Fermare Pechino – Capire la Cina per salvare l’Occidente, è il nuovo libro di Federico Rampini sulla sfida tra le due superpotenze per la conquista del mondo.
Fermare Pechino, Stati Uniti e Cina, le due superpotenze che si contendono la leadership mondiale, sono chiamate, nell’ affrontare problematiche simili, a dare risposte diverse.
Federico Rampini, corrispondente della «Repubblica» da New York, è stato vicedirettore del «Sole24», editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco e Pechino, ci racconta una sfida fatta anche di contaminazioni reciproche, perché alcuni problemi sono simili: dalle diseguaglianze sociali allo strapotere di Big Tech, dalla crisi ambientale e climatica alla corsa per dominare le energie rinnovabili.
Han-centrismo: la questione razziale
Interessante il confronto sulla questione “razzismo”. In Cina non esiste un dibattito sul tema perché il razzismo «non esiste». E non esiste per il semplice motivo che per la visione «Han-centrica» del mondo cinese, esistono altre razze ma loro sono superiori. La civiltà cinese è ben più antica della «nazione» cinese e la razza Han, che rappresenta il 90% degli abitanti, si considera come uomini della Terra di Mezzo, il centro del mondo, il cuore dell’Universo. La politica di Xi Jinping mira a ristabilire un collegamento diretto tra la Cina attuale vocata alla leadership mondiale, con la «nazione degli antenati» dell’Impero Celeste, relegando ad “incidente di percorso” il secolo delle “umiliazioni” come viene definito dal presidente e dai manuali scolastici: il periodo aperto dalle guerre dell’Oppio vinte dagli inglesi. La decadenza di quei cent’anni viene attribuita alla Cina ma in riferimento alla dinastia Qing che non era Han e che veniva dalla Manciuria. Non c’è da stupirsi delle notizie di quotidiano razzismo nei confronti non solo di altri cinesi, non Han come gli uiguri considerati come un «popolo selvaggio», ma anche verso studenti e lavoratori africani e del sudest asiatico. L’altra faccia della medaglia dell’Han-centrismo è rappresentata dall’atteggiamento di Pechino nei confronti della diaspora cinese nel mondo. Un rapporto di protezione esasperato che comporta, da un lato il controllo capillare su studenti cinesi che studiano all’estero, dall’altro la minaccia di intervento del governo cinese quando (spesso) si verificano delle tensioni tra le comunità cinesi e i locali delle nazioni ospitanti. La tendenza ad intromettersi nelle questioni degli stati sovrani per difendere i diritti dei propri cittadini «perseguitati» all’estero porta Rampini in “Fermare Pechino” a tracciare un sinistro parallelismo con ciò che è avvenuto nella regione dei Sudeti con Hitler nel ’38 o con le minoranze russofone in Ucraina e nei paesi baltici.
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Ma se in Cina la questione razziale è un amalgama fondamentale per la compattezza del regime di Pechino, negli Stati Uniti intorno alle questioni razziali si gioca il futuro della Democrazia.
Lo “Stato di Diritto” è sotto costante attacco. La campagna “Defund the police”, (tagliamo i fondi alla polizia), urlato nei cortei di Black Live Metter, l’assalto di Capital Hill del 6 gennaio da parte dell’estrema destra non sono casi isolati. Rampini in “Fermare Pechino” accusa la sinistra americana di aver sferrato nella sfera culturale, un attacco diretto ben prima dell’arrivo di Trump, con l’occupazione del mondo dell’istruzione, la censura contro il dissenso dove studenti e professori conservatori venivano zittiti, dove gli studi classici vengono smantellati perché contengono troppi maschi bianchi e dove la tragica vicenda di George Floyd ha avuto un impatto senza precedenti. La piaga del razzismo nelle forze dell’ordine è reale, antica e giustifica una lotta serrata per estirparla. Ma l’egemonia di Black Lives Matter sui media, prosegue Rampini, ha finito per descrivere un’America dove tutto è razzismo ma ovviamente non è così. Il tentativo politically correct di far ricadere ogni tipo di male sulla responsabilità storica e sul razzismo dell’uomo bianco è una visione scorretta e molto semplificata. Il risultato è che la società americana e più in generale «Occidentale» risulta spaccata, tra chi vuole un mondo politically correct e chi si sente minacciato su questioni di identità. La divisione della società su questioni razziali e diritti civili è un regalo perfetto a Xi e ai suoi rappresentanti che più volte hanno citato Black Lives Matter accusando gli Stati Uniti di non rispettare i diritti…
Morire per Taiwan?
Più di 150 incursioni jet cinesi nello spazio aereo di difesa di Taiwan nei primi giorni di ottobre, hanno dato l’ennesima prova che per Pechino esiste «una sola» Cina. Le continue dichiarazioni di Xi Jinping sulla «riunificazione doverosa, necessaria, inevitabile» anche con la forza, ciò che è accaduto ad Hong Kong lo scorso anno, non fanno presagire nulla di buono per il futuro dell’unica «democrazia cinese». Tsai sostiene che la caduta di Taiwan in Cina provocherebbe conseguenze «catastrofiche» per la pace in Asia. Taiwan non cerca uno scontro militare, ha detto Tsai, «ma se la sua democrazia e il suo stile di vita sono minacciati, Taiwan farà tutto il necessario per difendersi».
La richiesta di Taiwan di entrare nel CpTpp, l’accordo di libero scambio transpacifico, a distanza di nemmeno una settimana dall’identica mossa di Pechino, ha innalzato inevitabilmente il livello delle frizioni sullo Stretto. Simili spedizioni, non nuove a Pechino, sono realizzate per «proteggere la sua sovranità» e contrastare la «collusione» tra Taiwan e gli Stati Uniti.
La «provincia ribelle» è un territorio di 36.000 km quadrati e conta 24 milioni di abitanti, con un Pil superiore a quello della Svizzera. Taiwan rappresenta l’unica democrazia cinese, un fondamentale tassello geopolitico oltre che centro mondiale per la produzione di componenti tecnologiche. Sul suo territorio si concentrano tra il 40% e il 65% delle aziende che producono semiconduttori, percentuale che arriva all 85% per quelli più avanzati. Chiaro che in un mondo sempre più tecnologico, Taiwan rappresenta una miniera da conquistare (per la Cina) o da difendere (per gli Stati Uniti). Ma in caso di invasione cinese dell’isola, gli Stati Uniti (e l’Occidente) sono pronti a morire per Taiwan?
Conclusioni
Con «Fermare Pechino», Rampini aiuta il lettore a comprendere il perché la contrapposizione tra le due grandi superpotenze rischia di diventare effettivamente un conflitto armato. Rampini mette a nudo gli aspetti meno noti della Cina, dalle abitudini dei Millennials, alla riscoperta della figura di Mao, dal ruolo dei fumetti fantasy per aggirare la censura alla saga cinematografica del Guerriero Lupo. Dall’altra parte, l’America soffre l’ambiguità dei propri capitalisti, disposti a chiudere entrambi gli occhi sulle questioni civili pur di fare affare con Pechino, soffre la crisi della propria società e le mire espansionistiche dei rivali. E l’Europa? Il «vecchio continente» è relegato a terreno di conquista e scontro tra le due grandi potenze.
Foto copertina: Immagine web.