L’intervento tardivo della comunità internazionale e le responsabilità di Francia e Belgio. A cura della Redazione
Il genocidio del Ruanda è stato uno dei più sanguinosi episodi della storia dell’Africa del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente almeno 500.000 persone, secondo le stime di Human Right Watch; il numero delle vittime tuttavia è salito fino a raggiungere una cifra pari a circa 800.000 o 1.000.000 di persone.
OpinioJuris: Le vittime furono prevalentemente di etnia Tutsi, corrispondenti a circa il 20 % della popolazione, ma le violenze finirono per coinvolgere anche Hutu moderati appartenenti alla maggioranza del paese. Ci può spiegare quali sono state le cause di questo massacro? Era solo un problema “etnico”?
LM : Le Nazioni Unite hanno stabilito che il 7 aprile è il Giorno del ricordo delle Vittime del Genocidio del Ruanda. Con questa giornata si vuole conservare e rinnovare la memoria della morte di 800.000 mila più probabilmente 1 milione persone in maggioranza Tutsi, uccise nel corso del 1994 in Ruanda. Alla domanda se la causa del genocidio va identificata solo ed esclusivamente con un problema “etnico”, credo che ciò vorrebbe dire dimenticare altre questioni ad esso annesse.
Nel corso di quei giorni, infatti, la comunità internazionale facilitò una serie di decisioni che di certo agevolarono il genocidio, tra cui il ritiro della maggior parte dei caschi blu dal Ruanda. Le Nazioni Unite d’altra parte, di fatto, furono incapaci non solo di prevenire ma ancora più di proteggere la popolazione, nonostante si fossero avuti nel tempo molti segnali che inequivocabilmente delineavano lo scenario futuro.
A riguardi ricordo che tra l’ ottobre 1990 e fino alla firma degli accordi di Arusha nell’agosto 1993 ci furono molti episodi nei quali i Tutsi persero la vita come nel caso dei massacri di Bugesera nel marzo del 1992 , di Bugesera nell’agosto del 1992 e nella regione di Gisenyi-Ruhengeri tra dicembre 1992 e gennaio 1993, ai quali fecero seguito altre esecuzioni da parte del Fronte Patriottico Ruandese.
OpinioJuris: Il genocidio pose fine alla breve tregua scaturita dalla firma degli accordi di Arusha del 4 agosto 1993 tra il governo del Ruanda e il Rwandese Patriotic Front(RPF)protagonisti di una guerra civile durata 3 anni. Cosa prevedevano gli accordi e perché non ottennero l’effetto sperato?
LM: La Convenzione era formata da cinque accordi o protocolli conclusi tra il luglio 1992 e il luglio 1993 relativi al cessate il fuoco, allo stato di diritto, all’intesa sulla distribuzione del potere, al rientro dei rifugiati e di quanti erano e l’ integrazione delle forze armate. La firma dell’Accordo non portò però i risultati sperati, per la diversa interpretazione e differente prospettiva delle tre parti: governo, fronte e General Dallaire dell’UNAMIR. Inoltre pesò l’avere spiegato in modo impreciso e del tutto sommario l’Accordo alla popolazione.
OpinioJuris: Il 6 aprile 1994, l’aereo su cui viaggiava il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana fu abbattuto da un missile terra-aria. Fra le vittime, oltre allo stesso Habyarimana, ci fu il presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira. Benché le responsabilità del gesto siano tuttora da accertare, ci fu una violenta rappresaglia nei confronti dei Tutsi, principalmente ad opera di due gruppi paramilitari Hutu, Impuzamugambi e Interahamwe. Chi erano questi gruppi e da chi venivano finanziati ed armati?
LM : I due gruppi paramilitari, Impuzamugambi (coloro che hanno il medesimo obiettivo) e Interahamwe ( coloro che attaccano insieme, coloro che vincono insieme) sono stati il principale braccio armato del genocidio. Il primo affiancava la Coalizione per la Difesa della Repubblica, il secondo, nato come movimento giovanile del Movimento Rivoluzionario Nazionale per lo Sviluppo e la Democrazia, si distinse, una volta addestrato dalle Forze Armate ruandesi e dai francesi, per fare attacchi contro chiunque, soprattutto persone Tutsi, non condivideva l’ideologia del partito. I due gruppi paramilitari hanno avuto nel governo francese la loro più importante fonte di finanziamento. D’altra parte Parigi diversamente da Bruxelles e Washington non ha mai presentato le sue scuse.
OpinioJuris: Una delle critica rivolte alla Comunità Internazionale è quella di essersi disinteressata a ciò che stava accadendo in Ruanda , nonostante la presenza di un contingente ONU ( missione Unamir) presente sul territorio già dall’ottobre del 1993. Secondo Lei perché cosa non è stato fatto per fermare le violenze?
LM: Bisogna dire che il primo problema della missione era legata alla mancanza di adeguati finanziamenti di qui anche forse la loro impossibilità nell’implementare l’Accordo di Arusha. Va ricordato che l’arrivo del contingente della Nazioni Unite, ridottosi a 270 militari, portò al ritiro delle truppe francesi dal paese, mentre vi restò un certo numero di consiglieri di Parigi. Per quanto riguarda l’UNAMIR e cosa avrebbe potuto e dovuto si può dire, che ancora ad inizio aprile del 1994 c’era molto ambiguità sul mandato accordato alla missione e quindi l’impossibilità per la stessa di essere operativa. Solo la risoluzione 912 del Consiglio di Sicurezza del 21 aprile 1994 chiarì il da farsi attivando la missione in un azione di cessate il fuoco, di assistenza umanitaria, e di prestare aiuto ai civili che avessero chiesto l’assistenza dell’UNAMIR. Il suo mandato però non fu implementato quando il genocidio era ormai ben noto neanche con la risoluzione 918 del 17 maggio 1994.
OpinioJuris : Che ruolo hanno giocato le potenze occidentali , in particolare Francia e Belgio, in questa vicenda?
LM: La Francia a partire del novembre 1990 assume in Ruanda il ruolo di protettrice del governo sostituendosi di fatto al Belgio. Parigi considera i Tutsi dei nemici e rifornisce il governo ruandese di armi anche dopo l’Accordo di Arusha e lascia il regime di Habyarimana libero di agire e avrà lo stesso atteggiamento con il governo ad interim. L’atteggiamento di connivenza della Francia si è mostrato anche in seno al Consiglio di Sicurezza dove il 30 aprile rifiutò insieme agli Stati Uniti che nella risoluzione fosse usato la parola genocidio.
Sarà solo il 16 maggio che il Ministro degli Esteri francese Juppé userà il vocabolo genocidio per definire gli eventi in corso nel Ruanda. Nonostante questa ammissione, Parigi incaricata dalle Nazioni Unite della missione Turquoise non avrebbe ottemperato al suo mandato anzi avrebbe favorita la fuga nei paesi confinanti degli autori principali del massacri.
Per quanto concerne il ruolo del Belgio nel genocidio, esso è stato senza dubbio inferiore, soprattutto dopo che Bruxelles lasciò mano libera alla Francia. Il Belgio fu tuttavia sollecitato dalle Nazioni Unite il 14 ottobre 1993 a inviare un contingente di 800 uomini per la missione UNAMIR. In realtà il contingente che il 19 novembre il governo belga decise di inviare in Ruanda fu di 370 soldati, che in seguito avrebbero potuto arrivare a 450.
La presenza di soldati belgi fu malvista dagli Hutu e il rancore contro i caschi blu belgi andò sempre più aumentando e raggiunse il massimo quando fu divulgata la notizia dalla Radio delle Mille Colline, del tutto falsa, che ad abbattere l’aereo presidenziale fossero stati i belgi. E’ da dire che i Belgi una volta cominciati massacri avrebbero voluto che la missione delle Nazioni Unite fosse operativa al di là dei limiti del suo mandato.
La pretesa belga divenne imperativa dopo l’uccisione di 10 caschi blu belgi, ma gli stessi soldati belgi si copriranno di disonore nel caso dell’ Ecole Technique Officielle (ETO)dove avrebbero dovuto sorvegliare sulla vita di 2000 Tutsi che una volta partito il contingente ONU tutti furono trucidati. Resta ovviamente incomprensibile la decisione del governo belga di ritirare i suoi soldati, i meglio addestrati ed equipaggiati dell’intero contingente ONU e i soli a conoscere la realtà locale. Il contingente lasciò Kigali il 19 aprile. La colpa maggiore del Belgio fu quella di segnare l’avvio dello smantellamento della missione dell’’ONU che si ridusse ad agire aiutando per lo più gli stranieri a lasciare il paese favorendo così la continuazione delle uccisioni.
OpinioJuris :Quali sono state le ripercussioni di questo conflitto nel continente africano?
LM: Tra le ripercussioni maggiori, oltre al numero delle morti occorsi durante i quattro mesi, va considerato gli spostamenti di popolazione all’interno della stessa nazione e nelle nazioni vicine e a seguire la grave crisi in tutta la regione dei Grandi Laghi, la caduta di Mobutu nel luglio 1997 e la destabilizzazione della Repubblica democratica del Congo con lo scoppio della prima (1996-1997) da molti considerata un seguito del conflitto ruandese e della seconda guerra congolese (1998-2003).
OpinioJuris : Oggi , a 23 anni dal genocidio, che paese è il Ruanda?
LM: Il Paese viene da qualche anno qualificato come il nuovo miracolo africano. La nazione è in pace, le donne ricoprono la maggior parte dei ruoli amministrativi e politici, il 95 per cento degli abitanti ha l’assicurazione medica, almeno un milione di poveri è stato sollevato fuori dalla povertà, e viene definito uno dei Paesi più sicuri del mondo. Il PIL pro capite è aumentato di cinque volte. Accanto a tutti questi segnali positivi non mancano delle critiche per la tendenza autoritaria del presidente Paul Kagame, che dopo avere emendato la costituzione potrà presentarsi per un terzo mandato presidenziale il prossimo 4 agosto, per la grave riduzione dei diritti civili e politici e con la repressione onnipresente. A distanza di 23 anni dal genocidio bisogna dire che alcuni interrogativi restano ancora senza risposte come quello relativo a chi lanciò il missile che colpì l’aereo del Presidente ,perché alcuni dei responsabili sono ancora impuniti.
Per quanto riguarda le persone va detto che da più parti si pensi alle parole di Papa Francesco in occasione della visita resagli dal Presidente Kagame lo scorso mese che è necessario per contribuire a dare guarigione ai sopravvissuti e alle innumerevoli persone che portano il ricordo delle tante, troppe terribile atrocità vissute.
[1]Già docente di Storia e istituzioni dei Paesi afro-asiatici – Università degli Studi di Napoli “Federico II”.