Nuove e vecchie dinamiche definiscono la regione mediorientale, dove le ripercussioni della guerra in Ucraina non hanno tardato a manifestarsi, anche in modo violento. La visita di Biden ha riacceso i riflettori su un’area che sembrava essere scivolato in fondo alle priorità strategiche Usa.
La Visita di Biden in Medio Oriente
L’importanza del teatro mediorientale sembrava destinata a rimanere in secondo piano, ma i recenti sviluppi internazionali hanno dimostrato che la regione è in fermento, e gli attori in gioco sono determinati a giocare un ruolo tutt’altro che marginale. Il disimpegno americano in Medio Oriente, causato da un’agenda in cui il teatro dell’Indo-Pacifico è in cima alle priorità strategiche, aveva fatto allontanare le luci della ribalta dalla regione. Tuttavia, nel pieno della rovente estate in cui la guerra in Ucraina resta la (ahimè) protagonista indiscussa, Biden si è recato in visita ufficiale in Israele e Arabia Saudita, due dei suoi partner strategici nella regione. Biden è arrivato in Israele il 13 luglio, a meno di un mese dalla crisi politica culminata con la caduta del governo di Naftali Bennet, a cui è succeduto in via temporanea il suo vice Yair Lapid, in attesa di nuove elezioni che dovrebbero svolgersi a novembre di quest’anno. Nelle intenzioni americane c’era sicuramente l’obiettivo di mantenere in piedi l’architettura di sicurezza regionale, che si fonda sulla partnership strategica con Israele, legato a doppio filo all’alleato oltreoceano, e Arabia Saudita (nonostante l’ambiguità di quest’ultima su vari dossier, primo fra tutti quello dei diritti umani). Per Israele il nemico pubblico numero uno rimane l’Iran. La sola esistenza della Repubblica Islamica, la cui retorica antisraeliana può essere quasi considerata uno dei miti fondanti del paese, è un pericolo per Israele e per la concezione che ha della regione e del suo specifico ruolo in essa. Per questo motivo uno dei risultati della visita di Biden è stato la firma di una dichiarazione congiunta in cui si ribadisce l’impegno dei due paesi a impedire all’Iran di dotarsi di un’arma nucleare. Una dichiarazione principalmente simbolica il cui scopo è riaffermare l’opposizione ai piani regionali iraniani, intrinsecamente in conflitto con la visione securitaria promossa da USA e Israele.
Dall’altra parte non è chiaro lo stato dei colloqui sul Nucleare. A inizio anno la percezione era quella di essere a un passo dal finalizzare un nuovo accordo per il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), da cui la precedente amministrazione USA si era unilateralmente sfilata decretando un ennesimo peggioramento dei rapporti con la Repubblica Islamica. Sul paese degli Ayatollah gravano pesanti sanzioni che penalizzano un’economia perennemente sull’orlo del collasso. L’inflazione a luglio 2022 ha raggiunto il 54% (2 punti in più rispetto al mese precedente)[1], e colpisce ogni settore. Recentemente ha fatto impennare i prezzi del settore immobiliare, portando all’esasperazione milioni di iraniani. A inizio agosto i colloqui per l’accordo sono ripresi grazie alla mediazione dell’Unione Europea, che tramite Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune Josep Borrell ha presentato un nuovo testo, facendo di nuovo sperare per una conclusione positiva dei negoziati.
La visita di Biden è proseguita in Arabia Saudita, dove ha incontrato Mohammed Bin Salman, principe ereditario della corona Saudita e personalità discussa, soprattutto dopo l’omicidio di Jamal Khashoggi. Biden sapeva di esporsi a una serie di critiche e rischi incontrando MBS, tanto che ha deciso di chiarire il suo punto di vista sulla sua visita a Ryad in una lettera aperta pubblicata dal Washington Post.[2] Tra le motivazioni presentate da Biden, la necessità di intervenire sul tema della sicurezza energetica. Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha dichiarato il 16 luglio che Riyadh aumenterà la sua capacità produttiva fino a 13 milioni di barili al giorno (bpd) entro il 2027, ben al di sopra della produzione media del regno del 2021 di 10,7 milioni di bpd. Tuttavia, non è chiaro se Riyadh riuscirà effettivamente ad aumentare la sua produzione a questo livello così rapidamente (l’attuale capacità produttiva sostenibile dal regno è di 12,2 milioni di barili al giorno secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia).[3]
Al Summit di Gedda (Jeddah Security and Development Summit), ultima tappa della visita dell’Inquilino della Casa Bianca in Arabia Saudita, Biden ha rassicurato i suoi partner del Medio Oriente: “Permettetemi di affermare chiaramente che gli Stati Uniti rimarranno un partner attivo e impegnato in Medio Oriente.” Ha poi esplicitamente affermato che il pericolo di un eventuale vuoto lasciato dagli Usa sarebbe colmato dall’azione iraniana o peggio (dalla prospettiva americana) dalle iniziative cinesi. [4]
Putin a Teheran incontra Erdoğan e Raisi
A meno di tre giorni dall’intervento di Biden al summit di Gedda, Putin è volato in Medio Oriente, prima in Iran, dove ha incontrato il presidente iraniano Raisi e l’omologo turco Erdoğan. Un incontro dall’alto valore simbolico considerando che rappresenta la prima visita del presidente russo al di fuori dei confini nazionali dall’inizio del conflitto in Ucraina. Tra i temi in agenda il blocco del grano ucraino (poi risoltosi grazie alla mediazione turca e delle Nazioni Unite) e la guerra in Siria, su cui i tre paesi hanno posizioni differenti (Russia e Iran supportano il regime di Assad mentre Erdoğan le milizie d’opposizione in funzione anti-curda). Da parte russa l’intento è quello di rafforzare i suoi legami nella regione, e la concomitanza con la visita di Biden in Israele e Arabia Saudita non è di certo un caso. Il messaggio di Putin è chiaro: la Russia non è isolata. Chi sta cercando di trarre vantaggio dal conflitto ucraino e gli spostamenti di equilibrio è sicuramente la Turchia, con le sue ambizioni neo-imperiali Ankara cerca di ritagliarsi un ruolo di primo piano, sfruttando quella che di fatto è una posizione quanto meno ambigua, data la sua membership nella Nato e la contemporanea linea d’azione spregiudicata con la quale persegue i suoi interessi strategici. Con l’Iran l’impegno turco è quello di aumentare le importazioni di petrolio e gas da Teheran, ridotte negli ultimi anni a causa delle sanzioni. Erdogan e Raisi hanno fissato un obiettivo di 30 miliardi di dollari di scambi. Tuttavia, l’obiettivo turco a Teheran era molto più probabilmente quello di assicurarsi un via libera a un’azione militare in Siria (che non è arrivato).[5] Anche per l’Iran l’incontro ha un valore simbolico, quello di contestare lo schema imposto dall’occidente. Secondo Khamenei la NATO è un “entità pericolosa”.[6] Stando a quanto riportato dalla Casa Bianca, l’Iran si prepara a fornire alla Russia una partita di droni che serviranno ad aumentare la capacità offensiva russa nel conflitto con l’Ucraina.[7]
Gli sviluppi in Yemen, Libano e Iraq
A subire il corso degli eventi sono ovunque i cittadini, specialmente in contesti caratterizzati da una forte insicurezza. Yemen, Libano, Siria e Iraq soffrono, per ragioni diverse, un quadro economico-sociale preoccupante. Sebbene la tregua in Yemen sia stata prolungata per altri due mesi – fino al 2 ottobre – la situazione rimane incerta. L’inviato delle Nazioni Unite Hans Grundberg ha sottolineato come permangano gravi difficoltà a livello umanitario, aggravate dalla situazione delle strade, che impedisce il trasporto di generi di prima necessità e medicinali.
Il Libano ha violentemente risentito delle ripercussioni della crisi Ucraina. Ad aggravare le difficoltà di un paese sull’orlo del collasso si è aggiunto l’improvviso taglio della linea di approvvigionamento alimentare proveniente da Ucraina e Russia. Fino a due anni fa il paese dei cedri dipendeva per il 66 per cento del grano di cui aveva bisogno dall’Ucraina e per il 12 dalla Russia.[8] Da aprile 2019 la lira libanese ha perso il 99% del suo valore. I prezzi dei beni di prima necessità aumentano esponenzialmente, gran parte della popolazione vive ormai sotto la soglia della povertà. (il 1° gennaio erano 3.5 milioni). Le elezioni di maggio hanno tuttavia segnato in qualche modo una svolta; i candidati appartenenti ai partiti “storici” hanno perso consensi in favore di personalità indipendenti. Hezbollah, Amal, il Movimento Patriottico Libero e i loro alleati detengono solo 62 seggi nel nuovo parlamento, e ne occorrono almeno 65 per formare un governo. Uno dei rischi maggiori è quello di una paralisi politica e istituzionale, che non farebbe che aggravare la crisi economica e sociale in cui versa il Libano.[9]
In Iraq la situazione è ugualmente incandescente. A quasi un anno dalle elezioni (ottobre 2021), non si è ancora giunti a un accordo per la formazione del governo. La situazione è peggiorata dopo le proteste dei sostenitori di Moqtada al-Sadr. Dopo l’approvazione del Food Security and Development Bill i parlamentari legati al religioso sciita hanno rassegnato le dimissioni, a cui sono seguite proteste e persino l’occupazione del parlamento in seguito alla nomina da parte del Quadro di Coordinamento Sciita di un candidato premier, Mohammad al-Sudani, ostile al fronte sadrista. Si tratta di un pericoloso stallo politico per un paese alle prese con gravi deficienze economiche.[10]
Note
[1]Trading Economics, Iran Inflation Rate July 2022, https://tradingeconomics.com/iran/inflation-cpi
[2]The Washington Post, Joe Biden: Why I’m going to Saudi Arabia, 9 luglio 2022
[3]Fatima Abo Alasrar, Biden’s Trip was a start, but the US needs to sustain its influence in the Gulf, Middle East Institute, 29 Luglio 2022
[4]Discorso di Biden al Summit di Gedda https://www.youtube.com/watch?v=63SDoDQz-sI
[5] Italian institute for International Political Studies, Putin’s meeting with Raisi and Erdogan, 21 luglio 2022
[6]Robert Picheta, Anna Chernova, Uliana Pavlova, Chris Liakos Putin arrives in Iran for first trip outside former Soviet Union since his invasion of Ukraine, CNN, 20 luglio 2022
[7]Natasha Bertrand, Maegan Vazquez, White House Says Iran is preparing to supply weapons-capable drones, CNN, 11 luglio 2022
[8]Francesca Caferri, La crisi del grano strangola il Libano, La Repubblica, 8 giugno 2022
[9]Federico Manfredi Firmian, Elezioni in Libano: Hezbollah indietreggia, avanzano volti nuovi, ISPI, 18 maggio 2022
[10]Iraq, I manifestanti sciiti pro-Sadr occupano il parlamento contro il candidato premier pro Iran, La Repubblica, 31 luglio 2022
Foto copertina: Mappa del Medio Oriente