Il 2021 ha mostrato il vero volto del Presidente tunisino Kaïs Saïed, confermato nel 2022 con lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di un referendum sulla Costituzione che ha portato indietro il Paese, annullando i passi compiuti dall’indipendenza. A dicembre si svolgeranno le prossime elezioni legislative che non promettono risultati favorevoli alla democrazia, ma un’altra virata verso l’accentramento del potere nelle sue mani.
A più di tre anni dalle elezioni che hanno visto vincere Kaïs Saïed tracciamo assieme a Frida Dahmani il bilancio non molto positivo del contesto istituzionale tunisino, a fronte dell’ultimo referendum del 25 luglio 2022 che ha portato allo stravolgimento del testo costituzionale. Questo potrebbe essere un passo in più verso una svolta autoritaria cominciata l’anno scorso quando, sullo sfondo delle proteste popolari, il premier aveva arbitrariamente sospeso il Parlamento e il Consiglio superiore della Magistratura, licenziato il capo del governo accusando i membri delle istituzioni di condotte inefficienti e corruzione dilagante.
Si può vedere il referendum come la naturale conclusione delle azioni intraprese da Kaïs Saïed nell’ultimo anno?
“Non è tanto il referendum che lo simbolizza, ma il fatto che la domanda che pone questa consultazione popolare ha portato all’adozione di una nuova costituzione e di un regime politico assolutamente diverso, immaginato dal presidente Kaïs Saied. Sarebbe stata un’opportunità per uscire dalla crisi totale del Paese se il progetto non fosse stato quello di un uomo solo che ha respinto tutti i dibattiti. È difficile accettare che il Paese che ha avuto il coraggio di dimettere Ben Ali e sua dittatura nel 2011, si stia allontanando dalla democrazia ed accetta di nuovo una forma di autoritarismo che si nasconde dietro la maschera del populismo.”.
Come è stato possibile un accentramento così veloce nelle sue mani alla luce delle proteste che dal 2011 hanno avuto come risultato la cacciata del vecchio presidente e un’apertura democratica e più attenta ai diritti umani?
“Per prima cosa, i politici e la società civile non hanno preso in considerazione che la democrazia si costruisce sul lungo periodo. Tutti hanno fatto delle promesse che non sono state mantenute in un ambiente di squallida crisi politica e di corruzione. Una situazione tale che i tunisini sono convinti oggi che la democrazia abbia portato più problemi che risolti; alcuni pensano che bisogna mettere dell’ordine in casa Tunisia e che ci vuole un uomo forte. È così che riuscita ad emergere la figura di Kaïs Saied. Corrispondeva al desiderio di onestà e pulizia espresso dai tunisini. Nessuno ha valutato che queste qualità potevano portare ad un progetto antidemocratico. Bisogna aggiungere che il popolo è stanco e che si sta lasciando andare ad una forma di fatalismo; si dice che “la democrazia non è possibile in una società che non è stata preparata ad accoglierla e che nel 2011 la Tunisia ha ricevuto il pacco senza istruzioni per l’uso”. La disillusione e le difficoltà economiche sono tali che la mobilitazione dell’opinione pubblica diventa difficile. Tutto questo messo insieme ha permesso a Kaïs Saied di imporsi senza nessuna esperienza reale del campo politico.”.
I risultati del referendum danno la netta vittoria al sì anche se il tasso di partecipazione è stato il più basso registrato (quasi 28%). L’astensione promossa dalle forze di opposizione è stata funzionale o ha definitivamente consegnato il Paese in mano a Kaïs Saïed?
“In qualsiasi modo, il referendum è stato solo una mossa di Kaïs Saied per ottenere un plebiscito, che sarebbe stato una conferma data dal popolo. Una conferma in qualche modo dell’entusiasmo popolare di un anno fa. Ma Kaïs Saied aveva già tutti i poteri tra le mani e aveva già tolto di mezzo tutte le istituzioni che potevano ostacolarlo come la Corte di controllo della Costituzione. Una farsa che non era così necessaria per instaurare il suo progetto di regime. I risultati non sono stati quelli scontati; l’astensione ed il boicottaggio hanno vinto il referendum. Ma quelle voci non hanno avuto effetto; le regole del referendum imposte da Kaïs Saied non prendevano in considerazione l’astensione e non davano una soglia al sì. Era certo che anche con solo 5% di voti, il sì sarebbe imposto. Ovviamente questo modo di fare ricorda i tempi di Ben Ali.”.
La nuova costituzione farà un grosso passo indietro rispetto a quella che era Stata votata e approvata nel 2014, soprattutto per quanto riguarda lo stato di diritto, l’indipendenza dei poteri e la questione religiosa. Obiettivo di Kaïs Saïed sembra proprio essere la creazione di uno stato cucito su misura per lui. Si sta presentando un altro Ben Ali?
“Il vestito tagliato su misura ha molti difetti e si contraddice. Per esempio, Kaïs Saied contrappone la sovranità nazionale quando i Paesi occidentali si permettono di criticare le sue decisioni ma nella Costituzione ha tolto le menzioni alla natura civile dello stato e legato la Tunisia alla sfera della umma islamica e araba come se il Paese in sé non le avesse nelle sue radici. Il dramma è che non ha annullato solo gli acquisiti della Costituzione del 2014 ma anche quelli del 1959 che davano le basi dello stato moderno. Da un anno, Kaïs Saied ha distrutto con una grande cura tutta l’opera iniziata da Bourguiba dopo l’indipendenza. Non è un Ben Ali; Ben Ali aveva una forma di rispetto per il percorso compiuto dal Paese. Kaïs Saied è nella linea del populismo che si affaccia da qualche anno nel mondo. Usa degli stessi argomenti e retorica di un Trump o un Orbán, ma è pure nutrito da una miscela composta dalla religione, dal nazionalismo arabo e dai suoi studi in giurisprudenza.”.
Si è affermato che il processo di questo referendum non sia stato trasparente come i precedenti e non ci sia stato dialogo con la società civile. Tutto questo potrebbe innescare nel prossimo futuro il conflitto tra istituzioni e società in luce anche delle prossime elezioni legislative a dicembre 2022?
“L’esperienza del referendum e su come si è svolta la sua parte tecnica è un insegnamento per il potere; è stata una occasione per elencare i punti deboli del sistema elettorale. Però non è granché servito; Kaïs Saied sta facendo preparare una nuova legge elettorale con regole diverse per le prossime elezioni legislative. Il sistema diventerà uninominale e forse si voterà solo per i consigli locali che poi designeranno i membri del consiglio regionale, che a sua volta porterà certi membri al Consiglio nazionale. Si ricorderà il referendum come solo un momento poco trasparente.”.
Chi e quale contesto hanno agevolato le attività accentratici di Kaïs Saïed? Chi lo sostiene all’interno dello stato e della società? Chi dall’esterno delle frontiere tunisine?
“Il sistema parlamentare non si è occupato dei problemi dei tunisini ed il parlamento è diventato un luogo che i politici hanno trasformato in circo, con comportamenti violenti e squallidi. Questa immagine, trasmessa dalla televisione, ha colpito l’opinione che si è rattristata dal modo in cui era gestito il paese. L’odio per la fascia islamista e per i partiti che erano vicini alla corruzione ha fatto in modo che lo scioglimento dell’assemblea fosse un sollievo. Nessuno ha pensato che la democrazia era un capitolo che si stava chiudendo. In reazione, la popolazione ha appoggiato Kaïs Saied che ha avuto il sostegno di numerosissime pagine sui social network. Kaïs Saied non è uscito dal nulla e tra la sua elezione come presidente della Repubblica nel 2019 e la sua offensiva sul potere del luglio 2021, ha preparato con i suoi fedelissimi compagni il contesto del suo successo e gli appoggi necessari dall’estero, presso i Paesi arabi come l’Egitto o gli Emirati Arabi Uniti.”.
Il conflitto russo-ucraino in corso sta provocando la crisi del grano anche in Nord Africa con aumento dei prezzi alimentari e dell’inflazione. Potrebbe questa crisi esacerbare il già malcontento sociale e riproporre una situazione simile alle proteste del 2011, culla delle primavere arabe?
“Le due principali conseguenze economiche del conflitto sulla Tunisia non sono altro che la mancanza di approvvigionamento di cereali e di petrolio. Trovare altre fonti per la fornitura di grano e di petrolio è difficile per la Tunisia che non ha disponibilità finanziarie e non può assorbire l’aumento dei costi. Per superare una situazione che potrebbe creare tensioni sociali, il governo si appoggia sui programmi d’aiuto della Banca Mondiale e dell’Unione Europea.”.
Lavrov sta intraprendendo un viaggio in diverse capitali africane. Come si schiera la Tunisia nel conflitto tra Russia e Ucraina? Quali sono le relazioni con i due Paesi europei?
“All’Assemblea generale dell’ONU, la Tunisia ha votato contro l’aggressione russa in Ucraina. Un atteggiamento scontato dato dal forte tropismo occidentale e soprattutto europeo della Tunisia. Una tradizione consolidata dall’indipendenza nel 1957. La posizione della Tunisia è anche dettata dalle trattive per ottenere prestiti presso i finanziatori internazionali. L’appoggio all’Ucraina non cambierà granché nelle relazioni bilaterali sia con Kiev che con Mosca. Con l’Ucraina le relazioni vanno avanti da 23 anni e dalla fine degli anni ‘60 la Tunisia aveva chiuso con la parentesi socialista, con entrambi i Paesi le relazioni sono di tipo economico più che politico. Ci sarà un impatto, fin ora mal valutato, nel campo della cooperazione nell’ambito degli studi universitari, dato che i giovani tunisini non possono più studiare in Ucraina.”.
Foto copertina: Il presidente tunisino Saied (afp)
*Frida Dahmani corrispondente dalla Tunisia per Jeune Afrique