L’Afghanistan vent’anni dopo, intervista all’ambasciatore Khaled A. Zekriya


A seguito della conferenza tenutasi lo scorso novembre (2021) presso il Museo della Pace di Napoli, abbiamo avuto modo di porre qualche domanda all’ambasciatore Khaled A. Zekriya sul presente ma anche sul futuro del suo Afghanistan.


Traduzione a cura di Aurora Minieri

Anche se la situazione della guerra in Ucraina (successiva all’invasione della Russia) ha guadagnato la ribalta della politica internazionale, il caso afgano resta ancora di prima importanza per capire la politica internazionale contemporanea. A poco più vent’anni dall’11 settembre del 2001, i recenti sviluppi dello Stato afgano ci raccontano delle fondamentali trasformazioni dell’ordine internazionale oggi. Per discutere di questi processi tramite la viva voce dei protagonisti, lo scorso novembre, presso la suggestiva location offerta dal Museo della Pace di Napoli si è tenuta, sotto patrocinio dell’Italian Institute for Future, il Center for European Futures, il Centro di Studi sull’Europa Contemporanea e la Fondazione Mediterraneo, una importante conferenza sull’Afghanistan, che cade – come notato in precedenza – vent’anni dopo il fatidico intervento della coalizione internazionale a guida Usa contro il regime dei Talebani e Al-Qaeda. Ospite d’onore della conferenza è stato l’Ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell’Afghanistan in Italia, S. E. Khaled A. Zekriya.

Roma, 8 marzo 2022 S.E. l’Ambasciatore Khaled A. Zekriya Opinio Juris


Durante il suo intervento l’ambasciatore ha mostrato gratitudine per gli sforzi italiani per il suo paese e ha esposto i suoi dubbi e le sue perplessità sul futuro dell’Afghanistan e sui possibili scenari nei quali potrebbe incorrere. Particolare accezione, durante l’intervento dell’ambasciatore, è stata posta sulla grave situazione umanitaria ed economica in afgana e soprattutto sulla condizione delle donne da quando i Taliban hanno preso il potere. Potere che a più riprese è stato definito come illegittimo dall’Ambasciatore che ha esposto come, per il diritto internazionale, i Taliban non detengano legittimamente il governo del paese. L’Afghanistan, ha continuato l’Ambasciatore, ha una propria costituzione (in vigore dal 2004) e che resta internazionalmente valida ancora oggi. Le ambasciate afghane nel mondo, ha spiegato, sono in contatto tra loro facendo fronte comune nei confronti di questa crisi. Altro particolare focus è stato posto dall’Ambasciatore sull’instabilità stessa del governo Taliban che ad oggi ha grandi difficoltà nel gestire la struttura statale (compito aggravato dalla fortissima crisi economica e dalla pandemia da Covid-19) ed è anzi minacciato su più fronti da numerosi gruppi armati e di non state actors interni e limitrofi che mettono a rischio l’integrità stessa dell’Afghanistan. Una situazione quanto mai instabile che sta favorendo le mire di alcuni attori internazionali, in particolare la Cina che ha a più riprese mostrato interesse nel trattare con il governo Taliban per favorire la sua strategia geopolitica e geoeconomica (Belt and Road Initiative e Tapi in particolare). Infine, addirittura “ironiche” sono state le parole dell’Ambasciatore verso gli accordi di Doha, che hanno di fatto sancito l’”abbandono” dell’Afghanistan e del governo democratico da parte delle truppe Usa e Nato, lasciando il paese in balia dei Taliban.

Celebrati in pompa magna a due anni dall’inizio dei negoziati con i talebani, gli Accordi di Doha, non hanno comunque garantito la pace tanto auspicata. Siglato nella capitale qatariota il 29 febbraio 2020, l’accordo prevedeva il ritiro completo delle truppe straniere dall’Afghanistan, entro la fine di aprile 2021. I punti più controversi dell’intesa però, riguardano la riduzione della violenza e il rapporto con al-Qaeda. Il testo prevedeva che i Talebani lanciassero “un chiaro segnale” ad al-Qaeda e alle organizzazioni terroristiche, senza fornire ulteriori dettagli e senza esplicitare i meccanismi di verifica del rispetto dell’impegno.[1]

Le parole dell’Ambasciatore hanno mostrato un quadro sicuramente non facile e che risulta ancora in fase di definizione. Al contempo, tali parole hanno anche sollevato diverse importanti questioni. Alcune di queste sono diventate altrettante domande che ho posto direttamente all’ambasciatore in una breve intervista proposta qui di seguito.

L’intervista

Durante la conferenza, lei ha brevemente menzionato che le ambasciate afghane in tutto il mondo hanno mantenuto i contatti con il governo talebano dopo la caduta di Kabul. Avete ricevuto comunicazioni ufficiali dai talebani? In caso affermativo, qual è – se esiste – la linea comune delineata dalle ambasciate per far fronte a tale situazione?

“Durante la conferenza, ho segnalato che alcune delle nostre missioni di stanza nella nostra regione (Asia centrale e meridionale e negli Stati del Golfo) potrebbero essere in contatto con i talebani. Per quanto riguarda la nostra ambasciata e missione a Roma, poiché il Ministro degli Esteri ad interim dei talebani ha cercato di mettersi in contatto con me e ci ha inviato diversi promemoria, ho risposto ai loro intermediari che da quando i talebani hanno preso il potere con la forza e sono privi di legittimità interna ed esterna, incluso il non riconoscimento diplomatico, non prendo ordini né rispondo alle loro lettere. In qualità di orgoglioso rappresentante e servitore della Repubblica islamica dell’Afghanistan, sono pronto a proteggere la costituzione dello stato, la repubblica e i nostri cari diritti e valori di cittadinanza democratica a cui noi e i nostri partner internazionali abbiamo lavorato così duramente per proteggerli negli ultimi 20 anni in Afghanistan. Siamo debitori per i sacrifici dell’Italia resi nel sangue e nel tesoro in Afghanistan. Non sarà vana la perdita delle preziose vite dei 53 valorosi soldati italiani nella lotta al terrorismo globale e per la tutela della democrazia in Afghanistan e dei 700 soldati italiani che ancora risentono delle ferite di questa guerra. I loro sacrifici saranno contrassegnati come immortali nella storia contemporanea dell’Afghanistan.”

L’attuale crisi umanitaria in Afghanistan è estremamente grave. In questa crisi, sembra che soprattutto la condizione delle donne stia sollevando serie preoccupazioni nei media occidentali e globali. Pensa che la politica dei talebani nei confronti delle donne – che probabilmente peggiorerà il loro status lavorativo e sociale generale – porterà a (I) un maggiore interesse generale internazionale e (II) un approccio più proattivo da parte della comunità internazionale?

“In quanto movimento islamista radicale e transnazionale, sponsorizzato e sostenuto da vari attori statali e non statali, il gruppo talebano non può e non vuole modificare le proprie opinioni sui diritti delle donne afghane a causa del loro indottrinamento nella Madrasa in Pakistan. Quindi, deradicalizzare un gruppo radicale è una pia illusione. Alcuni leader talebani più anziani e relativamente moderati nel gruppo di Doha che vogliono mostrare una certa clemenza nei confronti delle donne e delle ragazze afghane, o non possiedono il potere centrale e/o non vogliono alienarsi e creare ulteriore frammentazione tra i ranghi talebani, i soldati di fanteria e le loro affiliate terroristiche come Al Qaeda ecc. Quindi, la cultura della vigilanza morale continuerà ad essere applicata alle donne in Afghanistan. In vista della continua violazione dei diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan, inclusi rapimenti, incarcerazioni, torture e uccisioni, la comunità internazionale, in particolare i gruppi per i diritti umani, le Nazioni Unite, alcuni stati e la società civile si sono adoperati per far sì che i talebani siano ritenuti responsabili delle loro azioni. Tuttavia, alcuni stati hanno abbassato le loro aspettative nei confronti dei talebani impegnandosi apertamente o di nascosto con i talebani al riconoscerli diplomaticamente. In effetti, alcuni di questi stati hanno consentito a diplomatici talebani di lavorare nelle missioni IRoA prima del riconoscimento del regime talebano. Queste aperture sono una forma indiretta di concessione di legittimità diplomatica al regime talebano. Sfortunatamente, questa è una ripetizione delle politiche della fine del 1996 e dell’atteggiamento adottato da alcuni stati con il regime talebano 1.0 indipendentemente dalla loro violazione dei diritti umani e dalle attività terroristiche in Afghanistan. Il rapimento da parte dei talebani di donne afghane innocenti, membri della società civile e giornalisti, il divieto di istruzione, la soppressione dell’accesso alle informazioni, il soffocamento dei media, l’ospitare terroristi, il rapimento di cittadini stranieri, la formalizzazione della repressione di genere e quindi l’utilizzo di ciascuno di questi elementi come merce di scambio nei negoziati per ottenere il riconoscimento diplomatico è molto allarmante. Pertanto, se questa tattica porta al loro riconoscimento diplomatico, ciò creerà sicuramente un precedente e incoraggerà e istigherà altre organizzazioni terroristiche a rovesciare governi legittimi in altre parti del mondo. Questo sarebbe un cambio di paradigma che turberebbe l’ordine internazionale del 21° secolo.”

Recentemente in un intervista rilasciata ad Opinio Juris (Leggi l’intervista), il Gran Mufti emerito di Bosnia Mustafà Céric, ha parlato a lungo della situazione afghana e della lettera aperta di ammonimento che ha inviato ai talebani (leggi la lettera). Il Gran Mufti ha anche espresso l’idea di creare un corridoio umanitario tra Afghanistan, Bosnia e Italia. Attualmente, siete in contatto con alte cariche religiose? Potrebbe una strategia comune tra politici e leader religiosi spingere i talebani a considerare l’opzione di un governo più inclusivo e moderato?

“Attualmente non sono in contatto con alti uffici religiosi. Ma sostengo pienamente qualsiasi politica o strategia tra i circoli/leader religiosi islamici ed i talebani per spingerli verso il considerare la formazione di un governo inclusivo e rappresentativo in Afghanistan. Nonostante i continui sforzi dell’OIC e le dichiarazioni religiose del teologo islamico (Fetwa) per incoraggiare i talebani verso la moderazione e l’inclusività, le loro risposte all’appello della comunità islamica sono state negative. In effetti, in alcune delle ultime interviste condotte con membri dei talebani, i talebani hanno esplicitamente indicato che l’approccio di tutti i paesi islamici all’Islam e al governo è una piena deviazione dagli insegnamenti di ciò che chiamano e incarnano come “vero Islam”! Quindi, c’è sicuramente da dire che la sfida dei talebani non conosce limiti e che i loro sei mesi di diplomazia dell’ostaggio con impunità non cambieranno; l’apartheid di genere, le violazioni dei diritti umani fondamentali, gli arresti extragiudiziali ed i crimini contro l’umanità commessi sotto i talebani continueranno fino al loro crollo.”

Tornando alla citata conferenza di Napoli, lei ha parlato con seria preoccupazione dell’accordo di Doha. L’accordo, infatti, può essere considerato come il passo finale della strategia di ‘guerra al terrore’ che – dopo vent’anni e enormi perdite su molti livelli – ha fatto i conti con quegli stessi gruppi terroristici contro cui è stata sollevata. A questo proposito, le ambasciate afghane si sentono abbandonate dalla scelta degli Stati Uniti di fare accordi con i talebani (considerando anche la politica di disimpegno dal Medio Oriente che stanno portando avanti soprattutto dopo la presidenza Obama)? Pensa che, data la scelta degli Stati Uniti, altri attori internazionali avranno una voce più proattiva nella situazione di stallo afghana?

“Mi riferisco alla firma dell’accordo di Doha tra Stati Uniti e talebani come all’ultimo chiodo battuto nella bara della nostra Repubblica Democratica. Purtroppo, il ritiro unilaterale e irresponsabile degli Stati Uniti dall’Afghanistan ha portato alla sepoltura della bara della nostra Repubblica Democratica. La prossima cosa più inquietante della risposta del presidente Biden all’attuale crisi in Afghanistan è il modo in cui tende a trattarla come un fastidio che è stato ingiustamente imposto agli Stati Uniti piuttosto che come un serio problema morale, strategico e umanitario in cui hanno avuto un ruolo maggioritario per 40 anni. Credo fermamente che non solo le ambasciate afghane, ma anche il popolo dell’Afghanistan e molte nazioni si sentano distaccati e/o abbandonati dalle scelte unilaterali e dagli accordi secondari degli Stati Uniti. Sembra che gli Stati Uniti stiano ripetendo gli stessi errori della fine degli anni ’90, quando i Talebani 1.0 assunsero il potere in Afghanistan. Non so se ciò derivi dalla mancanza di memoria istituzionale degli Stati Uniti o dalle ambizioni della campagna presidenziale dell’amministrazione statunitense. Per quanto riguarda altri attori internazionali, sfortunatamente sembra che la maggior parte abbia seguito e seguirà l’approccio e le politiche statunitensi che affrontano l’attuale stallo afgano con i talebani e altre questioni internazionali in tutto il mondo.”

Sembra sempre più chiaro che i talebani hanno grandi difficoltà a gestire l’amministrazione ordinaria di uno Stato – se non ricorrendo al terrore e alla violenza. Ad esempio, la burocrazia, la politica monetaria, la fornitura di beni e servizi, i salari, ecc., richiedono strutture e capacità importanti che il governo talebano sembra mancare. In relazione a questo, e data anche la strategia degli Stati Uniti, secondo lei questa “fragilità” darà più spazio di manovra ad attori come la Cina e altre potenze straniere? In altre parole, questa condizione può essere un fattore abilitante per altri paesi per aiutare a ricostruire le strutture statali e quindi avere una voce maggiore nella regione?

“L’attuale fragilità deriva dai fallimenti della politica estera statunitense nel non affrontare la vera causa del terrorismo che deriva da vari circoli in Pakistan che sostengono le reti terroristiche. Se ciò non viene affrontato di conseguenza, l’estremismo religioso/terrorismo, che è la più grave minaccia esistenziale per l’Afghanistan, avrà terribili conseguenze per il Pakistan, la regione e oltre. Ciò che rende le cose spaventose è il patrocinio statale di gruppi estremisti/terroristici. Inizialmente, quando i talebani hanno preso il potere, ciò è stato visto come un’opportunità e un fattore abilitante per alcuni dei nostri vicini naturali e vicini di casa per ottenere concessioni dai talebani riguardo alle risorse sotterranee e idriche dell’Afghanistan così come l’accesso impunito alla connettività all’Asia centrale. Tuttavia, con il passare del tempo e la fine della luna di miele del regime, questi paesi si sono resi conto che l’impegno ideologico dei talebani è di gran lunga maggiore nei confronti dei gruppi estremisti/terroristi e secessionisti che vogliono rovesciare le rispettive strutture statali più che nei loro reciproci interessi economici/finanziari. Ad esempio, l’ex parlamentare Zia Arayee Nezhad riferisce che recentemente nella provincia del Badakhshan i talebani hanno iniziato a rilasciare carte d’identità afgane a centinaia di combattenti di gruppi terroristici uiguri e dell’Asia centrale per proteggere i beni strategici e gli interessi dei talebani. In tali condizioni, ultimamente varie strutture statali della regione hanno chiesto la formazione di un governo inclusivo in Afghanistan sapendo che non possono fidarsi del regime talebano.”

Lei ci ha parlato dei possibili scenari futuri dell’Afghanistan e più in generale del governo talebano. Una parte importante delle sue riflessioni ha tenuto conto dei numerosi attori non statali (armati e radicali) attivi sul terreno, che sfidano il potere stesso dei talebani e l’integrità dell’Afghanistan. A questo proposito, pensa che una nuova guerra civile e lo smembramento del territorio afghano potrebbero essere una possibilità infelice? E cosa può fare la Comunità Internazionale per fermare un tale scenario?

“A questo punto, credo che in nessun caso ci sarà mai una guerra civile. Il popolo afghano è pienamente consapevole delle conseguenze di una guerra civile. Se il regime talebano crolla, le forze di pace delle Nazioni Unite devono intervenire e riempire questo vuoto con l’unica alternativa legale praticabile e contestabile, la Repubblica islamica dell’Afghanistan, fino a quando non sarà possibile stabilire il terreno per elezioni trasparenti in Afghanistan. Consigliamo alla comunità internazionale mentre continuano col loro impegno operativo e politico con i talebani, allo stesso tempo osserviamo attentamente gli eventi sul campo nel caso in cui i primi segni di frammentazione e collasso si manifestino sul territorio.”


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Note

[1] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/speciale-afghanistan-la-versione-di-biden-31369


Foto copertina: Esterno Ambasciata della Repubblica islamica di Afghanistan a Roma. Foto: Opinio Juris 08-03-2022