Navalny contro Putin


“Navalny contro Putin – Veleni, intrighi e corruzione. La sfida per il futuro della Russia” a cura di Anna Zafesova, Paesi Edizioni 2021, mette a confronto lo “zar” Putin e l’uomo nuovo capace di mettere in forte discussione il putinismo: Alexey Navalny. Intervista con l’autrice.


 

Anna Zafesova. Giornalista, è considerata la massima esperta in Italia di Russia e Putin, dopo esperienze con diversi giornali sovietici e italiani, dal 1992 scrive per La Stampa ed è analista politica per Il Foglio e Linkiesta

Il putinismo è arrivato al capolinea? Alexey Navalny può essere considerato “герой нового времени” – “Un eroe del nuovo tempo” così come è stato scritto di notte su un murales nel giardino Pushkar di San Pietroburgo? Anna Zafesova risponde a queste e ad altre domande nel suo libro “Navalny contro Putin”.
Anna Zafesova di Russia se ne intende. Giornalista, è considerata la massima esperta in Italia di Russia e Putin, dopo esperienze con diversi giornali sovietici e italiani, dal 1992 scrive per La Stampa ed è analista politica per Il Foglio e Linkiesta. Fino al 2004 è stata corrispondente del quotidiano torinese a Mosca, dal 2005 vive e lavora in Italia. A lei si devono importanti libri tradotti dal russo, come I cinocefali e ha firmato la postfazione de Nel primo cerchio di Aleksandr Solzenicyn (Voland, 2018).
Il libro inizia con quella che l’autrice definisce “l’ora X” cioè «l’avvelenamento di natura ignota» di Navalny sul volo 2614 della compagnia S7 decollato da Tomsk in Siberia. Navalny sarà poi trasferito in Germania a Berlino per poi rientrare in Russia ed essere incarcerato per due anni e mezzo per una presunta violazione del periodo di prova successivo ad una condanna per truffa nel 2014.
In “Navalny contro Putin”, l’autrice individua in una data ben precisa la fine della luna di miele tra Putin e i cittadini russi: il 14 giugno 2018. Mentre la Russia si preparava ad assistere i mondiali di calcio che per la prima volta si disputavano nella Federazione, Putin e il suo governo varavano l’aumento dell’Iva e la contestuale riforma che prevedeva l’aumento dell’età pensionabile. Secondo Zafesova, questa manovra ingannevole, ha rotto un tradizionale patto tra governo e cittadini: i russi potevano fare quello che volevano a condizione di non interferire nella politica, e di conseguenza la politica s’impegnava ad alzare il loro tenore di vita. Da quella data del 2018, i cittadini russi hanno iniziato a guardare Navalny come un’alternativa.
Il libro prosegue raccontando l’ascesa di Vladimir Putin, e quel sistema di corruzione e autoritarismo che l’autrice definisce putinismo, della generazione anatroccolo e di un futuro incerto per le sorti della Federazione.


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Intervista con l’autrice

Nel 2018, la decisione dell’aumento dell’età pensionabile e dell’Iva è stato il momento in cui i russi hanno iniziato a sentirsi traditi dalle politiche di Vladimir Putin. Che cosa si è rotto in quel momento?

“Il patto sociale e politico improntato a un paternalismo post-sovietico. Sostanzialmente, i russi hanno restituito al mittente sempre più libertà e diritti civili e politici, in cambio di un incremento costante del tenore di vita e del welfare erogato dallo Stato. I cittadini venivano invitati a non occuparsi di politica, ottenendo in cambio un accudimento del regime, sia economico-sociale che ideologico. Un patto che in buona parte era figlio della violenta e brusca modernizzazione post-comunista, che ancora prima di aver impoverito cospicue fasce della popolazione aveva tolto certezze, distrutto modelli comportamentali, demolito gerarchie sociali, proponendo ai russi, dopo decenni di regime repressivo e protettivo, di assumersi la responsabilità del proprio destino. Una sorta di crescita troppo violenta, e buona parte degli elettori ha recepito di buon grado la proposta verticale, leader versus popolo infantile, del putinismo. In questa ideologia, anche la corruzione conclamata del potere veniva tollerata: in fondo, ai cittadini spettava una quota di questa gestione, e in una dialettica che affondava le sue radici nella servitù della gleba, i servi non contestavano i vizi di un padrone premuroso nei loro confronti. La riforma delle pensioni ha interrotto la percezione del putinismo come di una era di vacche grasse, ed è stata recepita come una rottura dei patti, una promessa infranta, che ha quindi mutato la visione del rapporto con il regime: nel momento in cui ai servi veniva detto che non lavoravano abbastanza, anche i diritti del padrone di farsi i propri interessi sono stati sottoposti a una revisione. È vero che gli equilibri demografici esigevano una revisione dell’età pensionabile, rimasta immutata dagli anni ’30, ma in un Paese dove la vecchiaia viene spesso associata a un privilegio, anche perché circa un terzo dei maschi russi muoiono prima di raggiungere la pensione, la riforma – condotta per di più in grande segreto e promulgata in grande fretta – ha segnato la fine della maggioranza putiniana.”

A seguito della Crisi Ucraina seguita dal referendum in Crimea non riconosciuto dalla comunità internazionale, sono state varate nuove e più stringenti misure restrittive nei confronti della Federazione Russa e di alcuni importanti esponenti. Che peso hanno avuto le sanzioni internazionali sull’economia e se ritiene fondati gli argomenti giuridici avanzati da Mosca sulla legittima di tali provvedimenti

“Le sanzioni europee e americane hanno avuto finora un ruolo più di ammonimento alle élite russe che di intenzionale danno all’economia. Il loro obiettivo era innanzitutto di mostrare alla classe dirigente di Mosca che c’era un prezzo da pagare per i suoi comportamenti sulla scena internazionale come all’interno della Russia, e incentivare gli oligarchi e i funzionari russi a sostenere una retromarcia, creando una spaccatura nella nomenclatura. Un obiettivo raggiunto soltanto parzialmente: la peculiarità del sistema russo consiste nella dipendenza della ricchezza dal legame con il potere politico, e non viceversa. Di conseguenza, molti cosiddetti oligarchi dipendono troppo dal Cremlino per poterlo contraddire: vedrebbero semplicemente appalti, licenze e pacchetti azionari trasferiti ad altri componenti più leali del regime, cosa che si è verificata in una serie di circostanze. Non a caso Alexey Navalny e i suoi sostenitori propongono di ampliare la lista dei sanzionati anche a esponenti russi non direttamente coinvolti con il governo, ma che beneficiano comunque del regime e che però consumano i frutti di questi benefici in Occidente, tutelati dal diritto e dalla democrazia che negano ai loro concittadini. Molti più danni sono stati arrecati all’economia russa dalle “controsanzioni”,  l’embargo sull’acquisto di svariate categorie di alimentari, medicinali e tecnologie introdotto dal Cremlino nel tentativo di spaccare il fronte occidentale, e che in un Paese che non ha una produzione autosufficiente ha fatto pagare il prezzo di questi provvedimenti alla popolazione.” Le obiezioni giuridiche di Mosca si basano sostanzialmente sull’asserzione della legittimità dell’annessione della Crimea, o la negazione del suo coinvolgimento nell’invasione del Donbass, quindi più che di obiezioni legali possiamo parlare di un discorso ideologico, che insiste a promuovere una visione del problema opposta a quella conviviava internazionalmente.

Nel suo libro parla dell’ascesa di Putin come di una “carriera oscura”. A cosa si riferisce?

“A nessuna teoria complottistica, il termine “oscuro” viene utilizzato nella sua accezione primaria, “non illuminato”, “lontano dai riflettori”, “non brillante”. Il mito di Putin come 007 leggendario è diffuso stranamente più in Occidente, e bisogna dire che nemmeno il diretto interessato si è mai spacciato per un super-agente.”

Uno degli slogan dei sostenitori del governo è che “Con Putin siamo al sicuro”. Ritiene che il trauma dei “Maledetti anni novanta”, i tentativi di allargamento dell’Ue e soprattutto Nato ad est, le rivoluzioni colorate, la pressione demografica da Oriente, abbiano in un certo senso “spaventato” l’establishment e il popolo russo e che la deriva autoritaria sia una tentativo di resistere ad un senso di accerchiamento?

“No, credo che si confondano fenomeni diversi: in Russia i “maledetti anni ‘90” vengono percepiti prima di tutto come un periodo di miseria, caos e criminalità. Percezione che in buona parte corrisponde al vero, e che ha prodotto l’equazione “democrazia uguale peggioramento delle condizioni di vita”. Una delle parole chiave di Putin è “stabilità”, contrapposta a una mobilità totale – di redditi, carriere, ma anche di valori e concetti culturali e perfino rapporti familiari – successiva al collasso dell’URSS. Che ha comportato anche una sindrome post imperiale che ha costretto il Paese di gran lunga più esteso del mondo a percepirsi come ridimensionato e amputato, e mentre le ex repubbliche sovietiche trovavano una nuova ispirazione in un indipendentismo post coloniale, il cuore dell’impero ha sviluppato un vittimismo revanscista che dopo vent’anni ha distrutto anche quello che era stato considerato il successo principale dello scioglimento dell’URSS, la non violenza. Il discorso delle “rivoluzioni colorate” – un cliché della propaganda che in realtà definisce sostanzialmente la rivolta ucraina – e dell’allargamento della NATO riguarda più questa percezione, una sorta di sfogo rispetto al fallimento del sistema sovietico. Per quanto riguarda la pressione demografica cinese, questo fenomeno ha preoccupato molto la leadership russa negli anni 2000, ma oggi è passato in secondo piano, sia grazie all’avvicinamento con Pechino che alla sostanziale incapacità di Mosca di fermare la depopolazione del suo territorio oltre gli Urali.”

Nel libro fa riferimento ad “Autoritarismo informativo”. A cosa si riferisce?

“Alla teoria formulata dall’economista russo Sergey Guriev che ha collocato il putinismo insieme a diversi regimi neoautoritari come quello turco in questa categoria da lui inventata e descritta. Sostanzialmente l’autoritarismo informativo usa come suo strumento principale il dominio della dimensione mediatica, costruendo un consenso basato sulla creazione di una realtà artificiale, e ricorrendo alla repressione soltanto verso coloro che si mostrano immuni a questa manipolazione. L’autoritarismo informativo si distingue per il mantenimento dei meccanismi formali della democrazia, come la legittimazione per via elettorale, ottenendo i risultati desiderati nelle urne grazie alla un misto di censura, propaganda e divieti diretti e indiretti. Ovviamente, la teoria è molto più articolata, e molto affascinante, googlatela nonostante sia già stata in buona parte superata dagli eventi: oggi che la propaganda non basta più a costruire un consenso di maggioranza, il regime di Putin sta diventando sempre più un autoritarismo senza più alcun aggettivo.”

Chi è la “Generazione anatroccolo”?

“È un termine che si usa nel libro per definire i giovani che seguono Navalny, e che si riconoscono ancora prima che nei suoi discorsi e programmi nel suo approccio, che fugge il linguaggio altisonante del comunismo come del nazionalismo putinismo, preferendo atteggiamenti e simboli pieni di ironia, come appunto l’anatroccolo di gomma gialla. Nel libro dedico molto spazio all’avvicendamento generazionale nella società russa, raccontandone vari aspetti troppo vasti per venire riassunti in poche parole.”

Navalny può davvero rappresentare una minaccia per Putin?

“La rappresenta già. Altrimenti non sarebbe stato avvelenato, e le risorse di un intero regime non sarebbero state investite nel fermare la protesta da lui iniziata, al costo di prezzi economici e di immagine enormi.”

Durante un nostro reportage in Russia, alcuni giovani sostenitori di Navalny ci dicevano che fuori dai grandi centri e le città “internazionali”, il loro leader era praticamente sconosciuto, aggiungendo che avrebbero potuto anche non manipolare le elezioni perché la “Russia profonda” avrebbe votato comunque per il partito di Putin. E d’accordo con quest’analisi?

“La “Russia profonda” come luogo misero privo di cultura e inscalfibile da qualunque progresso è uno stereotipo che persiste da almeno due secoli. Ovviamente esiste, come esiste l’America profonda e l’Italia profonda, tutte realtà che si sono fatte sentire a livello politico nell’era del sovranismo: Trump e la Brexit, come la Lega e Marine Le Pen spopolano nelle province, nelle piccole città, lontane dal dinamismo metropolitano, che si percepiscono come abbandonate sul ciglio della strada della globalizzazione. La spaccatura tra la civiltà urbanizzata delle metropoli e la provincia tradizionalista è una delle contraddizioni fondanti dell’epoca moderna. Ma in Russia (e non solo) storicamente le rivoluzioni si compiono nelle capitali, e il processo di urbanizzazione ha reso la Russia rurale minoritaria già decenni fa. Gli stessi russi, soprattutto delle capitali, conservano spesso nei confronti della “provincia”, come chiamano tutto quello che si trova fuori da Mosca e Pietroburgo, pregiudizi stereotipati. Il divario ovviamente esiste, ma è spesso molto meno abissale di quanto si creda, e l’apparizione di nutrite pattuglie navalniane in zone considerate totalmente fedeli al Cremlino lo dimostra.”

Una sua considerazione sulle recenti elezioni di settembre.

“Difficile fare considerazione su una consultazione che delle elezioni ormai conserva solo il nome. Praticamente a tutti i candidati critici verso il potere è stato impedito di partecipare, gli osservatori indipendenti sono stati esclusi, i brogli non sono stati nemmeno troppo nascosti e i giudici hanno respinto praticamente tutti i ricorsi. Si è trattato appunto del momento della trasformazione definitiva dell’ autoritarismo informativo in autoritarismo semplice. L’unica considerazione vera da fare è lo sforzo davvero gigantesco investito dal regime nel bloccare ogni manifestazione di un qualunque dissenso: una dimostrazione di debolezze come dell’incapacità di gestire una posizione diversa dal monopolio. La vittoria del “voto intelligente” di Navalny nelle metropoli non avrebbe probabilmente fatto vacillare il regime, ma la sola prospettiva di dover negoziare con altri attori – nel caso del “voto intelligente” sostanzialmente con una nuova generazione di comunisti – è già stata ritenuta un prezzo troppo alto da pagare.”

Bolshoy transfer (trasferimento di potere): che Russia sarà dopo Putin?

“Tutto dipenderà dalle modalità e dai tempi: sarà un trasferimento violento o pacifico, improvviso o pilotato, consenziente o forzato? Troppi fattori e troppe incertezze, sempre che di trasferimento si tratterà: l’idea che sarà lo stesso Putin più o meno collettivo a trasferire il suo potere a un delfino è molto diffusa tra i componenti stessi del regime, che ragionano in termini quasi monarchici. Ma il potere non solo si trasferisce, il potere si perde e si conquista, viene tolto o addirittura si estingue. Diciamo che vale sempre la vecchia regola che ogni fase è l’opposto di quella che la precede: dopo anni di inamovibilità isolazionista e conservatrice, con un’ostilità crescente nei confronti del resto del mondo, è probabile che i nuovi leader russi dovranno per prima cosa allentare le viti e guadagnarsi la fiducia dei loro cittadini e dei partner internazionali con una politica di apertura e distensione, una sorta di perestroika che preluda a una modernizzazione rimandata troppo a lungo. La serietà delle intenzioni del prossimo leader del Cremlino si misurerà su alcuni dossier chiave, in primo luogo la guerra con l’Ucraina e la liberazione di Alexey Navalny.”


Foto copertina: Foto a cura del fotografo di San Pietroburgo Georgy Markov e pubblicato su Twitter.