Alle origini del concetto eponimo del nuovo Ministero, che ha scatenato un acceso dibattito politico e ricordi di autarchia del Ventennio: un’analisi della strategia italiana alla luce del significato giuridico internazionale.
A cura di Giovanni Luca Catucci
Genesi del concetto
“Può esistere la sicurezza alimentare in prigione o in una dittatura, ma non la sovranità alimentare”.[1] Sovranità alimentare non è sinonimo di sicurezza alimentare. Anzi, nasce proprio per contrastare il significato tradizionalmente attribuito a quest’ultima, basato sulla disponibilità in ogni momento di una quantità sufficiente di derrate alimentari, che risponda ad una domanda crescente. Scaturigine di questa visione produttivista è la convinzione che contrastare la fame richiede un aumento della produzione. Questo concetto ha ispirato l’inclusione, nel 1995, dei prodotti agro-alimentari nell’accordo sull’agricoltura del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), trattato internazionale poi confluito nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Sin da quel momento, sottoposto alle stesse regole commerciali di altri beni, anche il cibo è prodotto e scambiato secondo il paradigma economico liberista, con l’apertura dei mercati agricoli e la fine degli aiuti pubblici alle piccole imprese. Contestualmente, il sovvenzionamento delle esportazioni a favore di grandi conglomerati del mondo industrializzato permette loro di vendere nel mondo in via di sviluppo a un prezzo inferiore al costo di produzione.[2] Questo dumping assume anche la forma di aiuti alimentari strategicamente concepiti, che aumentano la dipendenza dalle importazioni di alcuni Paesi, mettendo a rischio la propria sicurezza alimentare.[3] Inoltre, l’applicazione nell’agronomia della proprietà intellettuale sui semi e la genetica delle colture, la diffusione dell’agricoltura industrializzata e chimica, della pesca e degli allevamenti intensivi hanno contribuito al consolidamento di corporations oligopolistiche. La necessità di specializzarsi in colture il cui costo è comparativamente più basso ha vieppiù portato gli Stati a smantellare interi settori economici e a competere tra loro nei mercati globali, con una corsa al ribasso dei costi del lavoro, con un conseguente danno ai contadini, privati del loro sostentamento e costretti ad abbandonare le loro terre.
Nel 1996, il Summit della FAO ha forgiato un concetto aggiornato di sicurezza alimentare che enfatizza l’accesso al cibo, ma ignorandone la provenienza, i metodi di produzione, e il modo in cui le suddette politiche neoliberiste, le aperture dei mercati e gli aumenti di produttività degli anni 1980 abbiano espunto i contadini dal calcolo, rafforzando le multinazionali.[4]
Il significato secondo il diritto internazionale
In reazione, un forum non-governativo tenutosi contemporaneamente a Roma – Profit for few or food for all – ha partorito il concetto alternativo di sovranità alimentare. Secondo Via Campesina -associazione transnazionale di contadini e madre del concetto- la sovranità alimentare è “il diritto dei popoli a del cibo sano e culturalmente appropriato prodotto con metodi ecologicamente sani e sostenibili, e il loro diritto di definire i propri sistemi agroalimentari”.[5] Pertanto, la sovranità alimentare è una condizione necessaria per la sicurezza alimentare a lungo termine, che non dipende dall’aumento dell’offerta, ma dalla protezione di chi produce il cibo e si occupa dell’ambiente.[6] Contrariamente alla narrativa dominante del cibo come merce, tale approccio considera il cibo come un diritto umano come riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo all’art. 25 e dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali all’art. 11. Garantendo a tutti l’accesso alle risorse necessarie per sfamarsi, il diritto al cibo sarebbe tutelato e l’insicurezza alimentare eliminata, giacché due terzi degli affamati sono contadini. Sicurezza e sovranità alimentare si rafforzano reciprocamente sotto alcuni aspetti, in quanto entrambe sottolineano l’accesso a cibo sicuro, nutriente e culturalmente appropriato.[7] Tuttavia, la sovranità alimentare è un’idea più radicale, poiché combattendo per le economie rurali e i contadini denuncia il regime alimentare attuale, che beneficia l’agribusiness generando seri costi ambientali, sociali e sanitari. Inoltre, la sovranità alimentare si interroga sulle relazioni di potere nella catena alimentare (accesso ai mezzi di produzione, alle informazioni, ecc.) e sul modo in cui il cibo è prodotto.[8] Ancora, è fautrice della dimensione umana e di giustizia sociale, nonché dell’agroecologia e agricoltura biologica su piccola scala.[9] Infine, aggiunge una prospettiva postcoloniale e di genere alla politica agroalimentare. I sei pilastri della sovranità alimentare delineati da Via Campesina sono:
- Cibo per le persone
- Valorizzazione dei produttori
- Localizzazione dei sistemi alimentari
- Localizzazione del controllo
- Valorizzazione delle conoscenze tradizionali
- Compatibilità con la natura
Incorporando il diritto a condizioni economiche, sociali e politiche favorevoli al raggiungimento della sicurezza alimentare con mezzi propri e la dimensione della dignità, la sovranità alimentare si basa dunque sulla cornice del cibo come diritto umano.[10] A differenza del diritto al cibo, esigibile perché contenuto in un trattato vincolante, la sovranità alimentare è per ora soltanto un principio politico, ma che sta trovando sempre più spazio a livello nazionale (ad esempio, nella Costituzione dell’Ecuador all’art. 281, e nella legge sulla sovranità alimentare del Maine) e internazionale, (ovvero all’art. 15 della Dichiarazione non vincolante sui Diritti dei Contadini (ONU, 2018), alla cui votazione l’Italia si è astenuta).
La strategia italiana
I pilastri della strategia italiana, a primo impatto, aderiscono a quelli enunciati: i diritti dei lavoratori, l’equità dei prezzi, la stagionalità e l’ecologia, le filiere corte, lo sviluppo rurale. Tali principi garantiscono la qualità, la sicurezza e la sostenibilità dei sistemi alimentari e reagiscono ad una ultra-globalizzazione del commercio alimentare, con conseguente afflusso di cibo di scarsa qualità, standardizzato e a basso costo, e alla dipendenza nazionale dalle importazioni. Tuttavia, nonostante le promettenti ambizioni, il dubbio che queste siano solo dichiarazioni retoriche per mascherare un’agenda differente permane. Di fatto, secondo le dichiarazioni del Ministero il principale oggetto della politica agroalimentare non risulta essere il piccolo contadino, bensì la competitività stessa dei prodotti italiani all’estero. Insomma, la sovranità alimentare à l’italienne pare uno sforzo integrato del governo per potenziare il marchio Made in Italy, le esportazioni e la bilancia commerciale, edulcorando una politica commerciale assertiva. Un approccio legittimo nell’ottica dell’interesse nazionale, che spiegherebbe le battaglie in fori europei contro Nutriscore, gli OGM e i prodotti Italian-sounding, così come gli obiettivi di “penetrare i mercati globali”, ma che cozzano contro l’afflato inclusivo dei Campesinos. Inoltre, la spinta sull’acceleratore della produzione nazionale suggerirebbe piuttosto una ricerca di sicurezza alimentare, come già visto in Francia.[11] Soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina, in Europa l’autosufficienza è diventata bussola della politica alimentare, seguita anche a scapito della protezione dell’ambiente. Nel pedigree della maggioranza al governo figurano infatti sfide alle norme europee sui limiti ai terreni incolti e sull’uso di pesticidi – in nome di un produttivismo sfrenato – e ostruzionismo alla protezione dell’ambiente e della biodiversità in Costituzione.[12] Infine, la nuova strategia prevede la securitizzazione del marchio Made in Italy – custode della filiera corta e del cibo sano – tramite un massiccio impiego di ispettori antifrode e Carabinieri, e include bandiere ideologiche come la lotta contro gli alimenti sintetici, l’omologazione alimentare e le infestazioni di ungulati. È evidente, dunque, che l’approccio italiano manca di un sincero impegno ecologista.
Al contrario, vi sono diversi aspetti positivi presenti nella nuova Legge di Bilancio.[13] Il fondo di €100M per la sovranità alimentare, infatti, aiuta i produttori a resistere all’inflazione e incentiva le filiere corte. Ancora, il Ministero indirizza €500M in buoni alimentari ai nuclei svantaggiati e €225M all’innovazione agricola. Il piano strategico è stato recentemente approvato dalla Commissione europea e incorpora altresì meccanismi come la condizionalità sociale, che garantisce i diritti dei lavoratori e contrasta il caporalato. Nel complesso, emerge la volontà di porre i contadini “al centro della politica”, con remunerazione e condizioni di lavoro eque. Questa centralità si riverbera sull’intera strategia, che mette l’accento sulla localizzazione, sui metodi di produzione e le conoscenze tradizionali e sulle filiere corte, che hanno garantito al piano il placet di FAO, Slow Food, Coldiretti e Confagricoltura.[14]
Conclusioni
In sintesi, la sovranità alimentare nella visione italiana presenta punti di forza e criticità. Enfatizzando la figura del contadino e idealizzando la vita rurale e la produzione italiana tradizionale, la strategia ambisce ad obiettivi di natura prettamente commerciale, ignorando così la sostenibilità ambientale e il controllo sociale sulla filiera agroalimentare. Eppure, il piano avvia un dibattito necessario sulla localizzazione e sul valore dei fornitori di cibo in Italia. La valutazione finale dipende dallo standard adottato. In ottica di interesse nazionale, solo il tempo potrà giudicare la bontà della strategia, mentre è indubbio che attenendoci ad una visione purista della sovranità alimentare – criticabile e magari anche utopistica – il piano non ne è all’altezza.
Note
[1] Via Campesina. 2007. Declaration of Nyéléni a Nyéléni, Sélingué, Mali.
[2] Edelman, M. & al. 2014. Introduction: critical perspectives on food sovereignty. Journal of Peasant Studies, 41:6, 911-931, DOI: 10.1080/03066150.2014.963568.
[3] Patel, R. 2009. Food sovereignty. The Journal of Peasant Studies, 36:3, 663-706, DOI: 10.1080/03066150903143079.
[4] Ibid.
[5] Via Campesina, 2007.
[6] Patel, 2009.
[7] Gordillo, G. 2013. Food security and food sovereignty. FAO base document for discussion.
[8] Ibid.
[9] Altieri, M. Holt-Giménez, E. 2013. Agroecology, food sovereignty, and the new green revolution. Agroecology and Sustainable Food Systems 37, no. 1: 90–102.
[10] United Nations, International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, General Assembly Resolution 2200A (XXI) of 16 December 1966; CESCR General Comment n.12 on The Right to Adequate Food, 1999.
[11] Foote, N. 27/05/2022. Agrifood brief: from food sovereignty to food security. Euractiv, https://www.euractiv.com/section/agriculture-food/news/agrifood-brief-from-food-sovereignty-to-food-security/.
[12] Ciconte, F. 04/10/2022. Cos’è la sovranità alimentare per Giorgia Meloni. Domani,https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/nel-sovranismo-alimentare-di-giorgia-meloni-non-ce-spazio-per-la-crisi-climatica-cdx0rwbc.
[13] Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste. 12/2022. Linee programmatiche del ministro Lollobrigida alle commissioni congiunte di Camera e Senato. https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/18935.
[14] Marzialetti, S. 19/12/2022. La sovranità alimentare mette tutti d’accordo. Il Sole 24 Ore,https://www.ilsole24ore.com/art/la-sovranita-alimentare-mette-tutti-d-accordo-AE6vtRQC.
Foto copertina: Sovranità o sovranismo alimentare?