Milorad Dodik e la fragilità degli accordi di Dayton


Nelle Repubbliche che compongono la Bosnia ed Erzegovina, il dibattito tra revisionisti e conservatori sugli accordi di Dayton dimostra che l’assetto geopolitico seguito alla guerra in Bosnia non è stato accettato alla stessa maniera da entrambe le anime del paese, e che in futuro potrebbe essere messo in pericolo.


A cura di Michele Ditto

Lunedì, due F-16 statunitensi sono volati sopra i cieli della Bosnia1 per ricordare a Milorad Dodik, Presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina – anche detta Repubblica di Srpska – che gli accordi di Dayton sono ancora in vigore, e che gli Stati Uniti sono pronti a spendersi per garantirne la piena applicazione.
In particolare, è stato un comunicato dell’ambasciata statunitense a Sarajevo2 a rendere noto dell’addestramento aereo bilaterale condotto insieme alle forze armate della Bosnia ed Erzegovina. A detta del corpo diplomatico statunitense, l’esercitazione sarebbe stata principalmente volta a sostenere l’integrità territoriale del Paese contro l’attività secessionista dei serbi nel nord, in contrasto con gli accordi di pace di Dayton del 1995.
Invero, il suddetto protocollo, che poneva fine alla guerra in Bosnia ed Erzegovina, dava vita a una repubblica federale con un governo centrale relativamente debole perché composta da due entità semi-autonome, la già citata Repubblica di Srpska, a maggioranza serba, e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, composta per la maggior parte da bosgnacchi e croati. La secessione non fu prevista in nessun caso, e l’ambasciata statunitense a Sarajevo, in parallelo all’annuncio dell’esercitazione, si è impegnata a ricordarlo.
Insieme all’addestramento militare, la suddetta rievocazione costituzionale da parte statunitense è stata infatti giustificata dall’azione e dalla retorica del politico nazionalista serbo Dodik, la cui linea politica come Presidente della Repubblica di Srpska è quella di portare quest’ultima alla secessione, unendola alla vicina Serbia.
Sono state già diverse le iniziative di Dodik per rendere chiare le sue intenzioni. Ad esempio, nel luglio dello scorso anno non riconobbe l’autorità del politico tedesco Christian Schmidt, Alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, figura dotata di ampi poteri istituita in seno agli accordi di Dayton e pensata per supervisionare sull’implementazione di questi ultimi. A Schmidt fu negato di entrare nel territorio della Repubblica di Srpska, e addirittura Dodik lo minacciò – seppure poi ritrattando3 – di farlo arrestare.
Un’altra iniziativa del presidente serbo degna di nota fu quella di istituire il 9 gennaio la “giornata della Repubblica di Srpska”, giorno festivo ritenuto illegittimo dalla Corte costituzionale della Bosnia ed Erzegovina perché coinciderebbe con la data di inizio di alcune pulizie etniche sul territorio della Bosnia durante la guerra degli anni 1992-1995.

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Al di là di queste azioni per lo più simboliche, la presidenza Dodik e il governo, con sede a Banja Luka, hanno agito anche nel concreto per cercare di emanciparsi dal governo centrale di Sarajevo. Il 27 giugno del 2023 i deputati dell’assemblea popolare della Repubblica di Srpska hanno approvato una proposta di legge sulla non applicazione delle decisioni della Corte costituzionale.
Il motivo scatenante sarebbe stata la decisione della Corte di iniziare a deliberare a maggioranza semplice. Prima le deliberazioni dovevano tenere conto delle componenti etniche del Paese: era infatti richiesto il voto dei giudici provenienti da entrambe le entità di cui è composta la Bosnia ed Erzegovina. Il presidente Dodik dichiarò allora che si trattava solo del primo passo verso una maggiore indipendenza.
Ad ogni modo, tenuto conto di queste iniziative e dei ripetuti proclami verso l’indipendenza, è difficile che la politica di Dodik si spinga davvero fino alla secessione, considerata da chi scrive come la conditio sine qua non di un intervento militare statunitense per ristabilire lo status quo. Vero è infatti che la tenuta degli accordi di Dayton dipende in questo momento storico più dalla volontà statunitense che da quella di tutti gli abitanti della Bosnia ed Erzegovina. Avessero libero arbitrio, in particolare nelle comunità serbe a nord, molti acconsentirebbero a un cambio di paradigma. In questo senso la popolarità di Dodik, convinto detrattore dell’assetto geopolitico post-1995, non è casuale.



Foto copertina: Milorad Dodik