Come funziona il TPI, il nuovo scudo anti-spread della BCE


Flessibilità e discrezionalità caratterizzano il nuovo strumento rispetto alle OMT dell’epoca Draghi, costituendone la forza ma anche le possibili criticità. Il TPI interessa (e molto) soprattutto l’Italia, a causa del nostro debito pubblico record e in quanto primi beneficiari dei fondi europei destinati al recupero post-pandemico.


Contestualmente al rialzo dei tassi di interesse dello 0,50%, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha comunicato[1] il 21 luglio scorso l’approvazione di un nuovo strumento (Transmission Protection Instrument) destinato ad evitare divergenze eccessive nei tassi di interesse delle obbligazioni emesse dai vari Stati membri della zona euro. È il c.d. scudo anti-spread.
Non è casuale che rialzo dei tassi e scudo anti-spread viaggino in simultanea: il secondo infatti è tanto più necessario nel momento in cui la BCE si trova a dover cercare di contrastare l’inflazione agendo sui primi. Il legame deriva dal fatto che se agli interventi di Francoforte sul costo del denaro seguisse un aumento differenziale non motivato nei tassi sui titoli emessi da Stati diversi (ad esempio se il tasso sui titoli tedeschi dovesse salire di un punto percentuale mentre quello sui titoli italiani di due), ciò si tradurrebbe in una trasmissione non corretta della politica monetaria della BCE, creando asimmetrie tra le situazioni economiche dei Paesi che adottano la moneta comune. Differenze eccessive negli spread (appunto, differenziali) potrebbero essere causate non soltanto da fattori oggettivi (criticità economiche reali) ma anche da tentativi di speculazione degli operatori di mercato, che hanno spesso scommesso nel passato sull’economia più debole degli Stati maggiormente indebitati per destabilizzare l’euro e trarne vantaggi finanziari.

Al fine dunque di permettere una trasmissione omogenea della propria politica monetaria, la BCE e le banche centrali nazionali dell’area euro potranno procedere all’acquisto sul mercato secondario (non possono per statuto agire sul mercato primario, ossia acquistando direttamente all’emissione) di titoli del debito pubblico di Stati eventualmente sotto attacco speculativo, fino alla sterilizzazione degli spread ritenuti eccessivi.

Come sappiamo, uno strumento anti-spread esisteva già nella forma delle Outright Monetary Transactions (OMT) ideate da Draghi dopo il suo arcinoto discorso del “Whatever it takes”[2]. Strumento mai utilizzato, in quanto il solo annuncio della sua esistenza (e della sua illimitatezza) è stato sufficiente ad evitare le più ardite tentazioni speculative. L’eventuale attivazione delle OMT tuttavia era ancorata a rigidi programmi di aggiustamento macroeconomico sotto l’egida del MES[3]: all’epoca infatti le OMT erano state concepite per far fronte a determinate condizioni di estrema difficoltà economica dello Stato sotto attacco speculativo, tali da giustificarne la “messa sotto tutela” della politica economica interna.

Sono cambiati sia i tempi, non più favorevoli tanto a livello politico che di sensibilità dell’opinione pubblica ai commissariamenti in stile Grecia (l’acronimo MES è ormai impronunciabile a prescindere, pena la morte politica del pronunciante), sia le circostanze, che necessitano di azioni rapide e flessibili in un contesto economico e finanziario estremamente volatile.

Ecco allora spiegato il diverso approccio studiato per il TPI: ci sono ovviamente delle condizioni per l’attivazione, ma queste non rappresentano un indice di dissesto finanziario, piuttosto corrispondono a impegni generali che ogni Paese deve sostanzialmente già rispettare, ossia:

  1. Rispetto del quadro di bilancio dell’Ue, quindi non essere oggetto di una procedura per deficit eccessivo o in una situazione di violazione di raccomandazioni del Consiglio in materia;
  2. Assenza di gravi squilibri macroeconomici, ossia non essere soggetti a procedura per squilibri eccessivi o inadempienti a raccomandazioni del Consiglio in materia di indirizzi economici di massima;
  3. Sostenibilità di bilancio, nel senso di sostenibilità della traiettoria del debito pubblico;
  4. Politiche macroeconomiche sane e sostenibili, con particolare riferimento al rispetto degli impegni presi con i Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) e delle raccomandazioni semestrali specifiche della Commissione.

Si tratta evidentemente di accertare che il Paese sia “vittima innocente” della speculazione e che non abbia messo a rischio la propria tenuta economica con politiche fiscali insostenibili.
Inoltre, dettaglio non trascurabile, non vi sono meccanismi automatici di valutazione dei criteri sopradetti, ma sarà il Consiglio direttivo della BCE a decidere di volta in volta discrezionalmente, dopo aver valutato tutti gli elementi.

Il TPI sembra dunque essere uno strumento leggero e potenzialmente efficace.

Flessibilità e discrezionalità appaiono largamente agibili, da parte del Consiglio della BCE, ma naturalmente pur sempre nell’ambito del perimetro delle regole europee di bilancio. Da un lato dunque abbiamo l’assenza di criteri troppo rigidi e procedure macchinose, e qui sembra essere la forza del nuovo strumento. Dall’altro, per converso, almeno due possibili debolezze del TPI possono essere individuate. Innanzitutto, nel momento in cui il Patto di stabilità, oggi sospeso, verrà riattivato (con modifiche o meno) la disciplina fiscale che ne deriva dovrà essere rispettata. Violarla precluderebbe lo scudo del TPI. Inoltre, il rischio dell’ampia discrezionalità lasciata a Francoforte potrebbe essere rappresentato dalla possibile “politicizzazione” delle decisioni, nel senso che in mancanza di rigide pre-condizioni ogni valutazione del Consiglio BCE potrebbe essere oggetto di critiche politiche, sia che si “aiutino” gli Stati in difficoltà sia che non lo si faccia: l’elefante nella stanza è quello della riproposizione dello stereotipa contrapposizione frugali-spendaccioni e delle conseguenti spaccature politiche.
Non è un caso che durante la conferenza stampa del 21 luglio le prime domande dei giornalisti a Christine Lagarde abbiano riguardato l’Italia: la domanda (o il dubbio) è in sostanza se il TPI sarà forte abbastanza da sostenere il rischio Italia (Paese dal debito pubblico record e primo beneficiario dei fondi del recovery post-pandemico) e capire se la BCE è disposta (e ha gli strumenti) per evitare un affondamento del debito italiano. La risposta non poteva che essere neutralmente positiva, ovvero la Presidente della BCE non ha citato cita direttamente l’Italia ma si è riferita genericamente a tutti i paesi dell’Eurozona. Ma non vi è dubbio che la fiducia nella stabilità e serietà di bilancio di qualunque paese è un elemento fondamentale per metterlo al riparo da manovre finanziarie speculative, al contrario di quanto avviene nel momento in cui si diffonde la convinzione di possibili politiche fiscali lassiste (leggi sforamenti di bilancio e incremento di debito pubblico).


Note

[1] BCE, Comunicato stampa, Decisioni di politica monetaria, 21 luglio 2022.
[2] Discorso del Presidente della BCE Mario Draghi, Global Investment Conference, Londra, 26 luglio 2012.
[3] Meccanismo europeo di stabilità (https://www.esm.europa.eu/).


Foto copertina: Christine Lagarde Presidente della Banca centrale europea