Pubblicato in Italia da “Anteo Edizioni”, Le frontiere incandescenti dell’Eurasia di Leonid Savin (Pylayshchiye frontiry Yevrazi) è una attenta analisi delle complesse problematiche geostrategiche ai confini della Federazione Russa. Ne parliamo con il curatore della collana “geopolitica” Lorenzo Maria Pacini.
Il libro Le frontiere incandescenti dell’Eurasia di Leonid Savin (Anteo Edizioni, acquista qui) rappresenta un’analisi strategica e geopolitica che esplora le tensioni e le dinamiche di potere nell’area eurasiatica, un crocevia fondamentale per il controllo del futuro dell’economia e della sicurezza globale. Savin, noto esperto di geopolitica russa e figura chiave nella promozione della teoria del “Eurasiatismo”, delinea i principali conflitti e interessi nazionali che ruotano attorno a questa vasta regione, analizzando il ruolo della Russia, della Cina, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella configurazione del futuro dell’Eurasia.
Sintesi del libro
In Le frontiere incandescenti dell’Eurasia Savin considera l’Eurasia come un’area geopolitica fondamentale dove si intrecciano numerosi interessi strategici. Il concetto di Eurasia, per l’autore, va oltre la semplice definizione geografica: rappresenta un’idea politica e culturale che si oppone al dominio occidentale, incarnato in particolare dagli Stati Uniti. Secondo Savin, la competizione per il controllo dell’Eurasia si intensificherà nei prossimi decenni a causa delle tensioni economiche, energetiche e militari.
Uno dei temi centrali di Le frontiere incandescenti dell’Eurasia è l’idea che la Russia, essendo un ponte tra Europa e Asia, giochi un ruolo chiave nella stabilità regionale e globale. La sua posizione strategica, insieme alle risorse energetiche e militari, la rende un attore essenziale nelle future dinamiche di potere. Tuttavia, Savin avverte anche che le rivalità con altre potenze – specialmente la Cina, con la sua crescente influenza economica e militare – potrebbero trasformare l’Eurasia in una regione di conflitti incandescenti.
Il libro esamina inoltre la Belt and Road Initiative (BRI) della Cina, evidenziando come essa stia ridefinendo la mappa delle infrastrutture economiche globali, aumentando l’influenza cinese nell’Asia centrale e in Europa orientale. Savin critica il ruolo degli Stati Uniti nella regione, descrivendo le loro politiche come destabilizzanti e progettate per impedire l’emergere di un blocco eurasiatico coeso che potrebbe sfidare l’egemonia americana.
L’autore riflette anche sul significato delle frontiere, che in Eurasia sono più fluide e pericolose rispetto ad altre parti del mondo, dove i conflitti etnici, religiosi e territoriali continuano a plasmare il panorama politico.
Il testo di Leonid Savin offre una prospettiva che riflette la scuola di pensiero eurasiatista, che vede la Russia come pilastro di un grande progetto geopolitico alternativo all’Occidente. Savin, nel suo stile analitico, costruisce una narrazione che vede l’Eurasia come la vera “battaglia di civiltà” del XXI secolo. Le frontiere incandescenti dell’Eurasia, ricco di riferimenti storici e geopolitici, rappresenta una risorsa preziosa per chiunque voglia comprendere le sfide e le opportunità future per questa regione strategica. Ne parliamo con il curatore della collana “geopolitica” Lorenzo Maria Pacini.
Perché è importante pubblicare un libro come questo in Italia?
Vi è l’urgente necessità di comprendere con precisione e maggiore chiarezza le cause profonde, gli sviluppi retrostanti alla spettacolarizzazione mediatica e i possibili scenari futuri di ciò che sta accadendo. Questo testo di Leonid Savin nasce con questo scopo. C’è altresì bisogno di fare chiarezza nel diluvio informazionale che investe la gente e che crea confusione. Il termine “geopolitica” è la parola dell’anno, ma in pochi sanno dire che cosa è la geopolitica. Quando l’Autore ci ha proposto questo libro, non abbiamo avuto dubbi sulla importanza dell’operetta che avevamo fra le mani.
Nel libro è sottolineata l’importanza strategica dell’Eurasia. Quali sono, a suo avviso, le principali minacce geopolitiche che potrebbero destabilizzare la regione nei prossimi anni?
Nella geopolitica classica c’è un assioma fondamentale, stabilito da Halford Mackinder a inizio Novecento, che recita “L’Eurasia è l’Heartland (Cuore della Terra); chi controlla l’Heartland, controlla il mondo”. Questo asse geografico della Storia è il centro di tutte le vicende dell’ultimo secolo e in realtà anche di molto prima. I pericoli sono gli stessi da molto tempo: coerentemente col dettame di Mackinder, le talassocrazie di Regno Unito e Stati Uniti d’America vogliono conquistare l’Heartland, il quale si difende e cerca di stabilizzare la propria posizione tramite i gli equilibri di forza con le civiltà circostanti. Oggi il rischio più grande per l’Eurasia è in realtà un’opportunità che si sta realizzando: avendo il blocco dell’Atlantico optato per provocare e attaccare ripetutamente il principale Paese dell’Eurasia, ovvero la Federazione Russa, questa ha accelerato il processo di emancipazione dalle sfere di influenza occidentali, promuovendo la transizione verso un mondo multipolare e ridefinendo le geometrie strategiche, economiche ed ideologiche di quella che oggi è geograficamente una maggioranza globale. Il vero rischio, in Eurasia, lo corre l’Egemone occidentale, che vedendo davanti a sé la propria disfatta cerca di sferrare gli ultimi disperati colpi. Certo, non si tratta di un processo temporalmente breve, ma quel che è certo è che è inesorabile.
Il concetto di “frontiere incandescenti” suggerisce una regione in costante conflitto. Quali sono le aree dell’Eurasia che ritiene essere più a rischio di tensioni e perché?
Il primo “punto caldo” è sicuramente il Donbass e, per estensione, tutta l’Ucraina, la Prima Rus’ della Storia del variegato popolo russo. Il conflitto che è cominciato nel 2014 con il golpe di Maidan e si è esteso nel 2022 con una Operazione Militare Speciale, è l’evoluzione fisiologica di un problema le cui radici sono inserite nei secoli precedenti, laddove l’Ucraina attuale era ancora la terra degli Sciti, ma anche la Khazaria che ha dato i natali ad un’intera branca del giudaismo moderno. L’interesse al dominio di quel territorio resterà sempre fintanto che resterà l’essere umano come lo conosciamo oggi, perché si tratta di una terra legata alle tradizioni escatologiche di Ebraismo, Cristianesimo ed Islamismo. Spostandoci più verso Nord, c’è il front del Baltico che rischia di scaldarsi, facendo sciogliere i ghiacci di decenni di tensioni. Non a caso, la Russia ha investito molto sulle rotte artiche per collegare più velocemente l’altro estremo del proprio continente, ma anche per aggirare una serie di difficoltà logistiche e raggiungere persino il proprio principale avversario da una posizione geograficamente più alta. Non tralasciamo quello che avviene a Sud, sui confini del Caucaso, per esempio, dove le continue pressioni e i rischi delle rivoluzioni colorate per mano occidentale continuano a fomentare l’instabilità regionale. Da ultimo ma non di minore importanza, essendo che anche la Cina fa parte dell’Eurasia, non si può non citare la tensione su Taiwan e le pressioni sulle altre isole cinesi. Attaccare la Cina e coinvolgerla in un conflitto, anche a bassa tensione, significa indebolire la compattezza del blocco eurasiatico.
In Le frontiere incandescenti dell’Eurasia la Russia viene descritta come un pilastro della stabilità eurasiatica. Come vede il ruolo della Russia in relazione alla crescente influenza della Cina e alle ambizioni della Belt and Road Initiative?
Storicamente, la Russia è un impero, la cui grandezza non è mai stata preminentemente economica. La Russia si è fatta forte militarmente e nella produzione industriale interna, ma non ha mai brillato in termini di esportazioni, commerci internazionali, ammodernamento ed evoluzione della forza lavoro. Demograficamente è un Paese piuttosto piccolo rispetto alla sconfinata grandezza geografica. La Cina, dal canto suo, è un Paese grande ed estremamente popoloso, è una maestra del commercio con esperienza ormai millenaria e ha investito sul lungo periodo al fine di diventare la prima potenza economica mondiale. Vista da questo punto di vista, la disparità è facilmente riscontrabile. La logica delle nuove rotte e dei partenariati, che stanno ridefinendo molti dei paradigmi geopolitici con cui eravamo abituati ad interpretare la realtà e costruire proiezioni, è quella di una cooperazione stabile ed integrata. La Cina non potrebbe percorrere una Via della Seta senza avere la Russia su cui tracciarla, senza la sua protezione e la sua influenza. Gli Stati della BRI sono per la maggioranza ex territori sovietici o comunque con particolare sensibilità per l’influenza russa. È un progetto che giova ad entrambi: la Russia ne trae una estensione del mercato di import-export, la Cina può accrescere i propri profitti in sicurezza.
Il libro è molto critico verso le politiche degli Stati Uniti in Eurasia. Quali sono le strategie statunitensi che ritiene più destabilizzanti per la regione e come la Russia potrebbe rispondere?
Gli USA non hanno molta fantasia, o forse sono estremamente coerenti e fedeli alle iniziative degli ultimi grandi presidenti che nel Novecento hanno saputo oggettivamente portare il Paese ad essere il vincitore del secolo breve. È così che troviamo, oggi, le stesse iniziative di ieri: un sofistica lavoro d’intelligence, volto a destabilizzare i cittadini, con un adattamento di infowarfare che funziona perché gli USA hanno ideologicamente e culturalmente colonizzato gran parte del mondo; da queste premesse si elevano i tentativi di rivoluzioni colorate e sovversioni, per lo più sui Paesi al confine, in modo da cerare non pochi problemi per chi governa; poi ci sono le sanzioni, strumento di soft power che ormai tutti hanno capito non funzionare più come prima; l’ultima spiaggia è l’attacco, prima per procura, poi diretto. Anche nell’integrazione dei sistemi ibridi di conflitto, non c’è stato un grande spostamento concettuale da questi metodi. La soluzioni “à la Russe” nemmeno sono tanto diverse dal solito: una proverbiale pazienza che snerva lo stile occidentale, una progettazione su termini più lunghi, una grande coesione sociale che permette di operare con forza. A questo si aggiunge l’applicazione della teoria del mondo multipolare, i cui risultati – in questa fase transitoria che sarà ancora lunga – già si notano.
Crede che l’Eurasia possa svilupparsi come un blocco geopolitico unito e coeso in grado di contrastare l’influenza occidentale, o pensa che ci siano troppi interessi divergenti tra le potenze regionali?
Se rimaniamo attaccati al modello degli Stati-Nazione, l’integrazione è pressoché impossibile. Si riescono a stabilire degli accordi di cooperazione, ma molto limitati nel tempo e nei temi. Se, invece, passiamo ad un modello di Stati-Civiltà, allora la prospettiva cambia. Non è più una questione di “vinco io, perdi tu”, non è più solo il giocoforza del PIL o dell’arsenale atomico, è una questione di idee, di modelli di vita, di realizzazione di un bene comune che viene oggi compreso e ricercato da una pluralità di popoli. In questo senso, gli interessi dell’intero blocco asiatico, considerando anche i Paesi della CSI, l’India con i suoi vicini, il Sud East Asiatico, oltre agli Stati dell’Asia Orientale, è palese la volontà di costruire una Pax Multipolaris, una pace multipolare. L’Heartland, oggi, non è più soltanto quello centrato sull’Eurasia, ma si sta distribuendo, perché i tempi sono cambiati, l’ascesa di nuove potenze fa sì che i poli siano più numerosi e più forti di prima, non sono più il “buono” e il “cattivo” del periodo della Guerra Fredda. La ridistribuzione dell’Heartland causa al nemico dell’Atlantico serie problemi.
L’Unione Europea sta cercando di rafforzare i suoi legami economici e strategici con alcuni Paesi eurasiatici. Quali opportunità e rischi vede in questa politica per il futuro delle relazioni tra l’Europa e l’Eurasia?
Non credo nella volontà dell’UE in questo senso. Anzi. L’Unione Europea, che nasce come strumento di governo coloniale del patrono a stelle e strisce su commissione della corona britannica, è stata ripetutamente avversaria del blocco eurasiatico. L’esempio più recente e più sclerotico sono gli innumerevoli pacchetti di sanzioni. Una follia, il cui risultato, come era chiaro sin dall’inizio, ha fatto comodo solo e soltanto all’Egemone occidentale per assicurarsi di mantenere stabile il vassallaggio europeo. Credo, invece, in una volontà dei popoli europei nel mantenere vivo e nel rafforzare, chiedendo aiuto laddove necessario, quel legame con l’Eurasia che è presente da millenni. Sul piano delle opportunità, l’Europa ha solo da guadagnare e fra tutte le possibilità spicca quella di avere un aiuto ad uscire sia dall’orbita di potere degli UK-USA, sia di risollevare la propria economica (dunque salvare milioni di vite). Sul piano dei rischi, beh… credo che la litania della guerra-senza-fine che ci viene ripetuta ogni giorno basti già per capire ciò a cui stiamo andando incontro. Non c’è da scherzare, purtroppo. È una faccenda molto seria.
La visione dell’Eurasia è fortemente legata alla geopolitica russa. Crede che l’attuale contesto politico e militare (ad esempio la guerra in Ucraina) stia modificando radicalmente le dinamiche geopolitiche dell’Eurasia, o vede questi eventi come una parte di un conflitto più ampio?
È un conflitto fra modelli di civiltà, fra visioni del mondo. Credo che quello a cui stiamo assistendo, come l’Autore Leonid Savin ha ben spiegato nel libro e come nella prefazione il Generale Raimondo Caria ha saputo adeguatamente sottolineare, è l’avvicinamento ad un bivio epocale che si fa sempre più radicale, oltre il quale c’è “o lo Spirito, o il Nulla”, per citare la compianta amica Darya Dugina. E questa è una scelta che dipende solo da noi.
Foto: copertina libro “Le frontiere incandescenti dell’Eurasia”.