Negli ultimi anni, l’area del Pacifico è risultata essere il pivot della competizione geostrategica tra gli Stati Uniti d’America e la Cina per l’influenza globale.[1]
La politica estera statunitense ed il piano strategico dell’attuale amministrazione Biden per il Pacifico, non si discostano molto da quello delle precedenti amministrazioni, ovvero quella di Donald Trump e Barack Obama. Infatti, nell’”Indo-Pacific[2] Strategy” finalizzata a febbraio 2022, il Presidente ha detto di voler attuare opere di contenimento nei confronti della grande potenza emergente cinese e nei confronti delle potenze che avanzano mire espansionistiche proprio nel Pacifico.[3]
Secondo la valutazione annuale delle minacce, in inglese “Annual Threat Assessment”[4], stilata dall’Intelligence statunitense e redatta a febbraio 2022, le maggiori minacce per il Paese arriverebbero proprio da Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Secondo lo stesso report, il Partito Comunista Cinese (PCC) continuerà ad impegnarsi nel realizzare la visione del Presidente Xi Jinping di rendere la Cina una potenza preminente in Asia orientale e una grande potenza sulla scena mondiale. Conseguentemente, gli sforzi del governo cinese saranno atti alla riunificazione di Taiwan (considerata una mera repubblica separatista da Pechino), verranno attuate manovre atte ad indebolire l’influenza degli Stati Uniti, creando dei dissidi tra Washington e i suoi partner e promuovendo alcune norme che favoriscono l’autoritarismo.[5]
Ned Price, attuale portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha confermato che la competizione strategica è la “cornice attraverso la quale vediamo le nostre relazioni con la Cina”. Ha inoltre affermato di voler contrastare le azioni aggressive della Cina, sostenere i principali vantaggi militari, difendere i valori democratici, investire in tecnologie avanzate e ripristinare i partenariati di sicurezza.[6]
Interessi cinesi nel Pacifico
Da anni ormai la Cina ha coltivato e sta coltivando interessi diplomatici ed economici nel Pacifico, al fine di conseguire profondi scopi strategici in quello che Pechino reputa a tutti gli effetti il proprio “cortile di casa”.
Secondo la stampa australiana, nel 2018 la Cina ha richiesto di stabilire una presenza militare sull’isola di Vanuatu, ovvero a meno di 2000 chilometri dal territorio australiano. Il primo ministro dell’isola ha rassicurato la stampa internazionale che nessun accordo sarebbe stato raggiunto su questa linea.
Dopo il rifiuto dell’isola di Vanuatu di servire da avamposto militare per la Cina, quest’ultima ha volto lo sguardo verso Nord-Ovest, avanzando la stessa richiesta a Manus, un’isola della Papua Nuova Guinea, una volta ospitante le forze armate degli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Il governo della Papua Nuova Guinea si è invece rivolto all’Australia e agli Stati Uniti per la riqualificazione del porto, dimostrando una maggiore disponibilità a fidarsi dei partner tradizionali in materia di sicurezza.[7]
La Cina è quindi stata nuovamente costretta a guardare altrove, in piena linea con quel senso di accerchiamento e di “new conteinent” che gli Usa hanno costruito intorno al suo versante oceanico. [8]
Un altro punto strategico nel Pacifico che potrebbe risultare utile nel controllo delle relazioni tra Australia e Stati Uniti sono le Isole Salomone, che si estendono tra Papua Nuova Guinea e Vanuatu e che hanno ospitato basi aeree e navali fondamentali per gli attacchi all’allora impero giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale. L’approccio questa volta è diverso, infatti i leader cinesi hanno appreso che i paesi delle isole del Pacifico sono più ricettivi agli accordi di sicurezza che minimizzano gli obiettivi militari di Pechino e offrono in cambio vantaggi specifici. Un tale calcolo probabilmente ha plasmato il patto di sicurezza tra Cina e Isole Salomone e ha funzionato.[9]
Nello specifico, il patto concede alla marina cinese il permesso di attraccare nei porti e rifornire le Isole Salomone, ponendo le basi per una struttura che potrebbe essere ampliata nel tempo. La Cina probabilmente mira a stabilire una presenza militare permanente, ma lo farà in un modo che consentirà alle due parti di negare che sia una base. [10]Nonostante ciò, il leader delle Isole Salomone Manasseh Sogavare, ha però affermato di non voler permettere la costruzione di una base militare navale cinese sul suo territorio e di preferire l’Australia come partner negli accordi sulla sicurezza internazionale.[11]
Isole del Pacifico come avamposti militari
Kamala Harris, attuale vicepresidente degli Stati Uniti, ha ammesso che la regione del Pacifico ha ricevuto poca attenzione nella politica estera dello stato negli ultimi decenni. “Riconosciamo che negli ultimi anni le Isole del Pacifico potrebbero non aver ricevuto l’attenzione diplomatica e il sostegno che meritano. Quindi questo cambierà in futuro”. [12]
L’amministrazione Biden, quindi, sembrerebbe avere in programma di aprire due nuove ambasciate nelle isole del Pacifico, a Tonga e Kiribati, e di nominare un primo inviato degli Stati Uniti al Forum delle Isole del Pacifico (PIF). L’amministrazione Biden sta inoltre presentando richieste al Congresso per triplicare i finanziamenti per l’assistenza alla pesca nella regione per un importo di 60 milioni di dollari e sta mappando i piani per aprire un ufficio regionale dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, al fine di aiutare l’area del Pacifico ad adattarsi agli effetti del cambiamento climatico. [13]
Gli Stati Uniti hanno da tempo un accordo con i cosiddetti Stati Liberamente Associati nelle Isole del Pacifico (le Isole Marshall, la Micronesia e Palau). Questo accordo governa le relazioni diplomatiche degli Stati Uniti con quei paesi e consente a Washington di incanalare aiuti, (circa $ 200 milioni all’anno). Il Dipartimento della Difesa conduce regolarmente anche test missilistici sull’atollo di Kwajalein nelle Isole Marshall. Ma le nazioni insulari hanno criticato l’amministrazione Biden per aver prestato scarsa attenzione ai colloqui e ai fondi fiduciari che aiutano a gestire tale assistenza finanziaria: i negoziati per ripristinare i patti in scadenza con le Isole Marshall e la Micronesia così come nel 2024 per Palau, si sono arenati, mentre le discussioni su come distribuire i fondi tra i tre stati si sono accese.[14]
Obiettivi cinesi nel Pacifico
La Cina ha due obiettivi principali dalla regione: uno diplomatico e uno strategico. Diplomaticamente, ha bisogno del sostegno elettorale delle isole del Pacifico alle Nazioni Unite. L’incidenza del voto di questi paesi presso l’ONU è esattamente la stessa rispetto a quella di paesi di dimensioni più estese il che comporterebbe un preciso vantaggio politico con uno sforzo di portata decisamente diversa rispetto ad altre nazioni. La Cina ha bisogno del loro sostegno su questioni come Taiwan, Tibet, Xinjiang, Hong Kong, mari della Cina meridionale e orientale e diritti umani. Tuttavia, la battaglia diplomatica Cina-Taiwan è tutt’altro che finita. Nel Pacifico, Palau, Isole Marshall, Tuvalu e Nauru riconoscono ancora Taiwan.
Strategicamente, la Cina vede le isole del Pacifico come l’obiettivo della ” cooperazione Sud-Sud “, ovvero partenariati tra paesi in via di sviluppo.[15]
I due obiettivi sopracitati sono la conseguenza della sfiducia della Cina nei confronti dei paesi sviluppati che si è profondamente radicata e persiste sin dalla fondazione del regime comunista nel 1949. Per ridurre la pressione strategica dei paesi sviluppati, la Cina si sforza di stringere stretti legami con il mondo in via di sviluppo.[16] Infatti, a lungo termine, le isole del Pacifico hanno sviluppato un grande significato dal punto di vista securitario per la Cina. L’Esercito popolare di liberazione cinese, in particolare la marina, ha mirato a spezzare le ” catene insulari “, ovvero una serie di basi militari su isole vicino alla Cina e nel Pacifico che, secondo Pechino, gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno usando per accerchiare Cina. Non c’è da stupirsi, quindi, che l’esercito cinese sia desideroso di prendere piede nel Pacifico a lungo termine: questo sarebbe cruciale se la concorrenza tra Cina e Stati Uniti si deteriorasse in rivalità e persino in un conflitto militare.
Ciò, porta a comprendere l’allarmismo degli Stati Uniti ed i suoi alleati, in seguito al patto di sicurezza tra Cina e Isole Salomone.[17]
Conclusioni
Al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati, la Cina ha lavorato e sta attualmente lavorando duramente per promuovere un rapporto più stretto con le isole del Pacifico.
Attraverso le strategie di “soft power”, infatti, sta gradualmente prendendo piede nelle isole del Pacifico, in particolare nelle Isole Salomone come conseguenza del recente accordo. Questa strategia della Cina, consiste nell’evidenziare il suo rispetto per le isole del Pacifico come partner alla pari, e di far conoscere le opportunità economiche che risconterebbero le isole del Pacifico nell’entrare nell’enorme mercato cinese, assieme ai vantaggi ed aiuti economici cinesi per la regione.
Questa continua competizione sta Stati Uniti e Cina porta ad un aumento della tensione tra i due paesi, che puntano ad attuare opere di contenimento per evitare o proteggersi da eventuali escalation di una guerra nel Pacifico.
Note
[1] https://www.nbr.org/publication/developing-a-comprehensive-u-s-policy-for-the-pacific-islands/
[2] In termini di geografici, l’Indo-Pacifico deve essere inteso come uno spazio interconnesso tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico. https://thediplomat.com/2019/07/what-is-the-indo-pacific/
[3] The White House, 2022. The INDO- PACIFIC STRATEGY OF THE UNITED STATES. Washington: The White House.
[4] https://www.dni.gov/index.php/newsroom/reports-publications/reports-publications-2022/item/2279-2022-annual-threat-assessment-of-the-u-s-intelligence-community
[5] Office of the Director of National Intelligence, 2022. Annual Threat Assessment of the U.S. Intelligence Community.
[6] https://twitter.com/USAsiaPacific/status/1357787757981151232
[7] https://www.usip.org/publications/2022/07/chinas-search-permanent-military-presence-pacific-islands
[8] https://www.limesonline.com/lascesa-non-solo-pacifica-della-marina-cinese/65951
[9] https://foreignpolicy.com/2022/07/14/pacific-islands-us-china-biden-harris-fiji-solomon-kiribati/
[10] https://www.usip.org/publications/2022/07/chinas-search-permanent-military-presence-pacific-islands
[11] https://www.theguardian.com/world/2022/jul/14/solomon-islands-pm-rules-out-chinese-military-base-china-australia-security-partner-manasseh-sogavare
[12] https://www.washingtontimes.com/news/2022/jul/15/china-wants-control-pacific-islands-drive-global-c/
[13] https://foreignpolicy.com/2022/07/14/pacific-islands-us-china-biden-harris-fiji-solomon-kiribati/
[14] https://foreignpolicy.com/2022/07/14/pacific-islands-us-china-biden-harris-fiji-solomon-kiribati/
[15] https://theconversation.com/what-does-china-want-in-the-pacific-diplomatic-allies-and-strategic-footholds-184147
[16] Lieberthal, K. and Jisi, W., 2022. Addressing U.S.-China Strategic Distrust. John L. Thornton China Center Monograph Series. Washington D.C.: Brookings.
[17] Erickson, A., & Wuthnow, J. (2016). Barriers, Springboards and Benchmarks: China Conceptualizes the Pacific “Island Chains”. The China Quarterly, 225, 1-22. doi:10.1017/S0305741016000011
Foto copertina: Front to back; HNLMS Evertsen, JS Izumo, HMS Defender, HMS Queen Elizabeth, HMCS Winnipeg, JS Ise, RFA Tidespring. UK Royal Navy Carrier Strike Group 21 HMS Queen Elizabeth, HMS Defender, RFA Tidespring and HNLMS Evertsen from CSG21 sails with Japanese ships JS Izumo and JS Ise along with the Canadian ship HMCS Winnipeg in the Pacific Ocean, Sept. 2021. With increasingly strong talk in support of Taiwan, a new deal to supply Australia with nuclear submarines, and the launch of a European strategy for greater engagement in the Indo-Pacific, the U.S. and its allies are becoming growingly assertive in their approach toward a rising China. (UK Ministry of Defence via AP)