L’incapacità del Parlamento a convergere su di una valida alternativa e di non ricorrere alla rielezione del Presidente Mattarella che da molti mesi aveva espresso la volontà di non essere rieletto, ha evidenziato tutte le difficoltà di una classe politiche ormai etichettata come “inadeguata”
Ci sono voluti otto scrutini per ritornare al punto di partenza. La rielezione del Presidente Mattarella a Capo di Stato ha per certi versi sottolineato l’incapacità del Parlamento e quindi in generale della classe politica, di trovare una soluzione condivisa, una convergenza nell’individuare una figura di alto profilo da eleggere come Presidente della Repubblica senza obbligare, di fatto, Mattarella a restare dopo che negli ultimi mesi aveva più volte espresso la volontà di volerne restare fuori.
E’ stata sicuramene un’elezione particolare, legata a doppio filo con le sorti dell’esecutivo, e l’impasse alla quale abbiamo assistito è stata dettata sicuramente anche dal rischio di dover affrontare uno scenario di Governo diverso. Il 2022 sarà un anno importante per l’Italia, ma il tempo stringe, la crisi sanitaria e l’attuazione del Pnrr rendono assolutamente urgente l’azione dell’esecutivo. Saranno un anno di transizione che ci porterà alle elezioni del 2023. Il problema sta proprio qui, la classe politica ha mostrato tutte le sue debolezze, è parsa per certi versi inadeguata. Una crisi dei partiti e dei loro leader incapaci di “controllare” o meglio indirizzare i propri eletti e soprattutto di disegnare percorsi logici e coerenti che potessero portare a eleggere nomi autorevoli e condivisi, anzi al contrario dovremmo ringraziare proprio loro, “la base” per aver alla fine indicato ai rispettivi leader che era rifugiarsi nel Presidente Mattarella.
Sia chiaro non si discute la figura del Presidente, ma è chiaro che abbiamo assistito ad una forzatura della Costituzione, perché la forma repubblicana implica la “durata temporanea”. C’era un alternativa a Mattarella? Forse una Mario Draghi.
Era l’unica percorribile. Una figura, quella di Draghi, che non potevamo correre il rischio di perdere.
Nel 2023 ci saranno le elezioni. Mario Draghi non è un politico di partito, difficilmente l’avremmo visto a capo di una coalizione politica e superare il battesimo delle urne e quindi c’erano solo due modi per tenerlo ancora all’interno delle istituzioni: o con l’elezione di Draghi a Presidente della Repubblica, ipotesi affondata per due ragioni: la tenace contrarietà di Giuseppe Conte con le perplessità trasversali all’interno di Lega e Forza Italia e l’assenza di un accordo su composizione ed equilibrio del prossimo governo, o con il Mattarella-Bis.
Allora abbiamo assistito a diversi tentativi da parte di leader politici naufragati miseramente, candidature che si sapeva già a priori non potessero andare in porto: dalla Casellati, seconda carica dello Stato, alla Belloni capo dei servizi segreti. L’aspetto che forse più di tutti rende incredibile, nel senso di non-credibile, la classe politica è la totale incapacità di assumersi la responsabilità dei fallimenti o degli errori. Ciò non avviene mai è l’ammettere le sconfitte. Si cerca sempre un aspetto positivo, anche il più influente, anche il meno utile per poterne uscire “almeno in parte” vincenti. Ed è un atteggiamento francamente irritante. Sicuramente all’interno dei partiti maggiormente usciti con le ossa rotte si arriverà ad una resa dei conti: lo sta già facendo il Movimento 5 Stelle, lo farà la Lega e più in generale l’intero centro-destra. Situazioni e scontri che sono vissuti con distacco dagli italiani, stanchi di non riconoscersi più nei leader e soprattutto nei partiti, ma di riconoscersi nella figura del Presidente della Repubblica. C’è bisogno di una rapida inversione di marcia, una manovra capace di ridurre le distanze tra base e partiti, di far crescere la fiducia dei cittadini nei confronti di chi è chiamato a scelte importanti e coraggiose in questo 20220 appena iniziato. Allora lanciamo l’appello AAA cercasi classe politica.