Terrorismo in Norvegia: il caso Anders Breivik


Breivik, il giovane attentatore definito “the lone wolf”, fu condannato ad un pena di 21 anni, ma nel corso della sua detenzione lamentò la violazione degli articoli 3 ed 8 CEDU, in quanto, a causa dell’isolamento prolungato aveva riscontrato effetti negativi sulla sua salute psicologica. Nel 2017  Breivik decise di ricorrere alla Corte EDU, considerando le violazioni subite trattamento inumano e dunque contrarie al dettato dell’articolo 3 CEDU.


A cura di Fabiana Esposito

Terrorismo in Norvegia: i fatti

Il 22 luglio 2011 ebbero luogo due tra i più atroci massacri di tutta la storia norvegese che furono pianificati e messi in atto da un solo unico attentatore: Anders Behring Breivik[1]. I due differenti attacchi terroristici –uno nel quartiere governativo della città di Oslo, e l’altro al campus estivo della Lega dei giovani lavoratori norvegesi[2] sull’isola di Utøya – causarono la morte di 77 persone e il ferimento di altrettante centinaia. Questa giornata rimase impressa nella memoria della Norvegia e del mondo intero.
Il primo attentato avvenne al quartiere governativo Regjeringskvartalet, in cui l’attentatore fece esplodere una auto-bomba imbottita di esplosivi artigianali[3] causando la morte di 8 persone e il ferimento di oltre 200. Mentre il centro di Oslo era blindato per timore di un secondo eventuale attacco,  Breivik si diresse verso l’isola di Utøya, distante circa un’ora e mezza, dove si teneva annualmente il campo estivo dell’organizzazione giovanile del partito laburista. Qui, data la conformazione morfologica della stessa isola raggiungibile solo per mezzo di un traghetto, l’attentatore si presentò travestito da agente di polizia, e con la scusa di dover controllare la situazione alla luce dei recenti fatti avvenuti ad Oslo[4], si imbarcò, armato, e raggiunse facilmente il campo. Ad Utøya erano presenti 564 ragazzi di età compresa fra i 14 ed i 23 anni. Breivik immediatamente sbarcato aprì il fuoco verso di loro con armi semi automatiche, uccidendo in totale 69 tra adulti e ragazzi – di cui il più giovane di soli 14 anni. Fu lo stesso Breivik ad avvertire le forze di polizia e a consegnarsi volontariamente rivendicando entrambi gli attacchi terroristici. Durante il suo primo interrogatorio confessò che lo scopo degli attacchi era quello di salvare e liberare la Norvegia dal c.d. “Muslim takeover[5], dal multiculturalismo e dall’islamificazione, e di voler cominciare una “fascist, ethno-nationalist revolution in Europe[6]. Temi, questi, ampiamente trattati in interi passi del suo “Manifesto” dal titolo 2083: A European Declaration of  Independence, scritto sotto lo pseudonimo di Andrew Berwick.[7]  In questo scritto si rintracciano le descrizioni dei preparativi per gli attacchi terroristici del 22 luglio[8]. Per stabilire il corso degli eventi venne istituita una commissione ad hoc, che prese il nome di Commissione del 22 luglio[9], che dopo un processo durato complessivamente 10 settimane dinanzi alla Corte distrettuale di Oslo riconobbe Breivik colpevole di omicidio premeditato di massa, incendio doloso e  atti di terrorismo, ai sensi degli articoli 147- a, co. 1, lett. a e b, 148 co. 1 e 233 co. 1 e 2  del Codice Penale norvegese. L’attentatore fu condannato ad una pena di 21 anni, il massimo addebitabile in Norvegia per questo tipo di reato,  con una forma di detenzione speciale definita forvaring – una misura detentiva preventiva e custodiale[10] che può essere prorogata indefinitamente con incrementi di cinque anni.
La Corte cittadina addusse ulteriori motivi per la condanna, tra cui il rischio imminente che il soggetto potesse commettere nuovi omicidi e una nuova serie di atti di violenza, riferendosi al fatto che l’imputato credesse che gli attentati agli edifici governativi e quelli sull’isola di Utøya fossero atti legittimi in quanto necessari per raggiungere ed ottenere gli scopi politici prefissati.[11]
Durante il processo, non mancarono però contrasti all’interno della stessa Corte, che prima di pronunciarsi nel merito e decidere sia la forma di detenzione che la responsabilità penale ordinò delle perizie psichiatriche sul presunto attentatore. Perizie che diedero esisti contrastanti.
La prima, disposta prima che iniziasse il processo, stabilì che Breivik soffrisse di schizofrenia paranoide[12] che avesse sviluppato il disturbo negli anni e che per questo era da considerarsi psicotico sia in termini legali che medici: pertanto, si riteneva non potesse essere riconosciuto penalmente responsabile e che dovesse piuttosto essere sottoposto ad un trattamento psichiatrico presso una struttura ospedaliera idonea.[13]
La seconda invece fu disposta dai giudici Corte distrettuale, la quale affidò l’incarico agli stessi due psichiatri della precedente che dichiararono che il soggetto non soffrisse di disturbi psicotici ma di disturbi della personalità (antisociali) e di disturbo narcisistico[14]. Pertanto, secondo questa perizia il terrorista sarebbe risultato idoneo alla detenzione in carcere. Dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che l’imputato non era psicotico al momento dei crimini, l’imputato venne quindi considerato all’unanimità penalmente responsabile e incarcerabile[15].

Il processo civile contro lo Stato norvegese: presunta violazione dell’articolo 3 CEDU

Nel 2015, rappresentato dall’avvocato Øystein Storrvik, Breivik intentò una causa contro il Ministero di Giustizia e di Pubblica Sicurezza, con l’accusa di aver violato i diritti umani del ricorrente e in particolare diretta alla declaratoria di violazione degli articoli 3 (divieto di tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti) e 8 CEDU  (diritto al rispetto della vita familiare e privata) durante il periodo di custodia nel carcere di Ila e di detenzione nel carcere di Telemark.
Il ricorrente affermò che a causa dell’isolamento prolungato e delle restrizioni nelle comunicazioni aveva riscontrato effetti indesiderati sulla sua salute psicologica, considerando questo quale trattamento inumano e dunque contrario all’articolo 3 CEDU. Si consideri infatti che l’intera sua esistenza in carcere è stata trascorsa per 22/23 ore in una delle tre sue celle, avendo a diposizione una sola ora per poter usufruire del cortile all’aperto. Inoltre Breivik lamentava di non avere avuto la possibilità di relazionarsi né con altri detenuti all’interno del carcere, né con soggetti diversi dal personale carcerario, sanitario o il suo avvocato, eccetto che tramite le missive (solo dopo aver superato il vaglio del supervisore dell’istituto penitenziario) e le conversazioni telefoniche, una a settimana, di cui ciascuna della durata massima di 20 minuti, o in occasione delle visite e dei colloqui con visitatori esterni e sua madre[16] che erano comunque sempre tutte condotte attraverso un vetro divisorio.
Tutti questi elementi, secondo il ricorrente, violavano l’articolo 8 CEDU, in quanto i controlli effettuati erano stati pressoché totali e gli avevano precluso la possibilità di instaurare qualsiasi tipo di relazione anche solo epistolare con persone all’esterno della prigione. D’altro canto, la posizione del governo norvegese era ferma sull’affermare che avesse rispettato i diritti fondamentali del detenuto, inclusi quelli da lui contestati, e che fosse stato trattato in maniera umana e dignitosa, ed inoltre che le misure adottate fossero state conformi alla giurisprudenza della Corte EDU. In riferimento ed in supporto di questa tesi,  la Corte si rifà a due sentenze, sia quella emessa sul caso Khlaifia e altri c. Italia[17], che quella del caso Ramirez Sanchez[18], ed in entrambi i casi è stato sottolineato che perché possa esserci una violazione, e perché l’isolamento possa rappresentare un trattamento in violazione dell’articolo 3, è necessario che l’atto dimostri quantomeno “a certain minimum of severity”, che a sua volta dipende da una serie di criteri generali variabili, oggettivi e soggettivi,  quali ad esempio la durata del trattamento, la rigidità della misura, l’età, il sesso, gli effetti fisici e psicologici sulla persona, il contesto ecc. In merito a questo caso (Ramirez Sanchez) la Corte ha considerato che considerate le condizioni fisiche del ricorrente, il suo carattere ed il pericolo che pone, la Corte non ha ritenuto raggiunto il livello minimo di gravità necessario per costituire un trattamento inumano prescritto dall’articolo 3.[19]
Al quadro finora delineato si deve aggiungere anche lo scopo sotteso all’atto, in cui forte indicazione che ci sia stata una violazione riconducibile all’articolo 3 è l’intento di umiliare e svilire l’individuo, ed in questo caso secondo lo Stato norvegese il solo fattore dell’isolamento non era di per sé in grado di determinare la violazione dell’articolo 3 e dunque qualificare i trattamenti a cui è stato sottoposto inumani o degradanti. 
Lo Stato Norvegese  ha poi specificato enunciando le proprie ragioni, che per poter valutare sussistente la violazione è necessario tenere in considerazione le complessive condizioni detentive nel corso del tempo, e che gli elementi rilevanti per tale valutazione includono “la durata, l’impatto psicofisico sul detenuto, le condizioni della camera detentiva l’adeguamento del regime nel corso del tempo, le misure compensative e le finalità avute di mira dall’amministrazione penitenziaria”; ed ancora sottolineava come nel corso della sua detenzione, sia nella prigione di Ila che in quella di Telemark, le condizioni fisiche generali fossero buone in entrambi i casi, e che avesse avuto accesso a tre diverse celle nell’unità di massima sicurezza, ad uso esclusivo, in cui erano presenti computer (senza accesso ad internet), consolle di gioco, ed un televisore per potersi svagare, oltre che strumenti per l’esercizio fisico, e fosse infine iscritto ad un corso di studi universitario.[20]
A seguito dell’esposizione delle ragioni di entrambe le parti, valutate le rispettive posizioni sulla questione, la Corte distrettuale di Oslo si riunì ed emise il proprio verdetto[21] il 20 aprile 2016 stabilendo che Breivik fosse stato sottoposto ad un trattamento inumano e degradante in violazione dell’articolo 3 CEDU.
Nonostante la giurisprudenza della Corte EDU riconosca che l’isolamento dei detenuti per ragioni di sicurezza non costituisca di per sé un trattamento inumano o degradante, questa si espresse a favore della avvenuta violazione dell’articolo 3[22] della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, considerando de facto quei trattamenti a cui fu sottoposto inumani e degradanti, e richiamando per l’occasione l’articolo 93 co.2 della Costituzione Norvegese, che stabilisce che “Ogni essere umano ha diritto alla vita.
Nessuno può essere condannato a morte. Nessun individuo può essere sottoposto a tortura o ad altri trattamenti inumani o degradanti”. La Corte ha poi fatto nuovamente riferimento al caso Sanchez c. Francia in tema di superamento di una certa soglia di gravità che il divieto dell’articolo 3 è un valore fondamentale delle società democratiche, che non ammette eccezioni o deroghe, anche qualora si tratti di terroristi ed omicidi; a riguardo è opportuno citare la posizione della Corte EDU nel caso Gäfgen c. Germania, in cui si sottolinea la necessità di assicurare il rispetto delle disposizioni sostanziali della Convenzione, ed in particolar modo dell’articolo 3, a prescindere dal comportamento della persona coinvolta e anche nel caso di eventi di pericolo pubblico che minaccino la vita della nazione.[24]
Per cui la Corte, sulla base anche di quanto emerge dagli standard fissati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura nel 2015 sugli effetti dannosi dell’isolamento [25], ritiene che si possa ricorrere a queste modalità solo in casi eccezionali, in ragione di estrema necessità e per il più breve tempo possibile. Inoltre, nel giugno 2015 dal “Parliamentary Ombudsman Norway”, organismo nazionale per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani con lo specifico mandato di effettuare visite regolari presso centri di detenzione, fu condotta un’indagine nella prigione di Telmark, la stessa dove era detenuto il ricorrente, che nel suo report finale afferma, riferendosi ai detenuti della sezione SHS[26]: “From the point of view of prevention, the risk of isolation having harmful effects as a result of limited human contact is very much in focus.”[27]; aggiungendo  “Dangerous offenders, like all offenders, should be treated with respect for their human rights and fundamental freedoms, and with due regard for their particular and individual needs while at the same time protecting society effectively from them”; ciò detto si somma a quanto già sottolineato anche dal CPT in relazione ai potenziali effetti dannosi sulla salute dei prigionieri ovvero che l’isolamento può avere “an extremely damaging effect on the mental and social health” [28]   e che gli effetti dannosi possono essere immediati ed incrementare quanto più la misura duri.
Il governo norvegese è stato dichiarato colpevole di aver sottoposto il ricorrente Breivik ad un trattamento inumano e degradante, così come interpretato dalla Corte EDU, a causa della durata eccessiva del suo periodo di isolamento che, si legge, “has been detrimental to his mental health.[29]

Con riguardo poi alla violazione dell’articolo 8 la Corte ritiene che “Vista la minaccia rappresentata dal terrorismo in tutte le sue forme, le garanzie afferenti al monitoraggio della corrispondenza nel caso di specie e il margine di discrezionalità lasciato allo Stato, la Corte ritiene che l’ingerenza in questione non è stata sproporzionata rispetto agli scopi legittimi perseguiti”[30]

Secondo grado di giudizio: Appello alla Corte di Borgarting

La decisione della Corte sollevò numerose critiche soprattutto da parte delle vittime, dell’opinione pubblica e del governo norvegese, il quale tramite il procuratore generale presentò un ricorso in appello contro il verdetto. Secondo il governo il trattamento riservato all’attentatore era giustificato dalla gravità dei crimini commessi, che non avevano alcun tipo di  precedente nella storia della Norvegia. 
L’1 Marzo 2017 si ebbe il verdetto del giudizio di Appello, in cui la Corte sovvertiva l’esito del precedente giudizio della Corte Distrettuale, di fatto affermando che non vi era stata alcuna violazione né dell’articolo 8 nè dell’articolo 3 CEDU, anzi che “the threshold according to Article 3 of the ECHR was nevertheless not exceeded[31], riferendosi ad un errore di interpretazione delle espressioni inumani e degradanti da parte della Corte distrettuale di Oslo in quanto non raggiunta la soglia minima di gravità richiesta. 
Per di più si può notare come la Corte d’Appello giustifichi le azioni adottate dallo Stato valutandone il contesto (vi era sia un alta possibilità che il soggetto potesse subire violenze da parte dei compagni di cella[32], essendo a rischio la sua stessa vita, sia che questo compisse nuovi atti di violenza) e l’intenzione sottesa, ovvero che lo scopo era stato quello di creare “a sound and at the same time humane sentencing regime for the country’s most difficult and resource-demanding inmate”.[33] In supporto della suddetta tesi è inoltre citato il caso Sanchez c. Francia[34], nel quale è fornita una guida per definire che tipi di interventi sono coperti dalla previsione in oggetto e dunque per qualificare correttamente tali atti, nello specifico la Corte ha considerato questi ultimi quali trattamenti inumani in quanto premeditati, applicati continuativamente per ore e causa di severe ed intense sofferenze fisiche e mentali. Ha ritenuto il trattamento «degradante» perché tale da suscitare nelle vittime sentimenti di paura, angoscia e inferiorità capaci di umiliarle e avvilirle. Nel valutare se la punizione o il trattamento siano «degradanti» ai sensi dell’articolo 3, la Corte esaminerà se il suo scopo sia quello di umiliare e svilire la persona interessata e se, per quanto riguarda le conseguenze, abbia influito negativamente sulla sua personalità in modo incompatibile con l’articolo.[35]
Alla luce di queste premesse, la Corte d’Appello all’esito del giudizio ha assolto lo Stato dalla violazione dell’articolo 3 CEDU, sovvertendo il precedente giudizio della Corte distrettuale nel quale l’assassino di massa aveva ottenuto una sentenza favorevole , ed ha inoltre rigettato il ricorso nella parte relativa alla violazione dell’articolo 8 CEDU[36].

Il ricorso alla Corte Suprema Norvegese 

Subito dopo il verdetto, Anders Breivik decise di ricorrere, tramite il suo avvocato Øystein Storrvik, contro la sentenza di secondo grado,  questa volta dinanzi alla Corte Suprema della Norvegia.
Nella sentenza della Corte si può leggere che il ricorrente ha intentato una nuova azione legale lamentando che le condizioni della sua detenzione “had been, and still were, in violation of the prohibition of inhuman or degrading treatment, as established by Article 3 of the European Convention on Human Rights (ECHR), as well as of his right, pursuant to Article 8, to private life and correspondence”. Nell’ argomentare la questione, la Corte fa riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU, che ha stabilito dei criteri generali per determinare quando il confinamento infrange il dettato dell’articolo 3.
Innanzitutto la Corte Europea enfatizza che il potenziale dannoso dell’isolamento completo, che comporta la totale privazione sensoriale, unita all’isolamento sociale, è talmente grande da non poterlo mai giustificare[37].
E che in ogni caso anche lo stesso articolo 3 stabilisce dei limiti relativi all’isolamento , ad esempio nel caso Babar Ahmad e altri c. Regno Unito[38], l’isolamento è ritenuto una delle misure più invasive applicabili durante la detenzione in carcere ,  che come tale dovrebbe essere evitato il più possibile, in quanto in ogni caso si legge “all forms of solitary confinement without appropriate mental and physical stimulation are likely, in the long term, to have damaging effects”, in questa occasione la Corte chiarisce che sebbene andrebbe applicato solo come ultima extrema ratio perché possa determinare una violazione dei diritti umani bisogna valutarne la durata, gli effetti prodotti, lo scopo e la severità della misura64. Nonostante Breivik sia stato tenuto in “solitary confinement” per un periodo di circa 6 anni, in cui è stato tenuto lontano da tutti i prigionieri presenti, è stato comunque assicurata una minima interazione umana con il personale carcerario e sanitario, in ogni caso non è stato rinvenuto alcun effetto che abbia in qualche modo potuto danneggiare la sua salute psicofisica. Continua ad avere accesso a 3 celle diverse, ad una televisione, una doccia, una consolle per video games, un computer senza accesso ad internet, è iscritto e frequenta diversi corsi all’Università, e può infine usufruire di un’ora d’aria in cortile al giorno; tutti questi elementi sommati gli hanno permesso di far fronte più facilmente allo stringente regime detentivo e alla mancanza di interazioni giornaliere. 
L’8 giugno 2017 la Corte Suprema, all’unanimità, sulla base di quanto appena esaminato, afferma che il ricorso alla Corte Suprema non ha suffragato alcuna richiesta di nuove prove significative, né modifiche o sviluppi che possano incidere sulla valutazione della stessa e che nell’interesse del chiarimento del caso, non sia necessario che la Corte suprema esamini nuovamente le prove[39]; dunque manifestando chiaramente l’intenzione di non autorizzare l’udienza del ricorso,  in quanto è così affermato: “No part of Breivik’s appeal has the possibility of winning in front of the Supreme Court” aggiungendo “Neither does the case raise questions about the interpretation of the European Convention on Human Rights that have not already been clarified extensively by the European Court of Human Rights.”[40]
In conclusione la Corte Suprema non è entrata nel merito della questione sulla base del fatto che non ci fossero nuovi significativi elementi o eventuali cambiamenti e sviluppi che potrebbero modificare il giudizio. In supporto della stessa anche la Corte EDU, che afferma : “in the interest of clarifying the case, there was no need for the Supreme Court to review the evidence again.”[41]

L’ultimo tentativo di Breivik: ricorso alla Corte EDU 

Immediatamente dopo la lettura della sentenza, l’avvocato di Breivik, Øystein Storrvik, presente in aula, ha dichiarato alla stampa che si sarebbero appellati al giudizio dei giudici di Strasburgo sapendo che “it would be possible we would not be successful in the Norwegian justice system”.[42]
Alle dichiarazioni rilasciate alla stampa dell’avvocato fece effettivamente seguito l’appello alla Corte Europea dei diritti dell’uomo sostenendo ancora più fermamente l’inumanità delle sue condizioni detentive in Norvegia. Nonostante il sistema giudiziario norvegese avesse assolto lo Stato da qualsivoglia violazione della Convenzione, il ricorrente era fermo nel sostenere le sue ragioni incentrando ancora una volta il suo caso sulla questione dell’isolamento prolungato69. Sotto lo pseudonimo di Fjotolf Hansen, Anders Breivik presentò formalmente appello alla CEDU, la quale dopo un’analisi approfondita dei fatti ed una attenta ricapitolazione delle decisioni e delle motivazione delle Corti nazionali, dichiarò all’unanimità il ricorso inammissibile e manifestamente infondato. La decisone dei giudici di Strasburgo adottata è definitiva. [43]
Analizzando però la ricostruzione effettuata dalla Corte EDU del giudizio della Corte Suprema Norvegese  si può notare che nella sua sentenza aveva precisato che le condizioni generali del detenuto apparivano buone, stabili e non vi erano segni evidenti di danni causati dall’isolamento prolungato, e che l’imputato non era stato soggetto ad un isolamento “complete sensory” o  “total social” ma “partial and relative[44], ricordando per l’appunto che continuava ad avere accesso a tre celle diverse, oltre che ad una serie di altri strumenti elettronici, quali televisore, computer personale, film, videogiochi,  aveva a disposizione equipaggiamento sportivo, ed era iscritto all’università di scienze sociali politiche, dove frequentava corsi online e sosteneva esami.[45] 

In aggiunta l’Alta Corte aveva criticato le autorità dei servizi penitenziari sulla base del fatto che la possibilità di almeno un certo grado di interazione con altri detenuti avrebbe dovuto essere presa in maggiore considerazione e che le decisioni avrebbero dovuto includere una giustificazione più dettagliata, aggiungendo inoltre che alcune misure[46] invece avevano avuto un eccessivo grado di rigidità[47]. Queste criticità sarebbero potute essere concretamente rilevanti per poter valutare se le condizioni del detenuto erano inumane o degradanti, ma gli elementi materiali della detenzione, incluso il grado di isolamento , “were based on verifiable professional assessments, and they were implemented for the purpose of safeguarding critical security concerns as well as the applicant’s health and dignity”[48], difatti nonostante le stringenti misure di sicurezza a cui è stato sottoposto, la Corte concluse che il ricorrente non aveva sviluppato sintomi tipici causati dall’isolamento quali apatia, cambiamento del ritmo circadiano, ridotto funzionamento cognitivo o delusione, e che anzi la sue condizioni di salute generali erano rimaste invariate[49].
In conclusione la Corte EDU[50]  osservò che le misure complessivamente adottate furono proporzionate, necessarie e soprattutto giustificate “to ensure that the applicant’s physical and mental condition” [51], aventi non di meno lo specifico scopo di “safeguarding critical security concerns[52], affermando che sulla base del materiale a disposizione e fin qui esaminato non vi erano elementi per statuire diversamente dai tribunali interni, i quali avevano quindi correttamente interpretato il dettato  della Convenzione, e giudicato che non vi era stata nessuna violazione dei suoi diritti previsti dalla Convenzione, e nessun trattamento inumano o degradante si era verificato. 
Non tanto la conclusione riguardo l’articolo 8, quanto quella sull’articolo 3, hanno dato vita ad un grande dibattito, come può un terrorista che è stato riconosciuto colpevole di aver commesso atti così disumani, ottenere, a sua volta, una pronuncia di trattamento inumano?[53]  
Lo Stato ha un legittimo interesse nel proteggere la sicurezza nazionale e la sua popolazione dal terrorismo, ma questa necessità deve essere comunque bilanciata dai bisogni dell’imputato, il quale  gode del diritto assoluto, e non derogabile, di non essere sottoposto ad un trattamento inumano. “Herein lies the test, how can courts protect the human rights of terrorists without being influenced by the acts that they have committed?”[54] 
Ricordando gli obblighi positivi e negativi a carico di ogni Stato posti dalla CAT, la Norvegia era tenuta ad assicurare il rispetto del  divieto di tortura sia da parte di individui privati che organi statali, ad adottare misure concrete volte a prevenire tali violazioni e, nel caso dell’eventuale commissione, a perseguire i presunti autori adottando tutti i provvedimenti necessari per garantire sanzioni adeguate e commisurate all’atto. Nella sua valutazione la Corte EDU ha espressamente affermato che nonostante la difficoltà delle circostanze è fondamentale il rispetto in termini assoluti del divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, e soprattutto che sebbene alcune delle misure adottate erano in parte giustificate per motivi di sicurezza, disciplinari o protettivi, il solitary confinement non può essere imposto ad un prigioniero “indefinitely [55].


Note

[1] Esponente dell’estrema destra norvegese, si riferisce a se stesso come “a party secretary of the Nordic State” ed a “spokesperson for Norwegian national socialists, fascists and other ethno-nationalists”. Inoltre si considera  “Norway’s only political prisoner”. Si veda in merito la sent. della Corte Suprema della Norvegia , 08/06/2017, HR-2017-1127-U, n. 2017/778.
[2] The Norwegian Workers Youth League (AUF).
[3] L’auto, un VWQ Crafter Van con targa BR 99834, era imbottita di circa 950 chilogrammi di esplosivo artigianale composto da fertilizzante artificiale, alluminio e benzina. Al momento dell’esplosione, negli uffici vi erano almeno 250 persone mentre circa 75 persone erano nelle immediate vicinanze. Le vittime furono in totale 8.
[4] C. Hemmingby , T. Bjørgo, The Dynamics of a Terrorist Targeting Process: Anders B. Breivik and the 22 July Attacks in Norway, Palgrave Macmillan, 2016, 66.
[5] A. Syse, op.cit., 390.
[6] Sent. della Corte Suprema della Norvegia , 08/06/2017, n. HR-2017-1127-U, 2017/778, 1.
[7] C.H. Leonard., Annas, G.D., Knoll, J.L., IV and Tørrissen, T. ,op. cit. , 410.
[8] A. Syse, op. cit., 395.
[9] K. B. Sandvik, I. Ikdahl, K. Lohne, Law after July 22, 2011: Survivors, Memory and Reconstruction, in Prio Paper, 2022, 7.
[10] K. Larsen, The inhuman treatment of a terrorist: Reflections on the Norwegian Breivik case, in Osservatorio Costituzionale (AIC), fasc. 2, 13/06/2016, 1.
[11] ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, 2.
[12] A. Syse, op. cit., 399.
[13] Crf. Articolo 44 Codice Penale Norvegese.
[14] A. Syse, op. cit., 400.
[15] La prevalenza della protezione della società da questi tipi di soggetti è connesso al rischio che possano commettere medesimi crimini appena liberi, ed in questo caso , la percentuale che potessero ripetersi futuri atti di simile violenza era molto alta. Rif. alla sent. ECtHR, Fjotolf Hansen c. Nrovegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, 2.
[16] SI veda in merito la sent. della Corte Distrettuale di Oslo ,20/04/2016, n. 15-107496TVIOTIR/02.
[17] ECtHR Khlaifia e altri c. Italia, 15/12/2016, ricorso n. 16483/12, paras. 159-160; Lo stesso orientamento è stato espresso dalla Corte EDU anche nel caso Ramirez Sanchez, paras. 119-124.
[18] Il riferimento al caso Ramirez Sanchez è quello che mostra la maggior somiglianza col caso in oggetto, lo “Sciacallo”, così come viene definito, fu coinvolto in alcuni attacchi terroristici negli anni ’70, e nel 1994 venne arrestato, rimase in isolamento fino al 2002, per circa 8 anni, a differenza di Breivik il cui periodo di isolamento fu di 4 anni e 9 mesi.
[19] ECtHR Ramirez Sanchez c. Francia, 04/07/ 2006,ricorso n. 59450/00, para. 150.
[20] K. Larsen, op. cit., 5.
[21] Due delle più importanti testate giornalistiche della Norvegia assunsero posizioni contrastanti circa tale verdetto, alimentando il dibattito già molto acceso,  il VG  definisce la decisione come “sbagliata”, mentre il Dagbladet  la descrive come non solo “coraggiosa” ma anche “saggia”.
[22] Sent. n. 15107496TVIOTIR/02,20/04/2016,  23.
[23] Para. 119 della Sanchez c. Francia riportato nella sentenza n. 15107496TVIOTIR/02 del 20 aprile 2016.

[24] ECtHR, Gäfgen c. Germania, 01/06/2010, ricorso n. 22978/05, para. 63.
[25] Standards del CPT, estratto dal ventunesimo Repost Generale del CPT, Inf(2011)28-part2,Solitary confinement of prisoners, si legge quanto segue “The CPT understands the term “solitary confinement” as meaning whenever a prisoner is ordered to be held separately from other prisoners, for example, as a result of a court decision, as a disciplinary sanction imposed within the prison system, as a preventative administrative measure or for the protection of the prisoner concerned”.
[26] Unità di massima sicurezza.
[27] The Parliamentary Ombudsman Norway National Preventive Mechanism against Torture and Ill-Treatment, Visit Report – Telemark prison, Skien branch 2-4 June 2015, 3, para. 2.
[28] The CPT Standards, 29, para. 53.
[29] Così come affermato in udienza dal suo avvocato. Si legga in merito l’articolo Agence  France-Presse in Oslo, Anders Breivik not treated inhumanely, appeals court rules, in The Guardian, 1/03/2017.
[30] Sent. della Corte Distrettuale di Oslo ,20/04/2016, n. 15-107496TVI-OTIR/02, para.69.
[31] Si legga in merito la sent. della Corte d’Appello di Borgarting, 01/03/2017 ,n. LB-2016111749, 1.
[32] Si legga in merito il riferimento presente nella sent. della Corte d’Appello di Borgarting, 01/03/2017, LB-2016-111749, 17: “In the opinion of the Court of Appeal, the risk of violence and threats against A and unrest in the prison is still clearly present. There have been expressions of displeasure and threats against him”. 
[33] Sent. della Corte d’Appello di Borgarting, 01/03/2017, LB-2016-111749, 5.
[34] ECtHR Ramirez Sanchez c. Francia, 04/07/ 2006,ricorso n. 59450/00.
[35] Sent. LB-2016-111749,1/03/2017, 12, in riferimento a Sanchez c. Francia ,para. 118.
[36] Sent. della Corte d’Appello di Borgarting, 01/03/2017 ,n. LB-2016-111749, 34.
[37] Crf. ECtHR Ramirez Sanchez c. Francia, 04/07/ 2006,ricorso n. 59450/00, para. 123.
[38] ECtHR, Babar            Ahmad            e altri  c. Regno Unito, 10/04/2012, ricorso n. 24027/07, 11949/08, 36742/08, 66911/09, 67354/09, para. 207.
[39] Sent. Corte Suprema della Norvegia, HR-2017-1127-U,08/07/2017,n. 2017/778,  2.
[40] The Irish Times, “Norway supreme court turns down appeal by mass murderer Breivik”, 08/06/2017.
[41] ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, para. 125.
[42] Reuters, Norway Supreme Court turns down mass murderer Breivik’s appeal, 08/06/2017. 69 Rif. The Local Norway, “Mass killer Breivik appeal ruling due at European rights court”, 19/06/2018.
[43] ECHR Press Release, 21/06/2018, n.227.
[44] Cit. ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, para. 149.
[45] Vedi supra para. 3.1.
[46] Nell’esame della richiesta del ricorrente i giudici di Strasburgo sottolinearono che durante il periodo di permanenza nella prigione di Telemark era stato posto in essere un comportamento contrario al dettato della Convenzione, ma che in quel caso specifico le misure erano state adottate esclusivamente per motivi di sicurezza e che non avevano inciso sullo stato mentale del ricorrente; ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, para. 107.
[47] Riferimento ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, para. 134.
[48] Ibidem, para.135.
[49] Ibidem, para. 41.
[50] Anche sul restante tema della violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza di cui all’articolo 8 CEDU, la Corte EDU, ha stabilito nella sua decisione al paragrafo 138 che “the measures had statutory authority, pursued legitimate aims and were proportionate” per cui non si rinviene alcuna violazione del suddetto articolo.
[51] ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, para. 149.
[52] Ibidem, para. 150.
[53] K. Larsen, op. cit., 2.
[54] Ibidem, 3.
[55] ECtHR, Fjotolf Hansen c. Norvegia, 29/05/2017, ricorso n. 48852/17, para. 145.


Foto copertina: Anders Behring Breivik