Med Dialogues 2018 rischi ed opportunità nel Mediterraneo allargato

 


La quarta edizione dei Med Dialogues ha confermato la centralità di questo appuntamento annuale, organizzato dalla Farnesina e dall’ISPI1 e diventato il maggior forum internazionale dedicato al Mediterraneo allargato, che sta ormai assumendo una dimensione sempre più globale.


La conferenza si è svolta nell’arco di tre giorni (22-24 novembre) ed è stata preceduta da una serie di incontri preparatori in cui una platea di esperti tra diplomatici e ricercatori hanno vivamente discusso di policy planning.
Tra gli ospiti illustri, il Presidente Sergio Mattarella, il Premier Giuseppe Conte, il Ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta e numerosi rappresentanti istituzionali dei paesi dell’area MENA, come il presidente della repubblica iracheno Barham Salih. Questi ha aperto i lavori ricordando come la sconfitta militare di Daesh (grazie all’esercito, ai Peshmerga e alla coalizione internazionale) e la nascita del nuovo governo iracheno rappresentano una storica opportunità per l’intera Regione. Il dialogo, alla base dello spirito della conferenza, sarà fondamentale per favorire la ricostruzione dell’Iraq e per promuovere la lotta alla corruzione e al terrorismo.

Tra i temi generali che sono stati sollevati occorre spendere qualche riga almeno per quattro scenari strategici il cui futuro condizionerà significativamente l’assetto regionale: la situazione in Libia; la ricostruzione nel teatro siro-iracheno dopo la sconfitta dell’ISIS; l’Iran dopo il ritiro americano dal JCPOA; il conflitto tra Israele e Palestina.

Per quanto concerne la Libia, sono stati sottolineati gli aspetti positivi delle riforme economiche attuate dal Governo di Accordo Nazionale (la riduzione del 20% del differenziale tra tasso di cambio ufficiale e parallelo, l’aumento della disponibilità di valuta straniera per le imprese, la riduzione della crisi di liquidità e un primo abbassamento dei prezzi dei beni primari). La stabilizzazione economica e il graduale riavvicinamento delle istituzioni finanziarie di Tripoli e di Bengasi è stata accolta con successo. Per parte sua, la Banca Mondiale ha preannunciato il prossimo raggiungimento di piena capacità operativa nel Paese, a testimonianza dell’impegno dell’istituzione nel rilancio dell’economia libica. Sia Conte che Moavero hanno sottolineato il valore dello “spirito” della conferenza di Palermo, perno del dialogo regionale in quanto ha coinvolto tutti i protagonisti (componenti della società libica, Paesi africani, altri attori internazionali).
Anche il ministro degli esteri russo, Sergej Viktorovič Lavrov, ha apprezzato il risultato della conferenza di Palermo che (assieme alla conferenza di Parigi dello scorso maggio) muove nella direzione di un dialogo inclusivo e attento alla sostanza più che all’individuazione di “scadenze artificiali”. Egli ha inoltre ribadito il sostegno agli sforzi degli Stati confinanti e dell’Inviato Speciale Salamé per una stabilizzazione del teatro di crisi.
La maggior parte dei relatori che preso parte all’evento ha sostenuto che, per quanto militarmente sconfitto e privo del territorio conquistato in precedenza, lo Stato Islamico continuerà ad essere una minaccia da non sottovalutare. Se a livello geografico persistono delle sacche di resistenza in alcune città della Siria e dell’Iraq, la proliferazione di cellule jihadiste in altre parti del mondo e la diffusione ideologica della propaganda fondamentalista (soprattutto in rete) sono fattori che invitano a non abbassare la guardia.
Il Ministro della Difesa Trenta ha ricordato il contributo di primo piano fornito dall’Italia all’Iraq con la missione “Prima Parthica”, nella cornice delle attività della Coalizione internazionale anti-Daesh a guida USA, oltre all’impegno italiano per l’addestramento delle forze irachene.
Anche il Segretario Generale della NATO Stoltenberg ha elogiato i militari iracheni per il coraggio e la professionalità dimostrati nella campagna contro Daesh. Ha quindi confermato l’intenzione dell’Alleanza di restare in Iraq, richiamando il recente avvio della nuova missione di capacity building a favore delle forze militari locali. Stoltenberg ha ricordato che Daesh è presente anche al di fuori di Siria e Iraq, attraverso ramificazioni in Africa, Asia sud-orientale, Afghanistan. A tal proposito, mantenere una presenza NATO in Afghanistan significa impedire che diventi un “safe haven” per i terroristi. In Siria, inoltre, occorre proseguire l’impegno contro Daesh nel nord del Paese, favorendo la collaborazione e il coordinamento tra i partner (ad esempio il pattugliamento congiunto tra Turchia e USA a Manbij), basato sul concetto di burden sharing caro all’amministrazione Trump. Sempre sulla Siria, gli ospiti istituzionali provenienti da Vicino e Medio oriente hanno ribadito la necessità di mantenere il paese unito e di procedere alla ricostruzione evitando le ingerenze straniere, mentre da parte sua Lavrov ha elogiato il processo negoziale di Astana (con Turchia e Iran) come inclusivo e rispettoso della ris. 2254/2015 del Consiglio di Sicurezza.

Per quanto riguarda l’Iran, il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif si è detto convinto che l’Iran supererà le difficoltà connesse alla reintroduzione delle nuove sanzioni USA, in una situazione “inedita”. Il JCPoA2, a prima vista un successo della diplomazia multilaterale, persegue due obiettivi fondamentali: assicurare la natura pacifica del programma nucleare iraniano e garantire la normalizzazione delle relazioni economiche dell’Iran col resto del mondo. Gli USA non solo violerebbero la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ha recepito l’intesa, ma spingerebbero altri Paesi a fare altrettanto: un attacco al “rule-based international order” che la comunità internazionale, secondo il Ministro, non dovrebbe tollerare. Dal canto suo, il sottosegretario agli esteri statunitense Hale ha dichiarato che gli Stati Uniti non resteranno parte di accordi multilaterali giudicati non vantaggiosi e che la politica estera di Trump in Medio oriente risponde all’esigenza di restituire centralità agli interessi USA, a differenza del disengagement delle amministrazioni precedenti.

Opinione sfavorevole al JCPOA è stata espressa anche dallo speaker della Knesset, Yuli-Yoel Edelstein, che ha ricordato quanto il programma nucleare di Teheran rappresenti una minaccia per la stabilità della regione. Il suo intervento si è concentrato più nello specifico sulle persistenti tensioni tra Israele e Palestina. Egli ha sottolineato l’importanza della cooperazione pratica tra israeliani e palestinesi, soprattutto in ambito economico, che già adesso esiste in alcuni distretti in Cisgiordania: proprio da tali esempi occorrerebbe partire per rilanciare la cooperazione su larga scala e incoraggiare il processo di pace, che sembra in una fase di stallo e che i Med Dialogues hanno riportato al centro del discorso.

A tal proposito, il ministro degli esteri palestinese Riyāḍ al-Mālikī ha richiamato le responsabilità storiche della comunità internazionale, nei confronti della quale ha espresso la forte delusione palestinese per aver permesso che il contenzioso israelo-palestinese si trascinasse per 70 anni senza trovare una soluzione. Richiesto di commentare il cosiddetto “ultimate deal” dell’Amministrazione Trump, al-Mālikī ha evidenziato la parzialità del team negoziale e ha poi criticato l’Amministrazione USA per le decisioni degli ultimi mesi (riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele, trasferimento dell’Ambasciata a Gerusalemme, drastico taglio dei fondi ad Unrwa, chiusura del Consolato Generale a Gerusalemme). Di qui l’appello del Ministro affinché l’Unione europea si adoperi concretamente per la ricerca di una soluzione della questione palestinese. La soluzione dei due Stati continua a sembrare quella più auspicabile per la maggior parte dei relatori, come il ministro degli esteri giordano Al Busaidi, secondo il quale la soluzione della questione palestinese è una necessità strategica per l’equilibrio dell’intera area. Egli ha invitato gli altri Paesi arabi a prendere atto della presenza di Israele ed accettare tale realtà, mostrando un realismo politico talvolta assente negli interlocutori dei negoziati.

In conclusione, il Presidente del Consiglio Conte ha poi più volte ricordato i quattro pilastri della conferenza – shared security, shared prosperity, migration, culture and civil society – e ha menzionato i risultati soddisfacenti prodotti dagli sforzi di mediazione e di dialogo intrapresi dall’Italia. La capacità di ascolto che da tempo caratterizza la politica estera italiana è riuscita con Med Dialogues a creare un foro permanente che incentiva incontri produttivi tra rappresentanti delle istituzioni e della società civile del Mediterraneo allargato. Si è inoltre augurato che il dialogo trasformi il vasto arco di crisi che attraversa il Mediterraneo in un arco di opportunità. Citando Aldo Moro, non si deve scegliere tra Europa e Mediterraneo perché “l’Europa è Mediterraneo”, e per questo occorre lavorare uniti per risolvere le crisi presenti nell’area.


Note

1Fondato nel 1934, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale è oggi riconosciuto tra i più prestigiosi think tank dedicati allo studio delle dinamiche internazionali https://www.ispionline.it/it/istituto

2Per approfondimenti: Trump via dall’accordo sul nucleare iraniano: le ragioni e lo stato dell’arte http://www.opiniojuris.it/trump-accordo-nucleare/

Copertina: MedIspi 

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