Il regionalismo come lente attraverso cui considerare gli sviluppi del conflitto.
A cura di Matteo Montano
L’avanzata russa iniziata il 24 febbraio si è arrestata. Non solo, la controffensiva ucraina ha respinto l’esercito russo sino a riconquistare Lyman. Putin, e non era il solo, all’inizio dell’invasione aveva in tasca la convinzione di entrare come un liberatore, se non a Kiev, sicuramente nelle città dell’Ucraina orientale. Invece, queste regioni a maggioranza russofona si sono dimostrate tutt’altro che ben disposte ad accogliere i soldati russi. La differenza di quanto accade tre le varie aree sud-orientali pone enfasi sul concetto di regionalismo che scardinerebbe la tradizionale dicotomia est-ovest in cui era solitamente diviso il “granaio d’Europa”: argomento circoscritto ai circoli accademici prima, ha dimostrato la sua forza come framework attraverso cui leggere gli sviluppi del conflitto in corso.
Ucraine orientali
L’Ucraina orientale è stata sempre a stretto contatto con la Russia. Sorgono qui le città più industrializzate del paese, il Donbas ma anche Kharkiv, le quali presentano una demografia peculiare: il russo è la lingua più parlata anche dagli ucraini etnici, ed è presente una forte minoranza di etnia russa figlia di una immigrazione nei centri industriali dell’allora URSS.
Tuttavia, piuttosto che etnia e lingua, Lowell W. Barrington[1] nella sua analisi sul supporto popolare per l’indipendenza dell’Ucraina ha dimostrato quanto la regione di provenienza influenzasse l’orientamento politico. A differenza di Arel e Wilson, che hanno analizzato le elezioni politiche del 1994 alla luce della scollatura linguistica tra ucrainofoni e russofoni[2]; Barrington suggerisce la necessità di rivalutare la nozione secondo cui gli ucraini russofoni agiscano come i russi etnici mettendo in luce la natura ben più sfumata delle divisioni etnico-linguistiche in Ucraina.
In un lavoro successivo, Barrington e Herron hanno ideato un modello per suddividere e analizzare l’Ucraina in 8 regioni in ragione delle differenze economiche, sociali e demografiche delle varie aree. È da sottolineare la divisione in due gruppi separati degli oblast’ di Donetsk e Lugansk («regione orientale») e quelli di Zaporizhzhia, Kharkiv e Dnipropetrosk («regione centro-orientale»)[3]: scelta fatta a causa del ruolo preponderante dell’agricoltura nella seconda e per la differenza demografica tra le due, essendo nella seconda meno presente l’elemento etnico russo sebbene la percentuale di russofoni sia molto alta soprattutto a Kharkiv[4]. Da questo punto di partenza, è interessante notare come Peter W. Rodgers faccia una analisi qualitativa delle percezioni e delle differenze di percezioni che avvengono in tre città situate sul confine russo – Lugansk, Kharkiv e Sumy – e come queste città, solitamente inserite nel quadro della “Ucraina orientale” a maggioranza russofona presentino delle differenze sostanziali che aiutano a comprendere il loro comportamento in relazione all’occupazione russa. Rodgers compie un’indagine qualitativa sul campo, nel 2003, circa il ruolo dei docenti nelle suddette zone. Gli insegnanti fungono da cinghia e da mediatori tra lo stato centrale, impegnato nel processo di Nation-building, e la comunità. Lo stato centrale ucraino a partire dal 1991 ha operato una riconsiderazione in chiave nazionalistica della storia ucraina con il risultato di creare una rottura con i programmi del periodo sovietico. I temi più caldi sono ovviamente quelli del XX secolo: l’Holodomor, la Grande Guerra Patriottica e il ruolo dell’UPA (l’Armata Insurrezionale Ucraina), il rapporto con la Russia. I docenti mediano le informazioni da trasmettere a seconda delle loro inclinazioni e percezioni: con una serie di interviste e dati raccolti sul campo Rodgers mostra come gli insegnanti di Lugansk abbiano trasmesso un messaggio molto più ben disposto verso Mosca. In merito al ruolo dell’UPA, se Anatoliy, insegnante di Kharkiv, afferma «che l’OUN/UPA aveva il diritto e un giusto motivo per cui esistere»[5], Galina, insegnante di Lugansk, afferma al contrario che le azioni dei «banderiti (dispregiativo per indicare l’OUN/UPA)»[6] non erano in alcun modo giustificabili. Di conseguenza, speculari conclusioni vengono fatte dagli studenti nelle rispettive città. Per quanto riguarda il rapporto con la Russia, se nessun docente né di Kharkiv né di Sumy è riportato trasmettere sciovinismo anti-russo, Olga, insegante in pensione di Lugansk, riferisce che loro «in Ucraina orientale, sono veramente vicini alla Russia»[7] a differenza di quelli «occidentali», non senza un tono dispregiativo. L’analisi di Rodgers mostra come tra i due gruppi etnici polarizzati – ucraini ucrainofoni e russi russofoni – in realtà gli ucraini russofoni in larga parte presenti nell’Ucraina centro-orientale non siano appiattiti su posizioni filorusse, ma emergono in un rapporto dinamico con lo stato ucraino. Le proteste di Euromaidan segneranno una svolta definitiva.
Identità civica
Per Tatiana Zhurzenko, le proteste del 2013 «hanno posto le fondamenta per la costruzione di una nazione ucraina su basi civiche»[8] e non etnico-linguistiche. Il movimento di Maidan, a differenza della Rivoluzione arancione, che era politicamente schierata contro Viktor Janukovic, candidato pro-Russia, è stato apolitico e trasversale. Anche Olga Onuch, politologa dell’Università di Manchester, nota come la protesta fosse molto più diffusa su scala nazionale e che, tra i manifestanti di Euromaidan, almeno il 10% di essi avrebbe perfino votato per il partito di Janukovich[9]. Il movimento di protesta del 2013-4, dunque, si concentrava su tematiche socio-economiche e civiche, come l’adesione all’Unione Europea e il rispetto dei diritti individuali. Inoltre, dal punto di vista di provenienza geografica, sebbene nella piazza di Kiev i manifestanti provenissero in percentuale maggiore dall’Ucraina occidentale, le regioni centrali, orientali e meridionali non erano sottorappresentate: rispettivamente 30.9%, 17.3% e 23.2%[10]. Movimenti pro-Maidan sono emersi a Kharkiv, Odessa e altre città russofone, mentre Lugansk cadeva in mano ai separatisti filorussi.
Il comportamento aggressivo da parte della Federazione Russa ha contribuito, già nel 2014 con l’annessione della Crimea, a fornire un nemico esterno comune alla nascente Ucraina (l’apprezzamento verso la Russia da parte degli Ucraini è crollato nel 2014 dall’80% al 48%[11]). Mosca ha dunque svolto un ruolo fondamentale nel processo di consolidazione nazionale, sebbene suo malgrado su base antirussa, mentre solo le zone del profondo est Ucraino hanno spostato il loro orizzonte culturale definitivamente verso la Russia. Le repubbliche autoproclamate infatti, nella loro costituzione si dichiarano parti del mondo russo e hanno posto simbolicamente la chiesa ortodossa russa come religione di stato.
Conclusione
Osservando la cartina dell’Ucraina, la questione regionale sembra essere un’adeguata lente attraverso cui leggere la facilità con cui Mosca è riuscita ad occupare e de facto governare dal 2014 le regioni separatiste di Donets’k e Lugansk e la Crimea. Stesso discorso non si può fare per le zone occupate a partire dal 24 febbraio dove la popolazione non è per nulla desiderosa di finire sotto il giogo di Putin, e dove attualmente l’esercito ucraino avanza senza incontrare troppe difficoltà. Secondo le mappe dell’Institute for the Study of War[12], infatti, attività di guerriglia partigiana sono sorte in funzione anti-russa nelle zone dell’oblast’ di Kharkiv, ma anche in quello di Kherson. Zone che, durante la Seconda Guerra Mondiale non erano assolutamente teatro della guerriglia nazionalista di Stepan Bandera e dell’OUN: in tal caso, Putin sarebbe riuscito a cementificare i vari strati demografici della popolazione tra loro, in particolare gli ucraini ucrainofoni e quelli russofoni, contro un unico nemico, riuscendo laddove nemmeno i nazionalisti ucraini dell’Ovest erano riusciti.
Note
[1] Barrington, L. W., “Region, Language and Nationality: Rethinking Support in Ukraine for Maintaining Distance From Russia” in Kuzio, T. e D’Anieri, P. (a cura di), Dilemmas of State-Led, 131-146.
[2] Arel, D. e Wilson, A., “Ukraine: Back to Eurasia?”, RFE/RL Research Report, 3, 32, 1994.
[3] Barrington L. W., Herron, E. S., “One Ukraine or Many? Regionalism in Ukraine and Its Political Consequences”, Nationalities Papers, 32, 1, March 2004, 53-86.
[4] Secondo il censo del 2001, il 38.2% della popolazione dell’oblast di Donetsk è di etnia russa, mentre nell’oblast di Kharkiv la popolazione russa è del 25.6%. Per quanto riguarda gli individui russofoni, nell’oblast di Kharkiv il 44.3% dichiara il russo come lingua nativa, mentre in quello di Donetsk il dato è sensibilmente più alto: 74.9%.
[5] Rodgers, P. W., Nation, Region and History in Post-Communist Transitions. Identity Politics in Ukraine, 1991-2006, ibidem eds, p. 115
[6] Ivi, p. 120.
[7] Ivi, p. 124.
[8] Zhurzhenko, T., A Divided Nation? Reconsidering the Role of Identity Politics in the Ukraine Crisis., in Die Friedens-Warte, vol. 89, no. 1/2, 2014, pp. 260-261.
[9] Onuch O., Maidans Past and Present, in Ukraine’s Euromaidan: Analyses of a Civil Revolution, Marples, D., Mills, F., (eds.), 2015, ibidem ed, p. 49
[10] Zhurzhenko, T., A Divided Nation? Reconsidering the Role of Identity Politics in the Ukraine Crisis., in Die Friedens-Warte, vol. 89, no. 1/2, 2014, p. 262.
[11] Kirichenko Irina (2014): Interview with Vladimir Paniotto. Ukraina-Rossiia: Nervnaia liubov’, neravnaia nenavist’.
[12]twitter.com/TheStudyofWar/status/1577120848598532096?s=20&t=iNLsDQDB2mopeXelL_oC1w
Foto copertina: Il regionalismo Ucraino