Water Grabbing: la diga sul fiume Omo.

South Ethiopia. 2011. Omo Valley. Along the oriental shore og the Omo River near the Karo village, where children are playing by jumping in the sand. The Karo village is located in a natural bights of the Omo River. Karos are a small tribe with an estimated population between 1,000 and 3,000 people and lives thanks to fishing and cultivation made possible by the floodings of the Omo River.The Omo Valley, one of the most important place for its peculiar biodiversity despite the desert or semi-desert ambient.

Il fenomeno del Water Grabbing, gli effetti sulla popolazione locale della costruzione della diga Gibe III sul fiume Omo in Etiopia (realizzata dal gruppo industriale Salini – Impregilo).


 

Secondo il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2019 in tutto il mondo il tasso di utilizzo dell’acqua è cresciuto di circa l’1% all’anno a partire dagli anni ’80 a causa della combinazione di diversi fattori: crescita della popolazione, sviluppo socioeconomico e cambiamento dei modelli di consumo. Secondo le previsioni, la domanda globale di acqua continuerà a crescere ad un tasso simile fino al 2050 superando di circa il 20-30% i livelli di utilizzo attuali, principalmente in ragione della crescente domanda a livello industriale e domestico. Oggi più di due miliardi di persone vivono in paesi soggetti a tassi elevati di stress idrico, mentre circa quattro miliardi di persone devono affrontare gravi scarsità idriche per almeno un mese all’anno[1].

I livelli di stress idrico[2] continueranno a crescere con l’incremento della domanda di acqua e con l’intensificarsi degli effetti dei cambiamenti climatici. I modelli contemporanei di consumo e di commercio alimentare, come ad esempio l’eccessivo consumo di carne, lo spreco o lo sbilanciamento su alcuni prodotti sempre più spesso entrano in competizione con i bisogni delle popolazioni che vivono in aree dove la disponibilità idrica è già scarsa.

Water Grabbing

Con l’espressione Water Grabbing, “accaparramento dell’acqua”, ci si riferisce a situazioni in cui un attore di potere (un governo, una corporation, un’autorità) prenda il controllo o devii a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi che vengono depredati[3].

Spesso l’utilizzo di quest’acqua serve ad alimentare un tipo di agricoltura non sostenibile e di tipo invasivo (cotone, soia, bio-combustibili), capace  di rendere un terzo del suolo terrestre gravemente degradato[4].

La diga Gibe III sul fiume Omo

Per comprendere meglio questo fenomeno, è opportuno analizzare ciò che sta accadendo in Etiopia sul fiume Omo[5]. Il fiume Omo nasce sugli altopiani meridionali etiopi, attraversa i parchi nazionali Mago e Omo, per poi sfociare 760 km dopo nel versante settentrionale del lago Tunkana (ex Lago Rodolfo) in Kenya[6]. Inoltre nel 1980, il suo bacino è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco per la sua particolare importanza geologica e archeologica.

L’Etiopia negli ultimi dieci anni ha visto l’economia crescere a ritmi esaltanti pari, se non superiori, a quelli di Cina e India, tanto che il Fondo Monetario Internazionale ha inserito Addis Abeba tra le cinque economie che crescono più rapidamente nel mondo[7]. Per continuare a mantenere questi livelli di crescita economica,  il governo ha individuato sei settori strategici sui quali investire per raggiungere gli obiettivi fissati al 2025.

Oltre all’industria, le istituzioni puntano su agricoltura, trasporti urbani, costruzioni e urbanizzazione, servizi e in ultimo accesso alle coperture sociali come sanità ed educazione. Proprio per quanto riguarda le infrastrutture, il governo etiope destina circa un terzo del proprio PIL alla costruzione di infrastrutture destinate alla produzione di energia elettrica. A tal proposito, nel luglio del 2006, il governo etiope ha affidato alla società italiana Salini Costruttori, oggi Salini Impregilo, la realizzazione del più grande progetto idroelettrico mai concepito nel paese, la diga Gibe III[8].

Con 240 metri di altezza, 630 metri di larghezza in cresta, un bacino lungo 150 km per alimentare le turbine da 1.870 megawatt di capacità produttiva, la diga è un progetto infrastrutturale di quelli che possono cambiare il destino di un paese. Insieme alla “sorella maggiore”, la diga Grand Ethiopian Renaissance Dam, da 6400 megawatt, in costruzione lungo il Nilo Azzurro (e fonte di tensione con i governi egiziano e sudanese), Gibe III rappresenta il tassello più importante della strategia di investimenti energetici voluta dal governo etiope.

I lavori, finanziati anche da Cina e Banca Mondiale, sono iniziati nel 2006 subito dopo la firma della commessa da 1,4 miliardi di euro. La diga è stata completata e il governo ha iniziato a riempire il bacino nel 2015.

Le leggi ambientali etiopi vietano la realizzazione di progetti che non siano stati preventivamente sottoposti a complete valutazioni di impatto ambientale e sociale (Environmental Social Impact Assessment – ESIA[9]). Nonostante questo, l’Authority etiope per la protezione dell’ambiente (EPA) ha approvato retroattivamente le valutazioni d’impatto della Gibe III solo nel luglio 2008, con quasi due anni di ritardo.

Gli studi di impatto della diga Gibe III (ESIA) sono stati effettuati dall’agenzia milanese CESI per conto dell’azienda energetica etiope EEPCo e della società costruttrice Salini Impregilo. Pubblicati in versione definitiva nel gennaio 2009, i suoi risultati sono saldamente favorevoli al progetto, il cui impatto sull’ambiente e sulle popolazioni interessate viene valutato come “trascurabile” o addirittura “positivo”[10].

In realtà però ci sono dei dubbi su questo tipo di valutazione, ad esempio già dal 2010 la Banca Europea e la Banca Africana per lo Sviluppo (AFdB[11]) si sono ritirate dal progetto proprio perché non convinti dall’impatto ambientale di questa opera. Secondo numerosi esperti indipendenti, la diga, le piantagioni e i canali di irrigazione avranno un enorme impatto sui delicati ecosistemi della regione modificando le esondazioni stagionali del fiume Omo e riducendone drammaticamente il volume. Questo causerà l’inaridimento di molte aree a riva ed farà scomparire la foresta ripariale. I popoli indigeni come gli Kwegu (o Muguji), Bodi (Me’en), i Daasanach, i Kara (o Karo), i Mursi e i Nyangatom abitano stabilmente lungo le sponde del fiume, da cui dipendono totalmente, si troveranno senza più nulla[12]. Secondo le associazioni per i diritti umani che riescono ad ottenere informazioni, come Human Right Watch[13] , Suvival e Re-Common[14] [15], le tribù della bassa Valle dell’Omo sono state sfrattate con violenza dalle loro case ancestrali, mentre i loro pascoli e le terre agricole sono trasformate in piantagioni industriali di canna da zucchero, cotone e agro-combustibili. Si parla di percosse, abusi e intimidazioni generali, e di violenze indicibili da parte dei soldati etiopi[16].

Survival International contro Salini Impregilo

Nel marzo del 2016 Survival International deposita un’istanza specifica contro Salini Impregilo presso il Punto di Contatto Nazionale (PCN[17]) italiano dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Nel dicembre dello stesso anno il PCN accoglie con favore l’informativa fornita dall’impresa Salini circa il recente rilascio artificiale di acqua conclusosi nel mese di ottobre 2016 e circa la collaborazione attiva con EEPCo (Ethiopian Electric Power Corporation[18]) attraverso un supporto tecnico e logistico, in relazione al programma di rilasci artificiali di flusso della Diga Gibe III.

Nel gennaio 2017, la Survival International si ritira formalmente dall’istanza in quanto rammaricata dalla decisione del PCN di accogliere favorevolmente l’informativa della Salini nonostante la mancanza di un contraddittorio e della possibilità di verifiche indipendenti da parte di esperti.

Secondo Survival, infatti, numerose e unanimi testimonianze raccolte sul campo “sembrano confermare che si sia trattato di un mero rilascio di acqua che ha innalzato il livello delle acque nel letto del fiume senza tuttavia farlo esondare ai fini di consentire una qualunque forma di agricoltura da recesso”. Survival ricorda anche al PCN di aver già espresso perplessità sulle esondazioni artificiali in sé che, come dettagliato nell’istanza, sono in generale “una tecnica costosissima e non ancora sufficientemente testata della cui efficacia molti scienziati autorevoli dubitano”. Ma al di là di questo, conclude Survival, “è certezza che da quando la diga ha interrotto le esondazioni naturali, a tutt’oggi le autorità non hanno ancora rilasciato acqua sufficiente a supportare i mezzi di sostentamento degli indigeni”.

Nel giugno 2017 Il PCN pubblica la Relazione finale a chiusura formale dell’Istanza. A proposito delle esondazioni il PCN scrive che “Le attività di rilascio delle acque sono continuate anche oltre l’ottobre 2016” citando un documento di monitoraggio dell’EEPCo chiamato “Artificial Flow release – Monitoring activities.

Il PCN raccomanda quindi a Salini di “continuare a prestare il supporto tecnico necessario e di fare tutto quanto sia nelle proprie possibilità affinché EPPCo realizzi le attività previste dal piano di rilasci artificiali seguendo le raccomandazioni per il follow up e in particolare garantendo, durante tutto il processo, la consultazione delle comunità a valle”. Le ultime notizie disponibili sono quelle raccolte dal sul campo dalla troupe investigativa del programma “Indovina chi viene dopo cena” trasmesso da RAI3 il giorno 20 novembre 2017, confermano che alla data attuale nella bassa valle dell’Omo non si verificano esondazioni da oltre 3 anni e che le acque del fiume non si alzano mai abbastanza da permettere l’agricoltura da recesso.[19]

Gli impatti sul lago Turkana

 Gravissime anche le ripercussioni sul lago Turkana del Kenya, che riceve più del 90% delle sue acque dal fiume Omo. Il drastico abbassamento del livello del lago potrebbe compromettere irreversibilmente le possibilità di sostentamento di almeno altre 300.000 persone tra cui i Turkana e i Rendille, che dal lago dipendono per pescare e procurarsi acqua potabile. Nel giugno 2018, l’UNESCO ha inserito il Lago Turkana nella Lista dei Patrimoni dell’Umanità in Pericolo[20].

La riduzione della portata idrica dell’Omo potrebbe portare il lago Turkana ad una situazione equivalente al prosciugamento del mare d’Aral o a quello che sta accadendo al Mar Morto e al Lago Chad. Secondo gli esperti il regime idrico al delta dell’Omo potrebbe essere ridotto del 50% dal prelievo. Questo comporterebbe un abbassamento di circa 20 metri del livello delle acque (con una profondità media del lago di 30 metri). Il lago potrebbe dividersi in due laghi minori, uno a nord alimentato dall’Omo e uno a sud, che sopravvivrebbe con l’apporto dei fiumi Kerio e Turkwel. La siccità e l’abbassarsi delle acque del lago sta alterando i rapporti tra i gruppi etnici, i conflitti stanno aumentando in particolare tra le comunità di pescatori, poiché sono diminuite le aree di pesca.

Il governo kenyota rimane per il momento in disparte. Il governo di Mwai Kibaki nel marzo del 2012, aveva firmato un accordo per importare energia idroelettrica dell’Etiopia[21]. Per queste ragioni il governo oggi, sebbene abbia aperto un tavolo di discussione con Addis Abeba, non ha intrapreso alcuna azione significativa. Le dighe continuano ad aumentare, mentre i gruppi etnici del turkana assistono impotenti al Water Grabbing, alla sottrazione delle loro risorse, della loro acqua.


[dropcap]Note[/dropcap]

 

[1]https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000367303_ita

[2] Per stress idrico s’intende una forte pressione sul ciclo idrogeologico e può essere di natura quantitativa, quando il prelievo d’acqua è maggiore rispetto alla capacità naturale di rigenerazione, ovvero di natura qualitativa, quando la risorsa è alterata in termini chimici.

[3] https://www.ideegreen.it/water-grabbing-furto-acqua-93183.html

[4]https://www.theguardian.com/environment/2017/sep/12/third-of-earths-soil-acutely-degraded-due-to-agriculture-study

[5] Il nome Omo sembra che sia stato usato per la prima volta da padre Leone des Avanchers, che percorse la regione all’inizio della seconda metà del 19° secolo. Il rilievo del suo corso si deve in gran parte alla seconda spedizione di V. Bottego (1895-97), il fiume infatti secondo la cartografia coloniale italiana era indicato come Omo Bottego.

[6] http://www.treccani.it/enciclopedia/omo/

[7]https://www.webuildvalue.com/it/reportage/etiopia-il-sogno-africa.html

[8] https://ethiopia.salini-impregilo.com/it/progetti/gibe-iii-hydroelectric.html

[9]https://docs.wbcsd.org/2016/08/Guidelines_for_Environmental_Social_Impact_Assessment.pdf

[10] https://www.survival.it/popoli/valleomo

[11] https://www.afdb.org/en/search/?query=gibe+

[12] https://www.survival.it/popoli/valleomo

[13]https://www.hrw.org/news?keyword=omo&date%5Bvalue%5D%5Byear%5D=&country%5B%5D=9473

[14] https://www.recommon.org/etiopia-le-grandi-dighe-della-valle-dellomo/

[15] https://www.recommon.org/che-cosa-ce-da-nascondere-nella-valle-dellomo/

[16] https://www.watergrabbing.com/etiopia/

[17] https://pcnitalia.mise.gov.it/index.php/it/

[18] http://www.eep.gov.et/index.php?lang=en

[19] https://s3.amazonaws.com/asset.survivalinternational.org/static/Cronologia+eventi_GibeIII_Esondazioni.pdf

[20] https://whc.unesco.org/en/list/801/

[21]https://www.capitalfm.co.ke/business/2012/03/kenya-to-import-400mw-of-ethiopian-power-yearly/


Foto copertina: South Ethiopia. 2011. Omo Valley. Along the oriental shore og the Omo River near the Karo village, where children are playing by jumping in the sand. The Karo village is located in a natural bights of the Omo River. Karos are a small tribe with an estimated population between 1,000 and 3,000 people and lives thanks to fishing and cultivation made possible by the floodings of the Omo River.The Omo Valley, one of the most important place for its peculiar biodiversity despite the desert or semi-desert ambient. WaterGrabbingEtiopia


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