vivendo, per la prima volta in 25 anni, una recessione importante da cui dovrà uscire con le sue forze, in uno scenario internazionale che oggi non la aiuta.”

La pandemia in Africa, ma non solo, ha portato con se crisi economica e immobilismo dei Governi, un terreno ideale per la crescita e la diffusione di gruppi terroristici. Dal Mozambico alla Nigeria, dal Sahel alla Somalia, la minaccia terroristica è notevolmente cresciuta

“Non c’è dubbio che il terrorismo abbia studiato la pandemia per servirsene a proprio vantaggio. Se da una parte l’aumento dei controlli alle frontiere e la chiusura degli spazi aerei ha bloccato flussi e commerci, dall’altra ha favorito la crescita di gruppi radicati nei territori, consentendo a piccole organizzazioni di affiliarsi ed avere il tempo di studiare e agire sulle zone di competenza. Il caso del Mozambico, dove le rivendicazioni territoriali di stampo religioso al nord, si sono trasformate in veri e propri attacchi sistematici, sfociati in una sorta di guerra civile di cui il mondo, da tutt’altri problemi rapito, non ha saputo quasi nulla. Paradossalmente il terrorismo somalo, le corti e la cellula di Al Shabaab, hanno invece ridotto le loro operazioni di terrorismo, limitandosi in gran parte al coordinamento e alla direzione dei tanti affiliati in altri paesi.”

Quale futuro per l’Africa? 

“Il futuro in Africa è un tempo di speranza, più che di ipotesi. Dal punto di vista sanitario, per un continente che attende da 12 anni il via libera al vaccino per la malaria che miete ogni anno 400 mila vittime, specialmente bambini, il Covid-19 ha rappresentato soprattutto un problema logistico ed un ulteriore freno all’economia. Migliaia di piccole attività hanno chiuso i battenti, la classe media delle capitali e delle città africane ha dovuto riscendere qualche gradino. Il futuro immediato è legato alla voglia della gente africana di riprendere un cammino che per molti versi prima della pandemia stava dando risultati. Le difficoltà sono innumerevoli, a partire dall’istruzione scolastica, che ha registrato ritardi e defezioni. Molti studenti non sono tornati nelle classi ed altrettante adolescenti sono rimaste incinte. Se il futuro di questo continente sono i giovani, è a loro che i governi dovranno pensare per primi. E non lo stanno ancora facendo.”


Note

[1] Angelo Ferrari giornalista professionista all’Agi.
[2] Giornalista professionista che vive in Kenya dal 2005.


Foto: copertina del libro “La pandemia in Africa – l’ecatombe che non c’è stata” edito da Rosenberg&Sellier(2021)