Dialogo con il reporter Fabio Polese sulla sanguinosa guerra civile che da anni sconvolge il Myanmar.
Le origini del conflitto
La storia della guerra civile in Myanmar vanta, purtroppo, radici profonde nella storia. Una storia d’indipendenza dal dominio inglese, concretizzatasi nel 1948, caratterizzata dall’alternanza di giunte militari al potere e profonde divisioni interne al paese[1]. Difatti, i conflitti interni post-indipendenza tra fazioni continuarono sino al 1962 quando il governo del Primo ministro U Nu (noto anche come Thakin Nu) cessò per via di un colpo di stato militare guidato dal generale Ne Win. In Myanmar venne così istituito uno stato monopartitico guidato dal Partito del Programma Socialista[2]. Anche a questo colpo di stato seguì un aftermath di malcontento e violenze con le forze di opposizione che culminò nel 1988, quando più di 3000 persone vennero uccise durante proteste antigovernative. Allo scopo di eliminare ogni dissenso interno al Governo, nel 1988 venne creato lo State Law and Order Restoration Council (SLORC). Il Consiglio statale per la pace e lo sviluppo non riconobbe l’esito delle elezioni del 1990 e decretò l’arresto di Aung San Suu Kyi leader del partito di opposizione National League for Democracy (NLD)[3] che aveva vinto con un’ampia maggioranza di voti. Continui scontri e cessate il fuoco si sarebbero poi susseguiti tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila mentre il Myanmar cercava una sua posizione all’interno del panorama internazionale (ad esempio entrando a far parte dell’organizzazione regionale ASEAN nel 1997). Nel 2021, poi, il conflitto nel paese ha visto una vera e propria escalation con un nuovo colpo di Stato, e la situazione drammatica del paese ha avuto risalto e attenzione a livello internazionale (da parte delle Nazioni Unite e altri attori come Unione Europea, Stati Uniti, Regno Unito e altri[4]) in particolare per la questione della persecuzione violenta della minoranza musulmana dei Rohingya con gravi violazioni dei diritti umani segnalate già a partire dal 2017[5]. La guerra civile in Myanmar è considerabile la più lunga guerra civile della storia, non essendosi mai davvero arrestata ma nonostante questo sembrerebbe essere passata in “secondo piano” per i riflettori mediatici del mondo internazionale. Per fare un po’ di luce su questa complessa e spinosa guerra abbiamo parlato con chi ha toccato con mano e visto con i propri occhi la realtà del Myanmar oggi, Fabio Polese, giornalista e fotoreporter freelance di base in Thailandia. Autore di diversi libri, l’ultimo dei quali, BORDERLINE Storie dai confini del mondo (Eclettica Edizioni, acquista qui) porta i lettori tra le strade inesplorate della Thailandia a bordo di pick-up scassati o dentro a vecchie Mercedes con i miliziani palestinesi nel sud del Libano. Nella giungla della Birmania Orientale al seguito della guerriglia Karen, o con i ribelli musulmani nell’isola filippina di Mindanao insieme a moltissime altre storie da tutto il mondo che ha visto e documentato nei suoi viaggi.
Leggi anche:
L’intervista a Fabio Polese fotoreporter in Myanmar
Fabio Polese, in veste di fotoreporter sul campo hai potuto toccare con mano alcune guerre civili e di indipendenza sanguinose, come quella in Myanmar, nel sudest asiatico. Credi che questo sia uno dei tanti conflitti dimenticati?
La guerra in Myanmar, che si è intensificata dopo il colpo di Stato del primo febbraio 2021, è sicuramente un conflitto dimenticato. Le varie etnie che compongono il complesso mosaico birmano lottano da oltre 70 anni contro il governo centrale, spesso nell’indifferenza dei media. Ora, però, lo scenario è cambiato e gradualmente il mondo sta iniziando a prestare attenzione a ciò che sta accadendo in Birmania. Da quando il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate del Myanmar, ha preso il potere, gran parte della popolazione si è unita in un fronte comune con l’obiettivo di rovesciare la giunta e ottenere uno Stato federale. Il golpe ha incredibilmente unito la maggioranza etnica dei Bamar, quella dei militari, con le altre minoranze presenti sul territorio nazionale. E le vittorie sul campo degli ultimi mesi, con le varie forze di resistenza che stanno conquistando avamposti e città strategiche, potrebbero presto cambiare le sorti del Paese.
Passando del tempo sulla linea del fronte ma parlando anche con la gente e vivendo la quotidianità di quei luoghi, hai avuto modo di notare influenze politiche esterne?
Ovviamente in ogni guerra ci sono degli interessi e, di conseguenza, le influenze esterne decise nei grandi salotti. Ma tutto questo è spesso invisibile al fronte, dove la priorità è sopravvivere giorno per giorno. Quando sei in prima linea, tra la popolazione in una situazione di crisi o in un campo profughi, non si parla certo di “geopolitica”…
Guerre o guerriglie? Come si svolgono questi conflitti e quali sono le chiavi ricercate per la “vittoria” dalle parti in lotta?
Sto finendo di scrivere un libro proprio sulla guerriglia, in cui analizzo questo fenomeno, delineo le linee guida dei principali gruppi armati di ieri e di oggi, racconto grandi personaggi e metto in ordine qualche appunto preso in questi anni di reportage fatti in giro per il mondo. Ma tornando alla domanda, direi che la guerriglia, a differenza della guerra convenzionale, è un mosaico di tattiche e strategie, spesso intrecciate alla lotta per la sopravvivenza, la giustizia e anche un ideale.
Nasce come una forma di resistenza tenace e spesso imprevedibile, un gioco di astuzia e coraggio, dove il più piccolo può sfidare e persino vincere contro il più grande. Questo è avvenuto decine di volte. In Asia, nel XIV secolo, i Samurai giapponesi si ribellarono contro lo shogunato Kamakura, utilizzando tattiche di guerriglia per compensare la loro inferiorità numerica. Questi guerrieri, abili e determinati, dimostrarono come anche una forza piccola ma ben addestrata potesse sfidare un potere molto più grande. Nelle Americhe, prima dell’arrivo degli europei, tribù indigene come gli Apache utilizzavano tattiche di guerriglia contro nemici più numerosi, sfruttando la loro conoscenza del territorio.
Più di recente, nella lotta per l’indipendenza in America Latina, figure come Simón Bolívar e José de San Martín hanno impiegato la guerriglia come strumento chiave nelle loro campagne per liberare il Sud America dal dominio spagnolo all’inizio del XIX secolo.
Un altro esempio significativo è stato l’eterno conflitto in Afghanistan, iniziato con la guerriglia antisovietica di Massoud che anticipò quella contro l’Occidente e gli USA nel 2001, quando le forze statunitensi e della NATO si sono confrontate con i Talebani, che, simili ai Viet Cong, hanno adottato tattiche di guerriglia, tra cui imboscate e attacchi a sorpresa, sfruttando il sostegno della popolazione locale. E oggi, nel Myanmar, guerriglieri in infradito che scavano trincee nel fango e combattono con vecchi fucili stanno affrontando un esercito regolare che dal cielo sgancia bombe da 500 kg. Nonostante questo, come dicevo, il conflitto sta prendendo una piega diversa.
Si parla della guerra che è tornata in Europa e del Medio Oriente che è tornato ad infiammarsi ma credi che il sudest asiatico possa diventare il nuovo “epicentro” di instabilità e giochi di potere dello scacchiere internazionale nel prossimo futuro?
La regione è già da tempo un crocevia di interessi geopolitici ed economici significativi, dovuti alle sue ricche risorse naturali e alla sua posizione strategica tra l’Oceano Indiano e il Pacifico. Nazioni come la Cina, l’India, il Giappone, l’Australia, gli Stati Uniti e anche l’Europa hanno forti interessi nel Sud-est asiatico. Le crisi interne e transnazionali, dai conflitti territoriali nel Mar Cinese Meridionale alla guerra civile in Myanmar, ma anche il cambiamento climatico, combinate con la crescente rivalità tra grandi potenze, potrebbero intensificare le tensioni esistenti e generare nuove dinamiche in futuro.
Qual è l’esperienza che ti ha segnato di più?
Ogni reportage è un’esperienza che porterò nel bene e nel male dentro di me per il resto della mia vita…
Note
[1] L. Maizland, Myanmar’s Troubled History: Coups, Military Rule, and Ethnic Conflict, ECFR, 31 gennaio 2022. In: https://www.cfr.org/backgrounder/myanmar-history-coup-military-rule-ethnic-conflict-rohingya
[2] IRIN, Myanmar: Timeline post-independence, 29 March 2012, available at: https://www.refworld.org/docid/4f7990092.html
[3] Ibidem.
[4] «Three years ago, on 1 February 2021, the Myanmar military overthrew the democratically elected government, undoing a decade of progress. Under the military regime, violence against civilians has escalated, with thousands jailed, tortured and killed. Airstrikes, shelling and arson have been used to destroy civilian infrastructure, including homes, schools, healthcare facilities and places of worship. Systematic discrimination against members of religious and ethnic groups, including Rohingya, is rife.» US Department of State, Joint Statement Marking Three Years Since the Military Coup in Myanmar, JANUARY 31, 2024. In: https://www.state.gov/joint-statement-marking-three-years-since-the-military-coup-in-myanmar/
[5] United Nations Human Rights, Office of the High Commissioner, Mission report of OHCHR rapid response mission to Cox’s Bazar, Bangladesh, 13-24 September 2017. In: https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Countries/MM/CXBMissionSummaryFindingsOctober2017.pdf
Foto copertina: La leader del Myanmar Aung San Suu Kyi