La tortura nelle Filippine: la conformità dell’Anti-Torture Act alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1984


Nonostante l’adozione di una legislazione nazionale che criminalizza la tortura, sussistono numerosi ostacoli all’effettiva attuazione della Convenzione ONU da parte delle Filippine.


La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata dall’Assemblea Generale il 10 dicembre 1984, obbliga gli Stati a prendere tutte le misure necessarie per impedire e punire atti di tortura e trattamenti crudeli, nonché a proteggere le persone detenute da azioni lesive della loro integrità fisica e psichica.
Le Filippine hanno aderito alla Convenzione nel 1986, ma solo nel 2009 hanno emanato la legge (Anti-Torture Act)[1] che ha riconosciuto e sanzionato per la prima volta la tortura come un reato a sé stante, prevedendo pene che vanno da un mese e un giorno a quarant’anni di reclusione. Nel 2012, le Filippine hanno aderito al Protocollo opzionale alla Convenzione[2], che prevede un sistema di visite regolari nei luoghi di detenzione da parte di meccanismi indipendenti allo scopo di prevenire la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti.
L’Anti-Torture Act del 2009 include una definizione di tortura con un ambito di applicazione più ristretto rispetto a quello della Convenzione, facendo riferimento ad “una persona investita di autorità” piuttosto che “un pubblico ufficiale o altra persona che agisce in veste ufficiale”. La scelta di un linguaggio simile ma non identico alla Convenzione dà adito a scappatoie per l’impunità, soprattutto considerando che il Codice Penale Rivisto delle Filippine distingue le due figure. Precisamente, per “persona che esercita autorità” si intende qualsiasi persona direttamente investita della giurisdizione, ad esempio insegnanti e persone incaricate della supervisione di scuole pubbliche o private. Invece, un “pubblico ufficiale” è qualcuno che -per disposizione diretta della legge, elezione popolare o nomina da parte di un’autorità competente- esercita funzioni pubbliche nel governo in qualità di impiegato, agente o funzionario, ma non è dotato di autorità. Sulla base di questo, in caso di trattamenti crudeli, un insegnante potrebbe essere accusato ai sensi dell’Anti-Torture Act, al contrario di un segretario di gabinetto con mandato meramente consultivo e privo di giurisdizione.
La Legge del 2009 include poi un elenco degli atti di tortura, tentando di fare una distinzione tra atti che causano tortura fisica e quelli che causano tortura psicologica. Tuttavia, l’elenco provoca confusione; inoltre, il Comitato per i diritti umani dell’ONU ritiene superfluo fare certe distinzioni[3], in quanto molto dipende dalla natura, scopo e gravità del trattamento. Oltretutto, la valutazione delle Corti chiamate a pronunciarsi sui casi può cambiare nel tempo e trattamenti definiti “inumani e disumani” in contrapposizione a “torture” potrebbero essere classificati diversamente in futuro.
Un aspetto fondamentale della lotta contro la tortura è la prevenzione. Il Comitato per i diritti umani dell’ONU[4] raccomanda che i detenuti siano tenuti in luoghi di detenzione ufficialmente riconosciuti e che i loro nomi, nonché i nomi delle persone responsabili della loro detenzione, siano conservati in registri accessibili a tutti gli interessati, compresi parenti e amici. In aggiunta, è stata suggerita la creazione di commissioni nazionali indipendenti che abbiano il potere di effettuare visite senza preavviso in tutti i luoghi di detenzione, di avere accesso ai registri delle carceri e di intervistare tutti i detenuti in privato e sottoporli a esami medici indipendenti.
La Commissione per i Diritti Umani delle Filippine (CHR) ha la facoltà di condurre visite in carceri, prigioni o strutture di detenzione, ma non esiste alcuna disposizione di legge che penalizzi l’inosservanza, da parte dei funzionari pubblici, di questo mandato. Inoltre, sebbene sia un crimine nascondere al pubblico l’elenco dei centri di detenzione, il governo filippino si è riservato un’eccezione non prevista dalla legge del 2009: per motivi di sicurezza (ad es. proteggere l’incolumità dei membri della polizia, dei detenuti e dei visitatori) il registro non è accessibile al pubblico, tranne se necessario per indagini governative.

Secondo i Principi di base e linee guida relativi ai ricorsi e alle riparazioni per gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, le vittime dovrebbero ricevere una piena ed effettiva riparazione che includa restituzione, compensazione, riabilitazione, soddisfazione e garanzie di non reiterazione.[5] La Convenzione ONU richiede che il risarcimento sia “equo e adeguato” (art. 14). Nonostante l’ampia discrezionalità concessa agli Stati membri nel determinare gli importi, tale indennizzo deve essere “sostanziale ” o, almeno, sufficiente a compensare qualsiasi danno economicamente valutabile derivante dalla tortura e può comprendere il rimborso delle spese mediche, la perdita di guadagno (anche potenziale), e le spese legali per far valere il diritto. In tal senso, il massimale di 10.000,00 pesos filippini (circa 200 dollari) riconosciuto per le richieste di risarcimento non può essere definito sostanziale, soprattutto perché tale importo è stato fissato quasi tre decenni fa e da allora non è più stato adattato. La CHR concede inoltre un massimo di 20.000 pesos a titolo di “assistenza finanziaria”, ma questa concessione si basa solo sulla prassi interna, non sulla legislazione. Per quanto riguarda la riabilitazione, non è stato adottato il programma completo per le vittime di tortura e le loro famiglie previsto entro un anno dall’entrata in vigore dell’Anti-Torture Act. Il concetto di riparazione non viene affrontato esplicitamente e sono completamente assenti le disposizioni sull’esercizio della giurisdizione universale e sull’obbligo di “estradare o perseguire”.
In teoria, dunque, le disposizioni contenute nella legge del 2009 sono conformi agli obblighi derivanti dalla Convenzione ONU: l’inderogabilità del diritto alla libertà dalla tortura; l’inapplicabilità di qualsiasi amnistia o misura simile ai reati connessi alla tortura; l’esclusione delle prove ottenute con la tortura; il divieto di imporre trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti; il divieto di respingimento; e l’obbligo di formazione per i funzionari pubblici. In pratica, l’adozione di una legislazione nazionale che criminalizza la tortura ha fatto ben poco per arginare il numero di episodi di tortura nelle Filippine. L’impunità continua a prevalere: dall’adozione della legge ad oggi solo una persona è stata condannata nel 2016.
Il Rapporto sulla tortura di Amnesty International del 2014[6] ha rilevato che nelle Filippine la tortura e altri maltrattamenti di solito avvengono durante o dopo arresti senza mandato da parte di agenti di polizia in abiti civili. Alcuni sopravvissuti hanno raccontato ad Amnesty International che la polizia non si è identificata e non sono stati informati dei loro diritti al momento dell’arresto. La ricerca di Amnesty ha anche scoperto che molti casi non superano le indagini preliminari; altri vengono archiviati a causa dell’insufficienza di prove. Inoltre, molte vittime non denunciano per paura di rappresaglie oppure la denuncia viene ritirata in seguito ad intimidazioni e minacce da parte degli stessi agenti di polizia.
Recentemente, i funzionari del governo locale sono stati accusati di trattamenti crudeli, inumani o degradanti, o addirittura tortura, perché alcuni trasgressori del coprifuoco imposto per combattere la diffusione del COVID-19 sono stati costretti -per punizione- a stare seduti per ore al sole, rinchiusi in gabbie per cani o obbligati a compiere atti osceni.[7] Un uomo è morto dopo essere stato costretto a fare 300 squat come punizione per aver violato il coprifuoco.[8] Molte organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto al governo di indagare su questi abusi e di chiamare a rispondere i responsabili.
Anche se questi funzionari locali saranno formalmente accusati di tortura o maltrattamento, troppi elementi suggeriscono che l’Anti-Torture Act non sia conforme agli obblighi derivanti dalla Convenzione contro la tortura. La definizione ristretta del reato, le disposizioni in materia di risarcimento e riabilitazione e l’assenza di disposizioni che incarnino l’aut dedere aut judicare -fondamentali per garantire che un torturatore non sfugga alle conseguenze dei suoi atti recandosi in un altro paese- impediscono di realizzare l’obiettivo della Convenzione, che è quello di rendere più efficace la lotta contro la tortura evitando l’impunità.


Note

[1]http://www.ilo.org/dyn/natlex/docs/ELECTRONIC/83683/92577/F1828061043/PHL83683.pdf
[2] https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/optional-protocol-convention-against-torture-and-other-cruel
[3] Commento generale n. 20 sull’articolo 7 (Proibizione di tortura, o altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti) UN DOC HRI/GEN/1/Rev.9 (Vol. I) 200. https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G08/422/35/PDF/G0842235.pdf?OpenElement
[4] Ibid.
[5] UN Doc A/RES/60/147 https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/basic-principles-and-guidelines-right-remedy-and-reparation
[6] https://www.amnesty.org/en/documents/ASA35/007/2014/en/
[7] https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/04/philippines-investigate-humiliating-abuses-curfew/; https://www.hrw.org/news/2020/03/26/philippines-curfew-violators-abused
[8] https://www.theguardian.com/world/2021/apr/06/philippines-man-dies-after-doing-300-squats-for-breaching-covid-curfew


Foto copertina: Una tipica cella detentiva nelle Filippine dove sono rinchiusi molti minori. (File photo by Vincent Go)