Ne impediatur legatio: Italia-Afghanistan


Analisi storica e geopolitica dei rapporti tra Roma e Kabul


 

Sono trascorsi ormai due mesi dalla presa di Kabul da parte dei Talebani 2.0[1] e, come spesso accade dimenticare troppo presto, così anche quella afghana sembra essere una questione già superata, relegata ad un passato ormai fissato soltanto nei libri di storia, comunque non più attuale. Eppure essa è ancora sul tavolo, l’attenzione deve restare alta. E l’Italia non ne è del tutto esclusa.

È proprio con l’Afghanistan che apriamo un ciclo di articoli dedicati ai rapporti diplomatici, economici, militari che l’Italia intrattiene ed ha intrattenuto nel corso del tempo con quei Paesi che, oggi, continuano ad essere per noi partner determinanti per il peso geopolitico del nostro Paese: una lingua di terra nel Mediterraneo che ha fatto la storia delle relazioni internazionali. E che, nel complesso mondo contemporaneo, è chiamata a rifarla.

La storia delle relazioni diplomatiche tra Italia ed Afghanistan

I rapporti diplomatici tra Italia ed Afghanistan hanno una precisa data d’inizio: è il 3 giugno 1921 quando il Ministro degli Affari Esteri italiano, Conte Carlo Sforza, e l’Ambasciatore straordinario afghano, Mohammed Wali Khan, siglarono a Roma l’«Accordo fra Italia ed Afghanistan per lo scambio di Missioni diplomatiche permanenti». Con l’avvento del regime fascista le relazioni tra i due Paesi conobbero un primo raffreddamento: l’Italia, in quegli anni, portava avanti una politica estera filo-britannica e non intendeva di certo mettere a repentaglio i rapporti con Londra, che considerava ancora l’Afghanistan di propria esclusiva influenza. Se nel 1919 arriva dall’Italia il riconoscimento dell’indipendenza dell’Afghanistan, qualche anno dopo, tuttavia, le relazioni tra i due Paesi incontrano un nuovo momento di crisi: l’espansione italiana in Africa, avviata con la Guerra d’Etiopia del 1935, era guardata con diffidenza dal governo afghano che temeva, di conseguenza, analoghe manovre da parte della Gran Bretagna o della Russia ai danni del Paese mediorientale. Eppure, proprio in quegli anni, un italiano di spicco giganteggiava in terra afghana: il Ministro plenipotenziario Petro Quaroni. Proprio nel 1935, Quaroni “commise l’imprudenza di pubblicare sotto uno pseudonimo, facilmente riconosciuto, e di ribadire, in conversazioni con un giornalista – intercettate dai servizi segreti di Mussolini – alcuni commenti critici alle direttive di politica estera del Governo. Fu allontanato del suo incarico al Ministero e dopo un breve periodo come Console Generale a Salonicco fu promosso Ministro Plenipotenziario e destinato in Afghanistan. Vi rimase otto anni come rappresentante dell’Italia in un paese neutrale ma isolato perché circondato – dopo l’inizio della guerra – da paesi ostili all’Asse che ne impedivano i movimenti”[2]. Fu proprio questo clima di isolamento che permise a Quaroni di permeare il mondo mediorientale, di comprenderlo, fornendo all’Italia, con mirabile capacità di visione, una prospettiva che tutt’oggi le Potenze contemporanee sembrano non voler adottare: “A suo avviso, grave errore della politica estera dell’Italia fascista era stato il volere fare una politica imperialistica mantenendo un’impostazione eurocentrica e provinciale, non comprendendo che l’Oriente, sia Medio che Estremo, era destinato ad avere una parte sempre più grande nelle relazioni internazionali”[3]. Non è forse il medesimo errore compiuto dagli Stati Uniti (e da tutti i Paesi alleati al seguito, Italia compresa) nell’approccio con la realtà afghana degli ultimi vent’anni?

È nella travagliata storia della politica interna afghana del secondo Dopoguerra che si perde davvero ogni possibilità per l’Italia di costruire solide e durature relazioni diplomatiche con lo Stato mediorientale[4]: le relazioni diplomatiche tra i due Pesi, infatti, erano in questi anni condizionate dalle complesse dinamiche della Guerra Fredda.

L’Ambasciata italiana in Afghanistan chiuse, infine, nel 1993, con l’inasprimento della guerra tra mujaheddin, per essere poi riaperta nel 2001 a seguito della caduta del governo talebano. L’Italia, tuttavia, resterà sempre un punto di riferimento-non necessariamente da un punto di vista geopolitico- per gli afghani, se soltanto si pensa che ben due sovrani afghani hanno scelto Roma come sede del proprio esilio: Amanullah Khan nel 1928 e Mohammed Zahir Shah, che dal 1973 e per ventinove anni visse nel quartiere romano dell’Olgiata.
Snodo fondamentale per i rapporti bilaterali con il Paese mediorientale resta poi, naturalmente, la missione ISAF del 2001.[5]

Il contributo dell’Italia alla guerra in Afghanistan

Non ci soffermeremo sulle dinamiche della lunga guerra in Afghanistan[6]. Ciò che conta esaminare in questa sede è l’impegno che il nostro Paese ha profuso in vent’anni di presenza sul territorio afghano. Innanzitutto-da un punto di vista prettamente economico- l’Italia ha destinato circa 8,7 miliardi di euro al finanziamento della missione[7]-esborso notevole, se si considera le spese complessive degli altri Paesi intervenuti nella missione[8]. 53, invece, è il numero dei militari italiani che hanno perso la vita nel conflitto[9], senza contare i feriti. Si è a lungo discusso sulle motivazioni che hanno spinto l’Italia a seguire gli Stati Uniti in un intervento militare così complesso, nella loro guerra più lunga, con un contributo tanto elevato. La ragione principale è che il nostro Paese ha scambiato “il nostro impegno nelle operazioni per quel ritorno politico che ritenevamo ci spettasse nonostante il nostro contributo economico alle fortune dell’Alleanza Atlantica non fosse quello che i nostri alleati desideravano”[10]. Più volte, infatti, lo stesso Trump ha lamentato uno scarso impegno, in termini economici, da parte di alcuni Paesi nell’ambito della NATO[11]: noi abbiamo deciso di rispondere con il nostro impegno sul campo. Di sicuro, comunque, abbiamo conseguito almeno una vittoria in termini di amicizia con il polo afghano: “i soldati italiani hanno combattuto e lo hanno fatto bene, come ogni soldato ben comandato, e in Afghanistan abbiamo schierato comandanti coi fiocchi. Ci siamo comportati bene soprattutto perché, in un contesto molto particolare, quello contro-insurrezionale, dove tutto si gioca sul favore della popolazione, i nostri sono riusciti a farsi apprezzare dagli afghani, allo stesso tempo portando avanti la narrazione del governo di Kabul”[12].

Certamente, oggi che Kabul è caduta di nuovo nelle mani dei Talebani lo sconforto per chi tanto ha combattuto e sperato e perso in quella terra resta tanto, come ha spiegato Luca Barisonzi, militare dell’Esercito Italiano rimasto ferito nel gennaio del 2011 in un attentato: “Penso a quella generazione cresciuta laggiù in questi 20 anni, a tutti coloro che hanno potuto conoscere, studiare e sognare il proprio futuro. Quante ragazzine, diventate ormai donne, si sono potute sentire più libere, conquistando finalmente diritti che sono scontati per noi occidentali. Tutto questo è potuto accadere anche grazie all’impegno di noi italiani, che abbiamo compiuto il nostro dovere, sovente fino al sacrificio della propria vita”[13].

I rapporti diplomatici oggi

L’ironia amara della sorte-e della storia- ha voluto che nell’anno del centenario delle relazioni diplomatiche tra Italia ed Afghanistan, i talebani abbiano preso nuovamente il controllo del Paese costringendo l’Italia a chiudere, come nel 1993, la propria Ambasciata a Kabul. Per il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio non ci sono ancora le necessarie condizioni di sicurezza per poter riaprire la sede diplomatica[14], mentre ad inizio settembre il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, chiedeva a gran voce in un’intervista rilasciata a Repubblica proprio di riaprire l’Ambasciata italiana al contempo dichiarando che, partner economico principale del nuovo governo, sarà Pechino[15]. I talebani hanno chiesto al nostro Paese anche il riconoscimento ufficiale. Sul punto la politica interna nostrana è decisamente spaccata. Da un lato, nelle scorse settimane, ha fatto molto discutere la dichiarazione rilasciata dall’ex premier Giuseppe Conte che si è detto aperto ad un dialogo con i talebani: “La situazione attuale, per come si presenta, non contempla altre soluzioni che non sia il dialogo con i talebani perché un’altra guerra non è pensabile e non possiamo lasciare nell’angoscia la popolazione afgana” ha dichiarato[16]. Prende nettamente le distanze da questa posizione il leader della Lega, Matteo Salvini, che ha, al contrario, affermato: “Io il dialogo con i terroristi islamici non lo legittimo. Io dialogo con chi rappresenta una istituzione, non con chi dice che i diritti delle donne verranno garantiti con la legge islamica”[17]. Dello stesso parere anche Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia, e Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia. Enrico Letta, invece, dal centrosinistra, spinge sulla necessità di creare corridoi umanitari. Le elezioni amministrative di inizio ottobre, la questione relativa al piano vaccinale e al green pass, l’elezione del Presidente della Repubblica del prossimo inverno hanno relegato la questione afghana in secondo piano. Eppure è un problema che l’Italia, prima o poi, sarà chiamata ad affrontare.


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I rapporti economici

Nel 2020 le esportazioni in Afghanistan hanno raggiunto un valore di circa 28milioni di euro, con importazioni per circa 6 milioni; dati in netto aumento rispetto al 2019, quando il valore delle esportazioni raggiungeva circa i 12milioni e quelli dell’importazione sfiorava i 4 milioni. L’Italia, nel 2020, ha esportato soprattutto strumenti e forniture mediche e dentistiche (per circa 5 milioni di euro), motori, generatori e trasformatori elettrici (2,725 milioni) e altre macchine di impiego generale (2,921 milioni). Le importazioni avevano riguardato prevalentemente gioielleria, bigiotteria e articoli connessi (circa 2 milioni) e prodotti di colture permanenti (1,9 milioni)[18]. Si tratta di cifre che, verosimilmente, il 2021 non riuscirà ad eguagliare. L’importanza economica dell’Afghanistan resta comunque considerevole se solo si pensa al campo dell’energia: “l’Afghanistan avrebbe un ruolo chiave nel passaggio dei mega-collegamenti energetici fra Oceano Indiano, Russia, Cina, Medio Oriente e Caucaso. La pipeline Turkmenistan–Afghanistan–Pakistan–India (Tapi) è stata progettata, a partire dalla fine del 2015, per trasportare il gas dal Turkmenistan al Pakistan e India. La costruzione della sezione afghana del gasdotto è cominciata nel febbraio 2018. Lunga 1.848 chilometri e capace di trasportare 33 milioni di metri cubi di gas naturale l’anno, la pipeline ha un costo di circa 10 miliardi di dollari”[19]. Come si diceva, una importanza considerevole.

Quale futuro per i nostri rapporti con l’Afghanistan?

Il ritiro delle nostre truppe dal suolo afghano non può-non deve- assolutamente significare distogliere la nostra attenzione da quel territorio. Per almeno tre motivi.
Innanzitutto per “evitare che il territorio afghano ritorni ad essere un santuario per il terrorismo jihadista”; poi per “prevenire un disastro umanitario che coinvolgerebbe una popolazione inerme e poverissima”; infine (l’elenco non segue un criterio di importanza), è necessario “non lasciare la stabilizzazione solo in mani cinesi, russe e pakistane”: lasciare loro il monopolio nella zona avrebbe delle implicazione negative per l’intero occidente, in quanto “precluderebbe eventuali opportunità future di tipo economico, energetico, minerario”[20]. Resta, a questo punto, una domanda, che poi è quella centrale: come mantenere alta la nostra attenzione (ed influenza) in Afghanistan? Unire gli sforzi delle potenze occidentali non è affatto semplice. Dialogare con i Talebani nemmeno. Certamente, però, la risposta non può essere voltarsi dall’altra parte e aspettare che gli eventi prendano la loro piega da soli. Bisogna, finalmente, recuperare una visione che orienti i nostri movimenti diplomatici, economici e militari in Afghanistan. Più che affidandoci a qualche analista statunitense, magari recuperando gli scritti del nostro Pietro Quaroni, che una visione chiara sulla questione afghana l’aveva già ottantasei anni orsono.


Note

[1] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/afghanistan-chi-sono-i-talebani-2-0/
[2] Un ricordo di Pietro Quaroni, A cura di Stefano Baldi, UNAP Press, pag.17
[3] Un ricordo di Pietro Quaroni, A cura di Stefano Baldi, UNAP Press, pag.41
[4] Per approfondire: https://www.ilpost.it/2021/08/29/afghanistan-guerre-great-game/
[5] Riferimenti storici tratti da https://ambkabul.esteri.it/ambasciata_kabul/it/i_rapporti_bilaterali/
[6] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/dopo-ventanni-gli-stati-uniti-abbandonano-lafghanistan/
[7] https://www.milex.org/2021/08/13/8-miliardi-700-milioni-costo-definitivo-presenza-militare-afghanistan/
[8] https://www.corriere.it/economia/consumi/cards/quanto-costata-guerra-afghanistan-oltre-2300-miliardi-115-volte-pil-paese/costo-guerra-afghanistan_principale.shtml
[9] https://www.ilgiorno.it/mondo/guerra-afghanistan-morti-soldi-1.6750580
[10] Come ha spiegato in questa interessante intervista il Generale Cuzzelli: https://geopolitica.info/la-guerra-in-afghanistan-perche-siamo-andati-e-cosa-abbiamo-imparato-parla-il-gen-cuzzelli/
[11] https://www.ilsole24ore.com/art/chi-finanzia-nato-e-perche-trump-chiede-alleati-pagare-piu-AEe26fJF
[12]https://geopolitica.info/la-guerra-in-afghanistan-perche-siamo-andati-e-cosa-abbiamo-imparato-parla-il-gen-cuzzelli/
[13] Dalla pagina Facebook di Luca Barisonzi
[14] https://www.ilsole24ore.com/art/afghanistan-sforzo-internazionale-salvare-nazionale-femminile-calcio-AE7aJAg?refresh_ce=1
[15] https://www.adnkronos.com/afghanistan-talebani-italia-riapra-ambasciata_1hr0bhLcstufELcUTwFRXC
[16]https://www.agi.it/politica/news/2021-08-24/afghanistan-partiti-divisi-su-talebani-e-profughi-13657001/
[17] https://www.agi.it/politica/news/2021-08-24/afghanistan-partiti-divisi-su-talebani-e-profughi-13657001/
[18] Dati ricavati da: https://www.ice.it/it/statistiche/Short_stat_view.aspx?TipoReport=1&paese=Afghanistan&anno_fine_periodo=2021&anno_fine_serie=2020&mese_fine=06
[19] https://dealflower.it/afghanistan-economicamente-marginale-per-litalia-ma-la-guerra-e-stata-un-fallimento/#:~:text=Secondo%20i%20dati%20dell’Istituto,e%20importazioni%20per%206%2C030%20milioni
[20] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-nostro-futuro-afghanistan-31556


Foto copertina: Il re afgano Khan in uscita da Montecitorio col presidente delle camere Casertano ed altre personalità. Roma novembre 1928. Credit Camera archivio Luce