L’Asia centrale, per la sua posizione geografica di cuscinetto tra il mondo russo, cinese, turco e quello iraniano, rappresenta ancora oggi una regione strategicamente importante, per non dire fondamentale. E l’Italia può recitare una parte importante.
L’Asia centrale rappresenta un mini-continente, isolato e cristallizzato dalla storia, capace però di solleticare le fantasie e le attenzioni di viaggiatori e marcanti del passato, e Stati bramosi di energia oggi.
Samarcanda, Bukhara, Kashgar, Merv, un tempo tappe obbligate sulla Via della Seta collegate a nomi che sono diventati leggenda, da Marco Polo a Tīmūr Barlas meglio noto come Tamerlano, condottiero mongolo che tra il 1370 e il 1405 conquistò larga parte dell’Asia centrale e occidentale, fondando l’Impero timuride. L’Asia centrale, per la sua posizione geografica di cuscinetto tra il mondo russo, cinese, turco e quello iraniano, rappresenta ancora oggi una regione strategicamente importante, per non dire fondamentale. Gli appetiti delle grandi potenze non potevano non guardare a queste terre con crescente interesse. Un interesse che divenne un ossessione agli inizi dell’800 quando la Gran Bretagna temeva che un’altra forza europea potesse avanzare sul territorio e, soprattutto, sul gioiello della Corona, l’India britannica, rischiando peraltro di innescare un’escalation di rabbia delle popolazioni locali contro il proprio dominio. Sull’Asia centrale convergevano due forze aggressive e concorrenti, la Gran Bretagna consolidava la sua presa sull’India; e l’Impero zarista conquistava i khanati e le tribù dell’Asia centrale. La Russia, terminata la minaccia napoleonica aveva ripreso la sua politica espansionistica nelle steppe dell’Asia centrale e da qui, come obiettivo ultimo, puntava all’altopiano del Tibet e dell’Himalaya, area di importanza strategica tra il decadente impero cinese e l’India britannica, e al tanto atteso sbocco sull’Oceano Indiano[1]. Spie e trafficanti, intrecci e intrighi, doppiogiochisti e scortesia diplomatica tra il Caspio e Kabul furono catalogati sotto la voce de “il Grande Gioco”. L’epoca classica è generalmente circoscritta al periodo compreso tra il Trattato Russo-Persiano del 1813 e la Convenzione Anglo-Russa del 1907. Una fase meno intensa seguì la Rivoluzione Bolscevica del 1917[2]. Successivamente la Seconda Guerra Mondiale, il termine continuò ad essere in uso per descrivere le macchinazioni geopolitiche delle grandi potenze e delle potenze regionali che si contendono il potere e l’influenza geopolitica dell’Asia centrale, proseguendo fino all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS che inaugurò la fase de “il nuovo Grande Gioco”. Dalle ceneri dell’Urss nacquero 5 nuovi stati, gli –Stan dell’Asia centrale: Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan, Turkmenistan e Kirghizistan. All’indomani degli attacchi dell’11 settembre, l’Asia Centrale fu al centro di una “pax” tra le grandi potenze: Stati Uniti, Russia, Cina, Turchia, Iran avevano un avversario comune: il fondamentalismo islamico.
In questa occasione anche il “Belpaese” si rese conto dell’importanza di questa regione. Si rese quindi necessario prestare attenzione alle Repubbliche centroasiatiche ricche di fascino, di storia, di forti tradizioni culturali spesso non comprensibili[3], desiderose di riappropriarsi della nuova libertà dopo la fine dell’Unione Sovietica. Con la speranza di aumentare la presenza italiana in Asia centrale, aprendo così una prateria di occasioni per le imprese. Perseguendo una politica di diversificazione degli approvvigionamenti energetici, Roma ha puntato con decisione verso questo territorio strategico anche per i risvolti politici che una cooperazione economica poteva facilitare.
Gli –Stan non rappresentano un blocco unitario, ogni paese ha una propria storia e tradizione. I processi di affrancamento dall’Urss e i traumi di uno spaesamento conseguente alla nuova “libertà”, hanno avuto conseguenze diverse. In alcuni casi hanno provocato subito le frizioni che hanno dato vita a conflitti armati o archi di instabilità che ancora oggi destano qualche preoccupazione. È il caso della guerra civile che ha sconvolto il Tagikistan[4] nel 1992, degli scontri al confine tra Tajikistan e Kirghizistan nel ‘21 e dalle aspirazioni secessione della regione del Karakalpakstan in Uzbekistan[5], delle proteste in Kazakistan del gennaio ’22[6] e in generale di una concezione di gestione di Stato quasi monastico che lascia poco spazio alla democrazia, come dimostra il caso dell’elezione in Turkmenistan di Serdan Berdimuhamedov figlio di Gurbanguly Berdimuhamedov che ha guidato il paese dal 2007[7], o in alcuni casi prende una deriva quasi bizzarra ed è il caso del presidente del Tagikistan Rahmon che attraverso una legge ha imposto che il suo titolo sarà sempre recitato per intero dai media ufficiali. Non solo “Presidente” ma è obbligatorio riferirsi a lui come “Fondatore della Pace e dell’Unità Nazionale, Capo della Nazione, Presidente della Repubblica del Tajikistan, Sua Eccellenza Emomali Rahmon…”.
L’Italia fu uno dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza dell’Uzbekistan, il 24 marzo 1992, a Mosca l’ambasciatore Ferdinando Salleo e il rappresentante uzbeco Akmal Saidov, firmarono il protocollo sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Nello stesso giorno ad Helsinki, i rappresentanti diplomatici italiani firmavano un accordo con gli omologhi kirghisi per il riconoscimento diplomatico della neonata repubblica del Kirghizistan. Sempre nel 1992, furono stabilite le relazioni diplomatiche tra Italia e Turkmenistan (9 giugno[8]) e Kazakhstan (21 agosto).
Una presenza importante, quella italiana, consolidata, come spesso avviene, anche dalla presenza dell’Eni. Il nostro Ente Nazionale Idrocarburi, è presente nell’area centroasiatica fin dal 1992 con le prime attività di esplorazione ed estrazione nei giacimenti di Karachaganak[9] nella parte occidentale del Kazakistan, e dal 2019 in accordo con il Ministero dell’Energia kazako, è iniziata l’esplorazione e la produzione di idrocarburi nel Blocco di Abay[10]. Allo stesso tempo dal 2008 l’Eni è presente anche in Turkmenistan nel giacimento a olio di Burun[11].
Roma punta a rafforzare la presenza italiana in Asia centrale, e lo fa attraverso incontri con i paesi della regione, è il caso della conferenza Italia – Asia centrale nel formato 1+5. La seconda conferenza si è svolta lo scorso dicembre a Tashkent, che ha consentito di dare continuità all’azione diplomatica, adottando un approccio regionale rispettoso delle specificità di ciascuno di essi. La conferenza di dicembre, che celebrava il 30° anniversario dei rapporti diplomatici tra l’Italia e i paesi centroasiatici, ha visto la partecipazione dei Ministri degli Esteri di Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan e la Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per l’Asia centrale, Ambasciatrice Hakala, mentre per l’Italia hanno partecipato ai lavori il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro; il Presidente di ICE-Agenzia Carlo Maria Ferro; l’Amministratore Delegato di SIMEST Mauro Alfonso, nonché alti funzionari di SACE, Confindustria e ovviamente il Ministro degli esteri Di Maio.
E’ chiaro che lo scoppio della guerra in Ucraina e la nuova forte tensione tra Russia e “Occidente”, rende quest’area strategicamente ancora più importante ed è il momento di “spingere” il piede sull’acceleratore e andare a ricoprire un ruolo, che è nelle corde di Roma, di cuscinetto tra le diverse posizioni. Il Kazakistan ad esempio è uno dei nostri obiettivi principali. Il Presidente Tokayev, dopo i disordini dello scorso gennaio e il referendum dello scorso giugno, sembra voler dare una svolta riformatrice al paese nonostante la delicatissima posizione geostrategica. Il Kazakistan condivide con la Russia 6.8oo km di confine e altri 1.500 con la Cina, ha una popolazione di 19 milioni di persone appartenenti a 142 etnie diverse. Insomma la stabilità non è per niente scontata e Tokayev deve fare molta attenzione ai tentativi, interni ma non solo, di indebolire la sua posizione. Sa che può superare questi rischi solo se dà seguito alle promesse di riformare il paese, innanzitutto dal punto di vista politico-istituzionale e tutelare la politica estera da sempre definita “multivettoriale”. L’UE rappresenta il principale investitore nel paese e Tokayev non vuole e non può correre il rischio di recedere i rapporti con l’Occidente per volere di Putin. La posizione è molto delicata, la divisione geopolitica tra Mosca e l’Occidente continua ad allargarsi, e gli spazi di manovra sembrano restringersi. La divisione di vedute tra Tokayev e Putin sono emerse durante il Forum economico internazionale di San Pietroburgo a giugno. In quell’occasione il presidente kazako era l’unico ospite di un certo rilievo e nel suo intervento ha spiegato la posizione del Kazakistan di favorire il principio dell’integrità territoriale rispetto a quello dell’autodeterminazione, nonché il non riconoscimento dei territori quasi statali di Donetsk e Lugansk. Ha osservato che la preferenza per l’autodeterminazione potrebbe portare all’emergere di centinaia di nuovi paesi, con conseguente caos, che potrebbe essere visto come un cortese invito per le élite russe a immaginare le conseguenze di un tale sviluppo per il loro paese multietnico[12], sottolineando il desiderio di attrarre nuovi investimenti[13]. Ed è qui che l’Italia può fare la sua parte, diventando un partner strategico capitalizzando i buoni rapporti tra i due paesi e l’ottimo lavoro dell’Ambasciatore Alberti. La strada per rafforzare la presenza italiana in Asia centrale è stata tracciata ma bisogna agire in fretta. Non è un caso che dal giugno del 2022 la compagnia aerea italiana Neos Air, ha operato il primo collegamento di una tappa che avrà frequenza bisettimanale sulla Milano Malpensa-Almaty e che da parte kazaka c’è la volontà di attribuire a Roma una certa importanza anche attraverso l’apertura ad Almaty del primo istituto di cultura italiano in Asia centrale.
Abbiamo solo bisogno di cavalieri capaci di guidare velocemente i cavalli fino a Samarcanda[14]…e in tutta l’Asia centrale.
Note
[1] https://www.opiniojuris.it/i-persian-arabesques-korostovetz/
[2] https://www.opiniojuris.it/grande-gioco/
[3] https://www.opiniojuris.it/ala-kachuu/
[4] La guerra civile in Tagikistan iniziò nel marzo del 1992 quando i gruppi etnici delle regioni del Garm e della Regione Autonoma di Gorno-Badachshan insorsero contro il presidente del Consiglio Supremo Emomalī Rahmon, che rappresentava le città di Chujand e Leninabad, ovverosia le regioni di Suǧd e Chatlon
[5] https://www.opiniojuris.it/proteste-in-uzbekistan-scosse-premonitrici-o-terremoto-politico/
[6] https://www.opiniojuris.it/le-proteste-del-gas-scuotono-il-kazakistan/
[7] https://www.opiniojuris.it/serdar-berdimuhamedov/
[8] https://ambashgabat.esteri.it/ambasciata_ashgabat/it/i_rapporti_bilaterali/
[9] https://www.eni.com/it-IT/eni-nel-mondo/eurasia/kazakhstan.html
[10] Il blocco di Abay è situato nella parte settentrionale kazaka del Mar Caspio, approssimativamente a 50 km dalla costa, in acque profonde meno di 10 metri. Si stima che il blocco abbia un potenziale significativo di risorse di idrocarburi. https://www.eni.com/it-IT/media/comunicati-stampa/2019/07/eni-ottiene-i-diritti-di-esplorazione-e-produzione-di-idrocarburi-nella-concessione-di-abay-kazakhstan.html
[11] https://www.eni.com/it-IT/eni-nel-mondo/eurasia/turkmenistan.html
[12] https://www.politico.eu/article/vladimir-putin-kassym-jomart-tokayev-kazakhstan-trapped-between-russia-and-the-west/
[13] https://www.gov.kz/memleket/entities/mfa/press/news/details/390248?lang=en
[14] Il riferimento alla canzone di Roberto Vecchioni “Samarcanda”.
Foto copertina: Sulla via di Samarcanda: la presenza italiana negli –Stan dell’Asia centrale