Dopo i ruggenti anni venti che videro un predominio repubblicano e lo scoppio della Grande Depressione nel 1929, fu nuovamente un democratico, Franklin Delano Roosevelt, eletto presidente nel 1932, a riprendere in mano l’atteggiamento internazionalista di Wilson, con il suo progetto di fare degli Stati Uniti il riformatore delle relazioni internazionali, traducendo la leadership industriale e bellica del paese in una leadership della politica mondiale.
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L’internazionalismo wilsoniano
Gli Stati Uniti hanno avuto la peculiarità di essere stati i primi a proporre, e a far realizzare, una riforma del sistema internazionale con l’obiettivo di liberare i rapporti fra gli Stati dall’anarchia imperante. Un’analisi sul ruolo di Roosevelt non può, però, non tener conto del primo vero presidente internazionalista americano: Thomas Woodrow Wilson, eletto presidente nel 1912, due anni prima dello scoppio della prima guerra mondiale.
Per Wilson, solo una nuova costruzione globale, improntata su ideali liberali e progressisti di cui egli si faceva promotore, in patria come nel contesto internazionale, poteva rendere il mondo “safe for democracy” e fare del conflitto mondiale “a war to end all wars”.[1]
L’8 gennaio 1918, quando ormai la fine della guerra era vicina, davanti al Congresso riunito in sessione congiunta, Wilson annunciò i suoi Fourteen Points per una pace duratura in Europa e nel mondo. L’ampiezza dei problemi trattati fa comprendere come vi fosse in Wilson, e nei suoi esperti, la cognizione precisa dell’importanza del diritto internazionale, degli accordi fra stati siglati in maniera palese e del ruolo che le nascenti organizzazioni sovranazionali permanenti potevano svolgere per la risoluzione delle controversie internazionali. Egli riteneva che attraverso una nuova diplomazia, una normativa internazionale generalmente rispettata e accordi conclusi apertamente fosse possibile evitare nuovi sanguinosi conflitti armati.[2] Nel quattordicesimo, il più importante per Wilson, egli esprimeva il suo disegno di creazione di un “governo con il consenso dei governati” attraverso l’istituzione di una Società delle Nazioni da istituirsi mediante appositi patti con l’obiettivo di fornire mutue garanzie d’indipendenza e di integrità territoriale tanto agli stati grandi quanto a quelli piccoli.[3]
Con la firma del Trattato di Versailles, il 28 giugno 1919, si concretizzò il sogno “americano” del Presidente Wilson, con la creazione della c.d. Società delle Nazioni, il cui compito fondamentale sarebbe stato di opporsi al vecchio concetto dell’equilibrio di potenza il cui fallimento aveva provocato la tragedia del primo conflitto mondiale.[4]
Si concretizzava l’obiettivo dichiarato da Wilson di voler promuovere “un sistema internazionale nel quale il diritto si sostituisse all’arbitrio del più forte”. La Società delle Nazioni, però, non poté mai contare sull’unica forza politica, economica e militare in grado di guidare il nuovo sistema di sicurezza collettiva e di frapporsi tra le varie dispute diplomatiche che caratterizzeranno il ventennio tra le due guerre: gli Stati Uniti d’America. Il disegno del presidente Wilson, infatti, fu accettato dagli europei, ma non dagli americani stessi, restii a lasciarsi legare le mani e farsi condizionare dalla declinante Europa mettendo a rischio la propria sovranità.[5]
Il grand design rooseveltiano
Dopo i ruggenti anni venti che videro un predominio repubblicano e lo scoppio della Grande Depressione nel 1929, fu nuovamente un democratico, Franklin Delano Roosevelt, eletto presidente nel 1932, a riprendere in mano l’atteggiamento internazionalista di Wilson, con il suo progetto di fare degli Stati Uniti il riformatore delle relazioni internazionali, traducendo la leadership industriale e bellica del paese in una leadership della politica mondiale.[6]
L’insediamento di Roosevelt, avvenuto nel 1933, fu accompagnato dall’ascesa del Partito Nazional-Socialista in Germania di Adolf Hitler ma gli Stati Uniti, insieme a Gran Bretagna e Francia, adottarono fin da subito una politica di appeasement verso la Germania nazista e d’isolazionismo dagli affari europei.
Una serie di atti e documenti ci permette, però, di monitorare l’evoluzione del pensiero di Roosevelt nella scia dell’idealismo wilsoniano. Con il discorso sulla Quarantena, tenuto a Chicago il 5 ottobre del 1937, Roosevelt riprende, anche se cautamente, temi wilsoniani: “L’America non può sfuggire alle pulsioni belliche internazionali, l’America deve pensare al resto del mondo, non può isolarsi. Contro il contagio della guerra e contro quella minoranza di umanità che la perseguono le nazioni che amano la pace devono organizzarsi, isolando completamente quelle afflitte dal virus della guerra, dell’illegalità e dall’aggressione”. Il Presidente degli Stati Uniti si riallaccia ai tentativi di accordo passati. L’America ama la pace e odia la guerra, conclude il presidente, ma “actively engages in the search for peace”. [7]
Da questo punto di partenza, con cautela ma decisamente, il Presidente forzò il paese a uscire gradualmente dal suo isolazionismo esasperato, intaccando i Neutrality Acts varati negli anni precedenti. L’America stava cambiando gradualmente rotta, per accorgersi e vivere l’interdipendenza con le vicende europee. Nel 1940 il Presidente disse che gli Stati Uniti dovevano diventare il “grande arsenale della democrazia”e nel marzo del 1941 fece approvare il Lend-Lease Act, che, di fatto, consentiva agli Stati Uniti di aiutare tutti quegli Stati la cui difesa era vitale per gli interessi del paese. È l’emergere e il concreto realizzarsi dell’internazionalismo rooseveltiano, unito all’incrollabile fiducia del Presidente nella cooperazione internazionale, come soluzione intuita per instaurare un ordine mondiale solido e duraturo. Il 6 gennaio 1941, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, Roosevelt iniziò a delineare il suo progetto per una pace globale. [8]Riprendendo un po’ l’idealismo di Wilson e della vecchia Società delle Nazioni, disse ai membri del Congresso che vi erano quattro libertà umane essenziali: la libertà di parola ed espressione; la libertà di religione; la libertà dal bisogno; e la libertà dalla paura. Queste libertà non erano ideali lontani bensì un obiettivo raggiungibile per la sua generazione e che gli Stati Uniti stavano combattendo per le libertà universali di tutti i popoli.[9]
Contemporaneamente al continuo della guerra in Europa, tra il 9 e il 13 agosto 1941, a largo della costa di Terranova, sull’incrociatore “Augusta”, Roosevelt e Churchill s’incontrarono per discutere di temi d’importanza immediata e di progettazione futura. Nonostante le divergenze fra i due leader occidentali, venne creata e presentata la Carta Atlantica, un documento che rifletteva i principi delle quattro libertà e dei quattordici punti di Wilson, presentando principi universali intorno ai quali si sarebbe organizzato il mondo dopo la fine della guerra. Ed è proprio sulla base di questi principi che Roosevelt elaborò un grand design per un nuovo ordine mondiale garantito dagli Stati Uniti e dal suo nuovo status di superpotenza militare acquisita nel corso della guerra.[10]
Il disegno internazionalista di Franklin Delano Roosevelt prevedeva, come quello di Wilson, una nuova organizzazione per risolvere in modo definitivo il problema della guerra e dell’anarchia internazionale, costituendo una nuova Società delle nazioni esente dai difetti della prima: con la partecipazione cruciale degli Stati Uniti e una struttura in grado di garantire i buoni comportamenti degli Stati e/o l’intervento contro quelli che non rispettavano le regole internazionali. Roosevelt pensava di cogliere un’occasione storica, poter riformare il sistema delle relazioni internazionali grazie allo strapotere americano.
In questo senso, dopo le delusioni del ventennio precedente, Roosevelt pensava di trasformare la grande alleanza bellica nei guardiani del nuovo ordine: i four policemen – Usa, Urss, Gran Bretagna e Cina – avrebbero dovuto, infatti, garantire il corretto funzionamento delle istituzioni internazionali e dissuadere gli Stati con intenzioni revisioniste. [11]Occorreva introdurre etica e regole nei rapporti fra gli Stati, grandi e piccoli, ma nello stesso tempo era necessario affidarsi al potere di dissuasione di alcuni grandi, anche per non far fare alla nuova organizzazione la fine della Società, che si era dimostrata incapace di far rispettare i patti sottoscritti.
La Carta Atlantica e i suoi principi furono formalizzati con la Dichiarazione delle Nazioni Unite, firmata nel gennaio del 1942 da 26 stati, che forniva un quadro entro il quale i “Big Four” iniziavano a progettare i piani per un futuro di pace. [12]
Considerazione, comprensione, dibattito e compromessi erano fondamentali per il funzionamento di questa nuova struttura. Queste erano le parole chiave per Roosevelt e con questo spirito, nella Conferenza dei Ministri degli Esteri a Mosca dell’ottobre 1943, i “quattro poliziotti” esprimevano la volontà di creare in breve tempo un’organizzazione universale internazionale fondata sul principio dell’eguaglianza fra tutti gli Stati amanti della pace e aperta alla loro partecipazione al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. [13]
Man mano che la guerra andava avanti, rimanevano aperte delle questioni che solo attraverso un incontro tra Roosevelt, Churchill e Stalin, si sarebbero potute risolvere. Nella Conferenza di Teheran del dicembre 1943, prima occasione nella quale si riunirono i Tre Grandi della seconda guerra mondiale, tra i vari temi militari affrontati, fu affrontato il tema della creazione di un’organizzazione delle Nazioni Unite che avrebbe avuto il compito di promuovere la pace e la sicurezza internazionale attraverso raccomandazioni, per le questioni non militari, e a cui sarebbe stato affiancato un comitato esecutivo, comprendente i “quattro poliziotti” e altri sei stati, che avrebbe affrontato nella maniera più rapida possibile ogni questione che avrebbe potuto minacciare la pace internazionale.
I punti riguardanti la struttura organizzativa, l’universalità e le regole di votazione della nuova società vennero però discussi durante la Conferenza di Dumbarton Oaks, con un testo che sarà alla base delle discussioni della Conferenza di San Francisco del 1945. I lavori preparatori per la creazione di un’Organizzazione delle Nazioni Unite si conclusero però con un rinvio.
Il mutato clima internazionale, l’emergere di nuovi problemi resero necessario un altro vertice che si tenne a Yalta nel 1945. In questo incontro Roosevelt sostenne la proposta del diritto di veto, come modalità di voto nel Consiglio di Sicurezza, pensato nell’ottica di assicurare l’unità tra le Grandi Potenze e come premessa per la cooperazione internazionale e migliore possibilità per custodire la pace. Ciò è indice della grande fiducia che i quattro grandi riponevano nella loro alleanza. Nessuno di loro, infatti, pensava che l’alleanza si sarebbe rotta. [14]
Per Roosevelt, gli accordi di Yalta e la successiva Conferenza di San Francisco, nella quale fu redatta la Carta della nuova organizzazione, rappresentavano la fine di tutte quelle pratiche che erano state provate per secoli e avevano sempre fallito. Egli credeva nelle possibilità di migliorare la cooperazione internazionale mettendola in pratica. Questo è ciò che ha rappresentato, ciò che ha incarnato e ciò che alla fine ha anche raggiunto.
Note
[1] Robert H. Ferrell, Woodrow Wilson and World War I 1917-1921 (New York: Harper & Row, 1985)
[2] Giuseppe Bottaro, The world must be made safe for democracy, in Politics. Rivista di Studi Politici. Numero 2 (2/2014)
[3] Mario Del Pero, Libertà e Impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006 (Roma-Bari: Laterza, 2008)
[4] Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni Internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri (Roma-Bari: Laterza, 2008)
[5] Giovanni Borgognone, Storia degli Stati Uniti. La democrazia americana dalla fondazione all’era globale, (Milano: Feltrinelli, 2016)
[6] Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti, (Roma-Bari: Laterza, 2008)
[7] Robert Dallek, Franklin D. Roosevelt and American Foreign Policy, 1932-1945, (Oxford University Press, 1995)
[8] M. Del Pero, Libertà e Impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006
[9] R. Dallek, Franklin D. Roosevelt and American Foreign Policy, 1932-1945
[10] M. Del Pero, Libertà e Imp,ero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006
[11] R. Dallek, Franklin D. Roosevelt and American Foreign Policy, 1932-1945
[12] Ruth B. Russell, A History of The United Nations Charter: The Role of the United States 1940-1945, (Washington: The Bookings Institution, 1958)
[13] E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali
[14] R. Dallek, Franklin D. Roosevelt and American Foreign Policy, 1932-1945