Polonaise: La “Ostpolitik” polacca


Con il termine “Ostpolitik” ci si riferisce alla teoria dal Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, Willy Brandt, all’inizio degli anni settanta. Brandt, vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1971, intendeva avviare un processo di normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Democratica Tedesca, e di riflesso con i paesi del Blocco Sovietico, in particolare con l’Unione Sovietica, attraverso una serie di trattati di varia natura.
La Ostpolitik è di fatto la politica orientale, volta cioè ai paesi dell’Europa Orientale, che sarà importante anche nel caso di studio, ovvero la Polonia.


 

Nello scorso numero abbiamo visto come la “Terapia dello Shock” di Balcerowicz abbia spinto la Polonia a rigettare completamente il modello di economia comunista, portandola nel giro di pochi anni ad integrarsi nel sistema economico globale, avviando partnership bilaterali con le principali potenze economiche occidentali, avviando azioni multilaterali, muovendosi all’interno del frame delle agenzie e organi internazionali quali il WTO, Banca Mondiale, Nazioni Unite e Comunità Europea.

Il piano economico, avviato dal Governo Mazowiecki, riuscì a vincere le resistenze e lo scettiscismo delle opposizioni socialiste, le quali ammonivano il governo di porre la nazione in una condizione di debolezza nei confronti delle economie occidentali, in particolare verso la Germania, che avrebbe potuto trovarsi nella condizione di esercitare un controllo finanziario, attraverso investimenti privati, limitando di fatto l’indipendenza.

Gli ostacoli alla transizione politica

La transizione politica necessitò di più tempo, e ciò dipese da molteplici fattori. Nel 1990, il Presidente uscente Wojciech Jaruzelski concluse il suo mandato e si ritirò a vita privata. Le elezioni presidenziali videro vincitore Lech Wałęsa, in carica fino al dicembre 1995. La politica interna era caratterizzata da una certa vivacità del panorama partitico, con la nascita di numerosi soggetti politici. In particolare, la contrapposizione tra il più conservatore Wałęsa e Mazowiecki, leader di Unione Democratica (Unia Demokratycza) partito di ispirazione cristiano-liberale; l’ingresso sulla scena politica di Aleksander Kwaśniewski, leader della Sinistra Social Democratica (Sojusz Lewicy Demokratycznej – SLD), sorta dalle ceneri del Partito Operaio Unificato PZPR, creavano un clima di instabilità interna che rischiava di minare il percorso di trasformazione dello stato.

Bisogna ricordare che, sebbene dal 1990 la Polonia si fosse riappropriata della propria sovranità, l’Unione Sovietica era tutt’altro che scomparsa e le incertezze in politica estera avrebbero potuto minare la stabilità economica che si cercava di raggiungere.

L’occasione si presentò nel 1991, quando Mosca propose una riedizione del COMECON, come un ultimo, disperato, tentativo di salvare il proprio “impero” in Europa Orientale. Un problema di non poco conto per Varsavia, ben consapevole che per il successo del piano economico Balcerowicz, la stabilità politica fosse un presupposto necessario.

Uno scontro politico diretto con Mosca sembrava non auspicabile, soprattutto in quel momento di delicato riassetto statale; d’altro canto, una risposta positiva a Mosca avrebbe allarmato mercati e partners occidentali.

Ragion per cui, il Premier Bielecki, subentrato a Mazowiecki, rifiutò categoricamente l’invito, ribadendo la linea politica orientata senza dubbi verso la NATO e l’Unione Europea.

La rotta di avvicinamento verso l’Occidente godeva del supporto delle giovani generazioni, soprattutto di giovani polacchi residenti negli USA e in Germania; suscitava le simpatie di leader politici e religiosi, ottenendo, ad esempio, il supporto di Papa Giovanni Paolo II. [1]

La diplomazia tra pragmatismo e ambizioni di potenza regionale

Nonostante la chiara visione della politica estera e del suo futuro ruolo nel sistema globale, la diplomazia polacca avanzava a piccoli passi, soprattutto a causa di resistenze interne. Alcune correnti dell’establishment polacco promuovevano una politica estera cauta e pragmatica, ridimensionandone, almeno momentaneamente, il raggio d’azione, spingendo verso una implementazione dei rapporti con gli stati limitrofi.

Una politica estera volta a realizzare rapporti di “buon vicinato” con i paesi più vicini alla dimensione polacca, sia dal punto di vista geografico, ma anche storico e culturale, ed avviare una normalizzazione dei rapporti con la Germania. Ragion per cui, la Polonia seguì con interesse l’evolversi delle rivoluzioni nei paesi del Baltico[2], in Ucraina e Bielorussia.

Non a caso, lo stato polacco fu tra i primi a riconoscere l’indipendenza di Estonia, Lettonia e Lituania[3], instaurando prontamente forti legami diplomatici con questi paesi.

Varsavia, di lì a poco, diventerà il principale interlocutore dei paesi del Baltico in Europa, sponsorizzando la futura adesione di questi stati nella Alleanza atlantica.

La Polonia fu il primo paese a riconoscere l’indipendenza ucraina, il 2 dicembre 1991, avviando sin da subito rapporti diplomatici con Kiev e proponendosi come grande sostenitore della transizione dell’Ucraina sul modello polacco.

Le trattative tra Varsavia e Kiev partirono il 4 gennaio 1992, giungendo in pochi mesi (18 maggio 1992) alla firma del Treaty of Good Neighbourship and Friendly Cooperation, tra la Repubblica di Polonia e Ucraina, al quale seguirono una serie di accordi e contratti volti a stabilire una cooperazione duratura in materia economica, culturale e politica, a dimostrazione del profondo legame d’amicizia intercorrente tra le due nazioni. L’attività polacca in Ucraina è stata intensa, manifestandosi attraverso un considerevole supporto economico, con il finanziamento di progetti proposti da ONG ucraine, organi amministrativi ed università, riguardanti riforme amministrative, decentralizzazione e lotta alla corruzione.

A livello istituzionale, la cooperazione polacco-ucraina si manifesta nei lavori del Consultative Committee of the Presidents, the Parliamentary Assembly of Poland and Ukraine, il Polish-Ukrainian Intergovernmental Cooperation Council on Interregional Cooperation, e molti altri organi bilaterali.[4]

Un discorso analogo può essere fatto per quel che riguarda la Bielorussia, la cui indipendenza fu riconosciuta da Varsavia nel dicembre 1991, che avviò formalmente le relazioni diplomatiche nel marzo 1992 e nel giugno 1992, estese il Treaty of Good Neighbourship and Friendly Cooperation[5] anche alla Bielorussia.

Negli anni successivi la diplomazia polacca avrebbe utilizzato i rapporti con il governo di Minsk per promuovere un percorso di democratizzazione del paese, nel quadro di una più ampia strategia europea, fino al deterioramento dei rapporti bilaterali in conseguenza dell’elezione del Presidente Aljaksandr Ryhoravič Lukašėnka.[6]

Con la caduta dell’Unione Sovietica, si presentò l’occasione per gettare le basi di una strategia di politica estera, nella quale Varsavia avrebbe potuto giocare il ruolo di interlocutore privilegiato per gli ex stati sovietici, allargando la propria sfera d’influenza su quella che fu chiamata la “Nuova Europa dell’Est”.

Difatti, alcune correnti della diplomazia riproponevano una Ostpolitik infusa di un certo “prometeismo polacco”[7], rispolverando l’idea, già presente nell’immaginario collettivo del 1918-20, di costituire una grande potenza centro-europea, la quale tendeva, con benevolenza, la propria mano alle nazioni bisognose di supporto e protezione, soprattutto nei confronti della Russia.

Gli accordi siglati con Ucraina, Bielorussia e Lituania in quegli anni, infatti, rispondevano alla volontà politica di creare una dimensione multilaterale polacca, alternativa alla più minacciosa ed ingombrante influenza russa.

La corrente maggioritaria liberal-democratica, invece, interpretava la Ostpolitik di Varsavia come il perseguimento di una politica estera rispondente al principio del pragmatismo. La via fu tracciata dallo stesso Presidente Wałęsa, che spingeva verso una dimensione atlantista ed europeista. In tal senso, la Polonia avrebbe potuto ritagliarsi un ruolo di ponte tra la Vecchia e Nuova Europa, tra l’Occidente e l’Est, scommettendo sulla posizione strategica, sul bagaglio culturale comune e sui rapporti diretti con i paesi limitrofi, agevolando la transizione dei paesi ex-sovietici proprio in una futura ottica europea.[8]

La nascita del Gruppo di Visegrád

In quegli anni, un grande successo diplomatico si concretizzò nella creazione di un forum di cooperazione regionale tra stati centro-europei, comprendente Polonia, Cecoslovacchia ed Ungheria.

Il Gruppo di Visegrád, fu istituito il 15 febbraio 1991, quando il Presidente Wałęsa, il Presidente cecoslovacco Václav Havel e il Presidente ungherese József Antall, siglarono una dichiarazione nella città ungherese di Visegrád.

Il gruppo è un’organizzazione informale, composta da paesi che condividono storia, cultura, tradizioni e valori comuni, ed avviando un processo di integrazione in campo economico, infrastrutturale, energetico e culturale.

L’istituzione del V4 rispondeva all’esigenza di creare una forum regionale di cooperazione politica ed economica, con la creazione di un mercato comune, anche in vista di una futura ammissione all’UE.[9]

Il Presidente Wałęsa e il suo omonimo cecoslovacco Havel, si prodigarono incessantemente per la realizzazione di questo progetto di integrazione regionale, che rappresentò un primo passo del percorso di integrazione europea.

Il ridimensionamento delle ambizioni geopolitiche

Un successivo passo verso la (ri)affermazione della Polonia nell’area orientale è data dalla strategia diplomatica rivolta ai paesi del Mar Baltico, con le quali Varsavia godeva di rapporti amichevoli e di reciproco supporto.

Nel 1992, i Ministri degli Esteri dei paesi baltici si incontrarono a Copenaghen, per discutere delle questioni inerenti al nuovo scenario geopolitico, emerso con la fine della Guerra Fredda. Con l’accordo dei ministri di Germania, Danimarca, Norvegia, Estonia, Lettonia, Lituania, Russia, Polonia[10], Finlandia e Svezia, fu costituito il Consiglio dei Paesi del Mar Baltico (CBSS), il cui scopo era quello di creare un forum di cooperazione multilaterale nell’area, in materia di politica energetica, nucleare, diritto marittimo, diritti umani, ambiente e sviluppo sostenibile.[11]

La CBSS rappresenta un importante esempio di multilateralismo, attraverso il quale la Polonia, consolidando il proprio peso nel quadrante orientale d’Europa, pone le basi per le future strategie politiche, perseguendo l’obiettivo, mai nascosto, di fare di Varsavia il principale mediatore tra l’Est e l’Ovest.

Ben presto, però, l’Ostpolitk polacca finì con l’essere assimilata nella strategia di UE e NATO di competizione geopolitica con la Russia, rispondente ad un doppio fine: da un lato, cercare di attrarre nell’orbita euro-atlantica i paesi ai confini orientali; e dall’altro, avviare una serie di rapporti di lungo periodo con Mosca.

Tuttavia, il frenetico attivismo della diplomazia polacca, rispondente all’esigenza di ritagliarsi uno spazio di manovra quasi esclusivo in quell’area, nell’avvicinare i paesi limitrofi, ma soprattutto nel ruolo di mediatore tra Mosca e l’Europa, subì un ridimensionamento proprio a causa dei gelidi rapporti diplomatici con il Cremlino e dei timidi segnali di distensione e normalizzazione tra Polonia e Russia.


Note

[1] Karol Józef Wojtyła fu eletto papa il 16 ottobre 1978. Nato a Wadowice, vicino Cracovia il 18 maggio 1920.
[2] La Rivoluzione cantata o anche detta rivoluzione cantante, è generalmente il nome utilizzato per gli eventi, compresi tra il 1987 e il 1991, che sono legati al ritorno dell’indipendenza nelle tre nazioni baltiche: Estonia, Lettonia, Lituania.
[3] Vedi sito Ministry of Foreigh Affairs Republic of Poland, Europe, Bilateral Relations: https://www.msz.gov.pl  
[4] Ibid. https://www.msz.gov.pl/en/foreign_policy/eastern_policy/ukraine
[5] Treaty of Good Neighbourship and Friendly Cooperation, in seguito al trattato sul confine Tedesco-polacco del 1990, fu siglato un trattato di cooperazione nel 1991, impegnando entrambi i paesi al rispetto dei diritti delle minoranze e la promozione di contatti culturali tra i popoli.Accordi simili furono siglati nel corso del 1992 con Ucraina (Varsavia 18 maggio ’92); Bielorussia (Varsavia 25 giugno ’92); Russia (Mosca 22 maggio ’92)
[6] Vedi sito Ministry of Foreigh Affairs Republic of Poland, Europe, Bilateral Relations: https://www.msz.gov.pl/en/foreign_policy/eastern_policy/belarus
[7] Progetto politico avviato da Józef Piłsudski , statista della Seconda Repubblica Polacca dal 1918 al 1935. Il suo scopo era quello di indebolire l’Impero russo e gli Stati successori, compresa l’Unione Sovietica, sostenendo movimenti nazionalisti tra i principali popoli non russi che vivevano entro i confini della Russia e dell’Unione Sovietica.Vedi anche: https://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/la-polonia-e-i-fantasmi-del-prometeismo
[8] Vedi: A. Malghin, 2011, Russia e Polonia nella “Ostpolitik” dell’Unione europea. Rivista Di Studi Politici Internazionali, 78(4 (312)), 529-540. http://www.jstor.org/stable/42741077
[9] Vedi: Ministry of Foreign Affairs Republic of Poland,https://www.msz.gov.pl/en/foreign_policy/europe/visegrad_group/ Anche: https://www.visegradfund.org/
[10] Nota: Krzysztof Jan Skubiszewski, Ministro degli Affari Esteri (1989-1993)
[11] Vedi: Ministry of Foreign Affairs Republic of Poland, Baltic Sea, https://www.msz.gov.pl/en/foreign_policy/baltic/cooperation/


Foto copertina: Il 7 dicembre 1970, il cancelliere tedesco Willy Brandt s’inginocchiò ad un memoriale per le migliaia di ebrei che persero la vita nel ghetto di Varsavia. Il gesto spontaneo divenne un simbolo dell’espiazione tedesca per i crimini nazisti.Hanns Hubmann

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