Tangentopoli, trent’anni dopo


Il 17 febbraio 1992, con l’arresto di Mario Chiesa, prendeva avvio l’inchiesta destinata a cambiare profondamente l’Italia, nel bene e nel male.


A cura di Andrea Montesperelli e Raimondo Fabbri

Il contesto storico in cui maturò l’inchiesta Mani Pulite

Prima, Seconda o Terza Repubblica? Quello che oggi appare oramai certo è che la Prima Repubblica, nata a partire dall’entrata in vigore della nostra Costituzione nel 1948, si è conclusa con uno degli eventi che più ha segnato la storia politica del Paese: l’inchiesta di Tangentopoli. Nonostante sia d’uso comune fissare la fine della prima fase repubblicana italiana nel 1994, le vicende di Mani Pulite, fin dal 1992, hanno contrassegnato una vera e propria svolta nel sistema politico italiano, ponendo fine ad una fase storica che aveva al centro la presenza di numerosi partiti politici che avevano governato a lungo il Paese. La Democrazia Cristiana, partito d’ispirazione cattolico moderata, il Partito Socialista e il Partito Comunista a lungo al centro della scena, avevano influenzato con il loro largo bacino di voti il sistema politico dell’epoca. Pur a fasi alterne e con numerose alleanze, tali partiti rimasero i punti cardine della Prima Repubblica fino al 1992. Quando il pool di magistrati di Milano, composto principalmente da Antonio Di Pietro, Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo e Piercamillo D’Avigo, iniziarono ad indagare su un allora presunto sistema di tangenti, non erano ancora pienamente consapevoli del complesso apparato corruttivo che si era consolidato. A spiegare il nucleo dell’inchiesta, che ha segnato un’epoca, è lo stesso Gherardo Colombo: «La regola formale secondo la quale gli appalti di opere pubbliche sono assegnati a chi offre la miglior prestazione al minor prezzo, era stata occultamente sostituita, nella pratica e senza che l’apparenza mutasse, dalla regola sotterranea che prevedeva l’assegnazione del contratto alle imprese che avevano corrotto funzionari pubblici ed esponenti politici versando loro somme di denaro allo scopo di aggiudicarsi l’appalto»[1]. Da notare come in generale il fenomeno corruttivo sia molto complicato da poter rilevare, poiché si basa sulla complicità tra il corruttore e il corrotto, senza che, in molti casi, nessun altro terzo soggetto intervenga. Tuttavia, questo problema fu abilmente risolto proprio da Antonio Di Pietro che nel febbraio del 1992, in accordo con l’imprenditore monzese Luca Magni, riuscì a cogliere in flagranza Mario Chiesa, allora presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, nel momento in cui faceva propria una cospicua tangente. Da lì a poco, anche grazie alle confessioni di numerosi imprenditori e politici nazionali, emerse il sistema che si era instaurato in alcuni vertici politici e industriali, definito dallo stesso Colombo come «la regola vigente».

L’inchiesta a trent’anni di distanza

Ad una prima sommaria lettura, l’arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio, una struttura comunale di servizi per gli anziani soprannominato dai milanesi “Baggina”, appariva un caso locale di corruzione destinato ad esaurirsi nel volgere di breve tempo. Quello che invece prese corpo fu l’inchiesta destinata a cambiare nel bene e nel male il sistema politico italiano che si era costruito in cinquant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il «mariuolo» Mario Chiesa, come venne sprezzantemente definito da Bettino Craxi, rappresentava solamente uno degli anelli, forse il meno importante, su ci si reggeva l’antico legame fra mondo economico e politica dal dopoguerra, ovvero quello che si fondava essenzialmente sul finanziamento irregolare di quest’ultima. Il mondo imprenditoriale italiano, le grandi aziende che vennero coinvolte nell’inchiesta del pool di Milano, ebbe un ruolo fondamentale nello snodo delle vicende giudiziarie che nel giro di due anni portarono allo sconvolgimento del sistema politico italiano, con la scomparsa di cinque partiti che avevano garantito continuità di governo per decenni. Se il sistema del finanziamento illecito dei partiti si era potuto consolidare, ciò avvenne anche per una generale tendenza del capitalismo italiano ad accettare tali regole. Non a caso un protagonista della vita economica e politica italiana come Guido Carli, già negli anni Settanta, aveva sferzato gli imprenditori italiani dicendo che non questi ultimi non avevano «mai considerato lo Stato come un’organizzazione sociale di cui essi fossero direttamente responsabili, sia pure assieme agli altri gruppi sociali che compongono la comunità»[2]. Non è possibile poi non ricordare come l’inchiesta denominata Tangentopoli, ebbe sin da subito il supporto e finanche il contributo non indifferente da parte dei media, quotidiani e tv che oltre ad informare sugli arresti e a fornire i dettagli di confessioni e di indagini, nei fatti contribuirono alla creazione del mito introno al pool di Miano e che contagiò un’opinione pubblica come quella italiana, che seppur cosciente di cosa fosse la c.d. partitocrazia italiana, aderì entusiasticamente alle manifestazioni di aperto sostegno all’azione giudiziaria, degenerata tuttavia negli atteggiamenti scalmanati e tendenti al linciaggio, rappresentati plasticamente dal famigerato lancio delle monetine nei confronti di Bettino Craxi fuori dall’Hotel Raphael nell’aprile del 1993. Indubbiamente i partiti in nome di una moralità discutibile, per la quale era legittimo e necessario finanziare la politica, accettavano che tale pratica avvenisse anche attraverso canali irregolari. Ciò appare il punto cruciale ed irrisolto, a cui il Parlamento o per meglio dire i partiti non è riuscito a trovare una soluzione che permettesse di superare in maniera definitiva quel vulnus, non attraverso strumenti limitati come l’amnistia cui, è bene ricordare, si fece ricorso nel 1989 inserendovi anche il reato di finanziamento illecito ai partiti. Per quanto riguarda il sistema corruttivo che aveva preso forma in decenni di storia repubblicana, è altrettanto opportuno sottolineare, venne colpito solamente in quegli anni fatidici (‘92-’93). Il clima di terrore, l’uso disinvolto della carcerazione preventiva finalizzata ad estorcere ammissioni di colpa, le delazioni, non possono essere giustificate sull’altare della ricerca della verità e della giustizia visto anche l’elevato numero di suicidi seguiti agli avvisi di garanzia, che nella retorica dell’epoca (ed ancora oggi per la verità) equivaleva ad una sentenza di condanna. Quel modus operandi a trent’anni di distanza lascia ancora alcune perplessità negli osservatori disincantati, per la minuzia chirurgica con la quale alcuni leader di partito vennero perseguiti e screditati, anche con il supporto di quei media divenuti il megafono della Procura di Milano, mentre altri invece uscirono pressoché indenni dai colpi di clava vibrati al grido del «non poteva non sapere».

Alcune considerazioni sulle conseguenze di Mani pulite

Numerosi economisti hanno provato a quantificare il danno economico che il sistema di tangenti, così ampiamente diffuso, aveva provocato al Paese. Secondo l’economista Mario Deaglio, in una stima svolta proprio in quegli anni, l’intero sistema valeva circa 10 mila miliardi di lire all’anno, con un peso sulle casse dello Stato tra i 150 e 250 mila miliardi[3]. Non proprio spiccioli. Il rapporto debito-PIL salì vertiginosamente negli anni Ottanta ben oltre il 90%, costringendo il governo Amato alla fine del 1992 ad una legge finanziaria di ingenti proporzioni, volta a recuperare tramite nuove tasse, quanto il sistema Tangentopoli aveva sottratto al Paese[4]. L’elevato debito pubblico che ancora oggi l’Italia registra è frutto di diversi fattori e scelte politiche, ma il sistema corruttivo che aveva preso piede in quegli anni, contribuì notevolmente alla crescita del deficit. A trent’anni di distanza, possiamo e dobbiamo chiederci cosa sia rimasto di tutto questo. Davvero il nostro paese è in grado di imparare dai propri errori? A giudicare dalle numerose vicende di corruzione succedutesi negli anni seguenti potremmo dare una risposta negativa, come suggerito da alcuni dei protagonisti dell’epoca[5]. Tuttavia, Tangentopoli ha anche dimostrato la presenza di uno Stato, nel senso migliore del termine, in grado di porre fine ad uno dei sistemi corruttivi più estesi del momento, tentando di rigenerarsi e ripartire con una nuova fase storica, la Seconda Repubblica. I pregi e i difetti di quest’ultima di certo non sono mancati, posto che sia ancora da chiarire se possiamo davvero dir concluso tale periodo storico e avviarci verso una terza fase repubblicana. Di quella stagione così complessa ed opaca, una chiave di lettura per provare a comprendere cosa abbia rappresentato per il nostro paese ce l’ha fornita sempre Guido Carli, che identificava Mani Pulite come «un completamento inconsapevole del Trattato di Maastricht»[6]. Il vincolo esterno derivante dall’accettazione dell’unione monetaria oltre ad agganciare l’Italia al treno dell’Europa, portava inevitabilmente ad una crisi del sistema politico, anche e soprattutto per quanto riguardava il finanziamento della politica, oramai divenuto insostenibile per aziende ed imprese. L’errore compiuto dal ceto politico dell’epoca fu probabilmente quello di non accorgersi delle svolte epocali, che stava in verità investendo anche da alcuni anni la società italiana, lasciando alla magistratura, oramai meno accondiscendente con il potere partitico, il compito di destrutturare il sistema che aveva guidato l’Italia repubblicana dai suoi albori. Il 1992 ha segnato l’epilogo indecoroso tanto della Repubblica dei partiti, per utilizzare la categoria interpretativa di Pietro Scoppola ma anche, ed in maniera più determinante, della Repubblica della Guerra Fredda. In quel crocevia storico, il meccanismo irregolare di finanziamento ai partiti non poteva più essere tollerato e sarebbe stato opportuno che i protagonisti apportassero degli aggiustamenti, stabilendo i criteri con cui poter contribuire economicamente all’attività politica in maniera legittima e trasparente. Dopo trent’anni possiamo però concordare su di un punto, ovvero che alla Prima repubblica, di cui Tangentopoli fu il tragico epilogo, non è succeduta una nuova stagione di trasformazione e di rinascita del paese, quanto invece l’insorgere della «democrazia dell’opinione pubblica mediale»[7] e la manifesta frattura, peraltro mai sanata, fra società e politica. Nei partiti ridotti a comitati elettorali, il venir meno delle articolazioni territoriali e degli organismi collegiali «ha fatto sì che ogni sindaco, presidente di regione, consigliere comunale o regionale diventasse un partito a sé, spinto da prevalenti interessi personali»[8]. Oltre a questi effetti, la decapitazione delle élite eredi del miracolo economico e politico del dopoguerra unita al cortocircuito tra magistratura e politica, abbiamo assistito alla trasformazione psicologica nei cittadini, «perché gli italiani hanno individuato nella politica il nemico, il capro espiatorio, una professione deprecabile da sottoporre ad una reiterata palingenesi»[9].


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Note

[1] COLOMBO G.., Sulle regole, Feltrinelli, Milano 2008, p.127
[2] CARLI G., Intervista sul capitalismo italiano, (a cura di) SCALFARI E., Laterza, Roma-Bari 1977, p.71
[3] TRAVAGLIO M., Promemoria, Corvino Medea Editore 2009, p.25
[4] TRAVAGLIO M., op. cit., p.27
[5] UCCELLO S., Che cosa è rimasto di Tangentopoli?, Il Sole 24 Ore, 16/02/2017
[6] CARLI G., Cinquant’anni di vita italiana, (in collaborazione con) PELUFFO P.., Laterza, Roma-Bari 1993, p.437
[7] CARBONI C., L’implosione delle élite, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2015, p.74
[8] CIRINO POMICINO P., La repubblica delle giovani marmotte, Utet, Torino 2015, p.42
[9] CASTELLANI L., Chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica italiana?, su Le Grand Continent, 20/01/2022, url: https://legrandcontinent.eu/it/2022/01/20/chi-sara-il-prossimo-presidente-della-repubblica-italiana/


BIBLIOGRAFIA SU TANGENTOPOLI

TRAVAGLIO M., GOMEZ P., BARBACETTO G., Mani pulite. La vera storia, Chiarelettere, 2014
ALTISSIMO R., L’inganno di Tangentopoli. Dialogo sull’Italia a vent’anni da Mani pulite, Marsilio, 2014
MAIOLO T., Tangentopoli, Rubbettino 2011
FELTRI M., Novantatré. L’anno del terrore di Mani pulite, Marsilio, 2016
BUCCINI G., Il tempo delle Mani pulite, Laterza, 2021
DAVIGO P., L’occasione mancata. Mani pulite trent’anni dopo, Laterza, 2021
DAMILANO M., Eutanasia di un potere, Laterza, 2012
BENEDETTO G., L’eutanasia della democrazia, Rubbettino, 2021
COLAJANNI N., Mani pulite? Giustizia e politica in Italia, Arnoldo Mondadori, 1996
NASCIMBENI E., PAMPARANA A., Le mani pulite. L’inchiesta di Milano sulle tangenti, Arnoldo Mondadori, 1994
COLOMBO G., Sulle regole, Feltrinelli, 2008
CONSANI M., Tangentopoli per chi non c’era, Nutrimenti, 2021
TRAVAGLIO M., Promemoria, Corvino Meda Editore, 2009


Foto copertina: Il Pool di Mani Pulite Gherado Colombo, Antonio di Pietro e Piercamillo Davigo