Russia e Cina: un asse tattico – in quanto alleanza “empia” tra realtà apparentemente incompatibili – non esente da sfide e tensioni, che potrebbero altresì compromettere la piena realizzazione di ciò che è in palio: la conformazione del domani. Intervista all’autore Emanuel Pietrobon.
“Il vero protagonista di quello che un tempo gli Stati Maggiori chiamavano la “grande strategia” è il Partito Comunista cinese: quello che farà la leadership di Pechino dopo la lacerante scelta di Putin segnerà le sorti di quel fenomeno che chiamiamo globalizzazione”. È la previsione del politologo e docente Salvatore Santangelo circa la determinatezza del ruolo cinese nella ridefinizione del nuovo ordine mondiale ad aprire “L’Orso e il Dragone”, l’ultimo lavoro editoriale di Emanuel Pietrobon e Federico Giuliani edito da La Vela (2022). Un volume dedicato all’Intesa tra due attori chiave del sistema internazionale che, sulla base di interessi comuni e una forte relazione economico-commerciale, agiscono ponendosi apertamente in contrasto con la visione occidentalo-centrica a trazione americana della globalizzazione.
Furono l’intervento statunitense in Serbia e l’entrata della NATO nelle guerre jugoslave, con l’operazione Deliberate Force del 1995 ma soprattutto Allied Force del 1999, a segnare le sorti dell’avvicinamento tra Russia e Cina degli anni successivi. Come dettagliatamente descritto dagli autori attraverso la ricostruzione dei contatti tra l’allora Primo Ministro russo Yevgeny Primakov e il Vicepresidente USA Al Gore, alla luce dell’erosione della persuasività diplomatica russa e di una temibilità politica nel post-guerra fredda piuttosto ridotta, i tentativi di Eltsin di impedire il bombardamento di Belgrado si rivelarono del tutto vani. Al contempo, la reazione di Washington – che si rese responsabile di un attacco all’ambasciata cinese di Belgrado non appena appreso del sostegno cinese a Milošević in termini di intelligence e consulenza militare – contribuì ulteriormente alla presa di coscienza di Mosca e Pechino dei reali moventi dell’Alleanza Atlantica, così come dell’estrema attualità della strategia occidentale di contenimento nonostante la fine delle tensioni bipolari.
Dopo un quinquennio di relativo “cessate il fuoco” in concomitanza con la War on Terror promossa dall’amministrazione Bush, per la Russia il 2004 ha nuovamente segnato una rottura nei rapporti con gli Stati Uniti, artefici dell’allargamento della NATO nello spazio post-sovietico. Fu in questo contesto che – tre anni dopo – il neo presidente Vladimir Putin pronunciò un celebre manifesto contro il modello unipolare in occasione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco e revocò la Partecipazione del Cremlino al Trattato sulle forze convenzionali in Europa del 1990. Tuttavia, la svolta arrivò nel 2008, con l’apertura delle porte dell’Alleanza Atlantica a Georgia e Ucraina e il supporto all’integrità territoriale di Armenia, Azerbaigian e Moldavia. Una svolta che ebbe il suo capolinea nel 2014, con i fatti di Euromaidan in Ucraina.
Dal volume di Pietrobon e Giuliani si evince dunque un percorso di progressivo allontanamento della Russia dall’Occidente e, parallelamente, di avvicinamento ad una Cina altrettanto turbata dalla percezione di un accerchiamento euro-americano. Le due potenze egemoni dell’Eurasia hanno, pertanto, gradualmente istituzionalizzato la propria visione di lungo termine attraverso un partenariato strategico che – a posteriori – ha dato vita ad un asse sempre più consolidato. Un asse tattico – in quanto alleanza “empia” tra realtà apparentemente incompatibili – non esente da sfide e tensioni, che potrebbero altresì compromettere la piena realizzazione di ciò che è in palio: la conformazione del domani. Abbiamo discusso di questi temi e del futuro prossimo dell’Intesa tra Russia e Cina con l’autore Emanuel Pietrobon.
Per quale motivo il 1999 rappresenta il punto di partenza determinante per comprendere tanto l’attuale conflitto in Ucraina, quanto l’esordio dell’Intesa Cordiale tra Russia e Cina?
“Nel libro, io e il mio collega, definiamo il 1999 l’anno del destino. Fu un anno intenso, in termini di eventi, caratterizzato da una vera e propria “pioggia di storia” che avrebbe lasciato strascichi negli anni a venire, che la Guerra al terrore coprì soltanto. Il 1999 fu l’anno che spinse lo stato profondo russo a disfarsi di Boris Eltsin, la cui politica rischiava di condurre la Federazione al collasso, ad una nuova ma più tragica e sanguinosa implosione simil-sovietica. Eltsin che si fece umiliare pubblicamente con l’avvio di Allied Force e la celebre virata a Mosca di Primakov. Eltsin che non comprese l’importanza del Kosovo, lasciando che la NATO uscisse vincitrice dal quasi-scontro militare del 12 giugno 1999. Eltsin che, è storia, fu aiutato dalla Central Intelligence Agency a reprimere l’opposizione di nostalgici nei primi anno Novanta e che per questo, probabilmente, mantenne una politica molto remissiva e acquiescente verso gli Stati Uniti, sullo sfondo di una certa indifferenza verso il terrorismo e i separatismi che minacciavano di far deflagrare la Federazione. Il 1999 fu un anno ricco di emozioni (e di lezioni) anche per la RPC, che il 7 maggio fu testimone del bombardamento della propria ambasciata a Belgrado. 3 morti e 20 feriti. La versione dell’incidente, causato da una mappa non aggiornata, non li convinse e non li ha convinti nemmeno oggi. Una punizione per l’appoggio dato ai serbi, alleati di ferro di Pechino sin dai tempi di Tito. Ma una punizione molto severa, visto l’obiettivo colpito, e ritenuta precorritrice di possibili episodi più gravi se agli Stati Uniti fosse stato consentito di prolungare il momento unipolare. Nel 1999, in breve, russi e cinesi capirono per la prima volta che il momento unipolare avrebbe dovuto essere combattuto, preferibilmente insieme. Perché la posta in palio era la loro stessa esistenza. E quell’anno, così importante eppure trascurato dalla storiografia, si concluse eloquentemente con la caduta di Eltsin e con l’ascesa di Putin.”
Quali fattori hanno contribuito alla maturazione della convinzione che fosse necessario un asse antiegemonico in chiave anti-occidentale tra le due ex potenze dormienti? E per quale ragione Russia e Cina – inizialmente non troppo reticenti a un ordine stabile a guida americana – hanno, di fatto, inaugurato una nuova “guerra fredda” tra Occidente e Oriente?
“La Russia è uscita quasi distrutta dal breve ma intenso paragrafo Eltsin, con un’economia ridotta allo stato brado, una società ostaggio della violenza dilagante, l’integrità territoriale minacciata dal separatismo etno-religioso e l’estero vicino esposto alle manovre di potenze concorrenti, in primis quelle occidentali. Putin, figlio di quegli anni, fu eletto dallo stato (più) profondo con un obiettivo preciso: invertire la rotta intrapresa da Mosca, recuperando l’antico splendore e trattando una pace meno ignominiosa con l’Occidente uscito vittorioso dalla Guerra fredda. Il problema, forse, è sempre stato questo: le guerre finiscono con una conferenza che mette d’accordo tutti, o perlomeno li unisce nel disaccordo, mentre la Guerra fredda è terminata in maniera sui generis, senza una qualche forma di concerto che stabilisse la forma dell’ordine postbellico. Putin, non a caso, negli anni ha parlato a più riprese della necessità di una nuova Vienna, dello spirito di Jalta, et similia; messaggi chiaramente diretti a Washington – ma rimasti inascoltati.
Per quanto riguarda la Cina, penso che l’errore di fondo sia stato sostanzialmente uno: non l’abbiamo capita. La classe dirigente americana si è a lungo cullata nell’illusione che gli investimenti potessero democratizzare il PCC, che Hollywood e soci potessero occidentalizzare le masse cinesi, incoraggiandola a chiedere un cambio dal basso, ma ciò non è avvenuto. E la Cina, che mai è stata una potenza periferica e remissiva – con l’eccezione del Secolo dell’umiliazione –, ha rialzato la testa una volta acquisito il capitale, le competenze e il potere necessarie. Una delle strategie di rinascita imperiale più pazienti e lungimiranti della storia. In sintesi: entrambe le potenze sono guidate da una voglia di rivalsa, una che ha origini più recenti – la Russia che vorrebbe in qualche modo riscrivere il finale della Guerra fredda – e una che ha radici profonde e remote – la RPC che ha conservato la memoria del Secolo dell’umiliazione –, che le classi dirigenti nostrane hanno un po’ ignorato e un po’ misinterpretato, condendo il tutto con agende estere espansionistiche che hanno esacerbato la tensione e accelerato una tendenza pre-esistente – ossia il ritorno di Russia e RPC nella storia (e nel sistema internazionale). Penso che questa riedizione della guerra fredda fosse inevitabile.”.
“Mosca ha intenzione di dominare nella propria sfera di influenza; Pechino studia per avere ambizioni globali”. Da questa affermazione si evince un certo sbilanciamento tra il peso politico ed economico globale delle due potenze, confermato – peraltro – dal diverso grado con cui il Pentagono percepisce la minaccia a breve o lungo termine di Russia e Cina. Tale asimmetria potrebbe – nel medio periodo – minare la stabilità dell’Intesa?
“Potrebbe, ma ad oggi non viene percepita come un problema dalla Russia. Siamo più noi, dove per noi intendo occidentali, a parlare di questa asimmetria e del modo in cui strumentalizzarla a nostro uso e consumo. Esiste sicuramente una paura gialla in salsa russa, che ha origini antiche ed è storicamente motivata, ma ad oggi è ristretta alla popolazione – gli abitanti di Siberia ed Estremo Oriente – e ad alcuni partiti politici dell’estrema sinistra e dell’estrema destra. Non appartiene né a Russia Unita né a Putin.
Penso che i nodi, prima o poi, verranno al pettine. È inevitabile: troppo elevato è lo squilibrio, sotto ogni punto di vista, che va aumentando anno dopo anno – pandemia e guerra in Ucraina hanno accelerato questa tendenza. Dovremmo chiederci, però: siamo sicuri che Mosca e Pechino regoleranno i conti come pensiamo/vorremmo noi? Parliamo di due potenze storiche, che hanno fatto i compiti di casa, e che sono consapevoli di un fatto: farsi la guerra o litigare farebbe il gioco dell’Occidente, del quale vogliono invece disfarsi. Questo è uno dei due motivi principali per cui agitare lo spettro della paura gialla non ha funzionato ad oggi: per la Russia è più importante riscrivere il finale della Guerra fredda che contrastare l’ascesa della RPC.
Il secondo motivo principale è che l’Occidente agita questo spettro, ma non fa nulla per trasformarlo in poltergeist. I consigli di Henry Kissinger sono rimasti inascoltati e la Russia, elemento debole del partenariato, non è stata corteggiata da chi la vorrebbe usare contro la RPC. Inevitabile, dunque, che il loro partenariato vada consolidandosi. Ma l’obiettivo degli Stati Uniti, forse, è proprio questo: spingere i due giganti ad una collaborazione sempre più stretta attraverso l’attuale strategia del doppio contenimento, nella speranza-aspettativa che diventi asfissiante e li conduca al naufragio. La storia darà ragione o torto a questa visione.”.
Nell’ambito dei propri rapporti commerciali bilaterali, Russia e Cina hanno drasticamente ridotto l’uso del dollaro. Anche a fronte dei pacchetti sanzionatori occidentali in seguito all’operazione speciale di Putin in Ucraina, la contrazione nell’impiego della moneta statunitense tra i due Paesi potrebbe essere inserita in un’ottica di de-dollarizzazione?
“Russia e Cina hanno cominciato a ridurre progressivamente l’utilizzo dei dollari nel loro interscambio, e nell’interscambio con l’estero, dal 2014, cioè da quando l’Occidente introdusse il primo regime sanzionatorio con il Cremlino. La de-dollarizzazione è parte del più ampio disegno intelligente che muove i piedi dei due colossi asiatici e costituisce, peraltro, uno degli obiettivi più importanti del loro partenariato: de-dollarizzare significa abbattere le fondamenta dell’Impero americano, riducendone significativamente la presa sul mondo e l’efficacia di una delle sue armi più letali – la guerra economico-finanziaria. Ed è una causa supportata, tra l’altro, da gran parte del mondo.”.
Quale ruolo hanno avuto l’Unione Economica Eurasiatica e la Belt and Road Initiative nel perseguimento dell’obiettivo comune di Russia e Cina di de-occidentalizzazione dell’Eurasia come superamento dell’unipolarismo?
“Un ruolo enorme. L’UEE e la BRI sono per Russia e RPC ciò che l’UE ha rappresentato a lungo per gli Stati Uniti: uno strumento egemonico con cui controllare meglio i destini dei cosiddetti “cortili di casa”.
La Russia, attraverso l’UEE, ha securizzato Bielorussia e parte dell’Asia centrale, creando una comunità sovranazionale che dietro il paravento della cooperazione economica ha gettato le basi per una più stretta collaborazione politica. Senza dimenticarci dell’esistenza del Trattato di Sicurezza Collettiva, che ha esordito in Kazakistan a inizio 2022. La guerra in Ucraina, comunque, ha dimostrato come tra gli stati postsovietici vi sia una voglia di libertà – letterale – resistente alle pressioni del Cremlino: l’UEE non è diventata uno scudo antisanzionatorio e l’opposizione di Nur-Sultan, in particolare, ha evitato che si creasse un precedente politico molto importante, e cioè l’adozione di controsanzioni congiunte contro Stati Uniti e UE. Eventi storici, che la Russia terrà in debita considerazione e spianano la strada a scenari interessanti – il Grande Gioco 2.0 è ufficialmente qui.
La RPC sta utilizzando la BRI, più che per l’Asia in sé, per aumentare la presa sull’intera Eurafrasia. Il più grande, costoso e ambizioso progetto di interconnessione infrastrutturale mai concepito da mente umana. Ricorda il sistema di rotte, avamposti e porti costruito dall’Impero britannico durante l’età dell’imperialismo del libero commercio, che del resto mira a sostituire e superare – perché oggi utilizzato dagli Stati Uniti, che tramite esso continuano a egemonizzare l’Indo-Pacifico e le rotte-chiave della globalizzazione.
UEE e BRI sono naturalmente complementari, perché la prima è un’organizzazione sovranazionale e la seconda è un mastodontico contenitore di investimenti e accordi di libero scambio. Inoltre, entrambi i progetti hanno un fine comune: accelerare la fine dell’unipolarismo economico, rappresentato dalla dollarocrazia. Tutti i membri dell’UEE sono anche entusiasti sostenitori della BRI, Russia in primis, e questo la dice lunga sulla loro affinità – che è l’anticamera di un rapporto duraturo.”.
Nonostante un terzo del territorio della Federazione faccia parte dell’Estremo Nord al di sopra del Circolo Polare Artico, la Russia non sembra nutrire particolari preoccupazioni per la questione climatica. Dal punto di vista strategico, quale ruolo ricopre l’Artico per la Russia? In tale contesto, come si inserisce la Cina? “La questione climatica interessa molto alla Russia, ma non nel modo in cui interessa all’Occidente: per loro è un’opportunità da cogliere, non una sfida da contrastare. L’aumento graduale delle temperature sta già avendo effetti tangibili e visibili a livello di raccolto – ogni anno un nuovo record di prodotti cerealicoli – e la speranza del Cremlino è che si arrivi a un punto tale che, sgombre dai ghiacci le acque artiche, sia possibile inaugurare l’agognata Rotta del mare del nord, che per i cinesi è la Via della seta polare.
Il volto della globalizzazione cambierebbe per sempre – e a favore di Mosca e Pechino.
L’Artico è una regione critica per la Russia, alla luce del suo graduale divenire navigabile, delle sue riserve di risorse naturali e della sua funzione militare. Una regione troppo importante perché altre potenze contestino i diritti di sovranità di Mosca su di essa – Washington – o vogliano entrarvi per comprarne delle porzioni – Pechino. Esiste un solo scenario in cui Mosca spalanca le porte dell’Artico a Pechino, permettendo l’iniezione di capitale in infrastrutture strategiche, lo stabilimento di avamposti informali et similia: una gravissima crisi di liquidità accompagnata da una militarizzazione senza precedenti dell’Artico da parte del blocco NATO.”.
Foto copertina: Putin e Xi Jinping , Russia e Cina