Attualità internazionale: intervista a Germano Dottori


L’attualità internazionale ci offre tanti spunti di riflessione: dal recente attentato a Barcellona alla crisi Usa-Nord Corea passando per la guerra in Siria , dai rapporti tra Stati Uniti e Russia, dal  possibile referendum in Kurdistan alla partita Italia/Francia in Libia, dal tema “migranti” alla nomina del nuovo ambasciatore italiano al Cairo. Ad offrirci un punto di vista differente è Germano Dottori, docente di Studi strategici presso la Luiss-Guido Carli di Roma. Consigliere scientifico di Limes, autore di La NATO dopo l’11 settembre. Stati Uniti ed Europa nell’epoca del terrorismo globale. (Collana: CeMiSS 2004, Rubbettino Editore).

 


L’Isis torna a colpire l’Europa, stavolta tocca ad alla Spagna. Le sue considerazioni.
Speriamo presto di saperne di più, perché la postura internazionale della Spagna non giustifica le dimensioni dell’attacco che si voleva portare a termine e che se fosse riuscito avrebbe potuto comportare un bilancio molto più grave. La mia impressione è che possa trattarsi di un riflesso del duello ingaggiato da Sauditi e Qatar per il dominio della penisola arabica. Singolare coincidenza, proprio la sera dell’attentato, il re saudita Salman incontrava in Marocco, dove stava trascorrendo le sue vacanze, un potente rivale dell’Emiro Tamim al Thani che regna a Doha. In precedenza, era stato sventato un attacco ad un volo di Emirates in Australia. Questo scontro potrebbe coinvolgere molti paesi apparentemente estranei alla contesa.

La crescita di natalità in Africa ci porta a pensare che il flusso di migranti verso l’Italia e quindi verso l’Europa è destinato ad aumentare nei prossimi decenni. Crede che si tratti davvero di una emergenza? E quale dovrebbe essere la risposta degli Stati europei?
Più che un’emergenza, è una sfida sull’esito della quale si gioca il futuro dell’Europa, che non potrà mai assorbire flussi di centinaia di milioni di persone senza uscirne stravolta. Penso che si dovrà gradualmente arrivare ad una chiusura quasi ermetica, alla quale sarà funzionale anche il mantenimento di apparati militari forti e credibili. Dovremo adottare la strategia di Bisanzio: mura e fuoco greco, vale a dire barriere e superiorità tecnologica delle nostre armi. Non abbiamo scelta.

Una sua valutazione sul primo semestre di presidenza Trump in riferimento alla politica estera
Necessariamente sospesa, perché a Trump è stato impedito di portare avanti il progetto strategico di riconciliazione con la Russia, elemento essenziale della sua politica di contenimento doppio di Germania e Cina, nonché precondizione della riduzione degli impegni militari all’estero. Vedremo adesso, che Bannon è uscito dalla Casa Bianca e Trump è circondato da generali che poco credono al primato clausewitziano della ragion di stato sulla ragion militare, cosa ne sarà del neo-isolazionismo che ci è stato promesso, insieme al rispetto degli interessi nazionali legittimi di ogni Stato. Mattis vuole armare Kiev. In Afghanistan, mi pare che Trump stia già pagando dazio, autorizzando l’invio di rinforzi militari quando si sa che lui avrebbe preferito rimettere tutto ai contractors. Onestamente, non è una buona notizia. Speriamo che il Presidente riesca egualmente ad imporre la sua agenda.

Quali sono gli attuali rapporti tra Usa- Russia
Trump ha tentato nei mesi scorsi di mascherare il suo interesse a stringere un accordo di sistema con la Russia operando alcune mosse di alto impatto mediatico, come il bombardamento simbolico della pista aerea siriana effettuato dopo l’attacco chimico che il Presidente Assad era stato accusato di aver autorizzato contro obiettivi civili nel suo paese. Da allora, ogni apertura concreta al dialogo è stata preceduta da irrigidimenti formali tesi ad ammorbidire l’opposizione interna americana. L’interesse, però, c’è. E’ concreto. E Trump lo ha dimostrato anche al G20 di Amburgo. Con l’uscita di scena di Bannon, anche questo indirizzo è però da verificare. Il Pentagono non vuole la distensione con Mosca, non almeno nei termini immaginati da Trump.

Usa-Corea del Nord: Secondo Lei fin dove si potrà spingere Kim Jong-un prima che gli Stati Uniti possano davvero pensare ad un attacco. E se si verificasse tale ipotesi, quali potrebbero essere le conseguenze per la stabilità del Pacifico?
Recentemente, la mia Cattedra alla Luiss ha presentato in sessione di laurea una tesi piuttosto interessante al riguardo. Secondo la candidata che l’ha brillantemente difesa, Kim sarebbe costretto a far progredire i programmi militari in campo balistico e nucleare dai suoi generali, il cui consenso è da decenni la vera base su cui poggia il regime nord-coreano. Kim, da calcolatore perfettamente razionale quale è, sarebbe ovviamente anche consapevole di non poter sostenere una guerra contro gli Stati Uniti. Per questo, condurrebbe abilmente dei test cui farebbe sistematicamente seguire delle aperture. Difficile quindi che si arrivi ad uno scontro, anche se ho il sospetto che qualcuno al Pentagono ci pensi. Bannon è stato molto chiaro, su questo punto, anche se sulla stampa americana sono affiorate ricostruzioni differenti.

In Libia si sta riproponendo una partita tra Italia e la Francia. Macron lo scorso luglio ha ricevuto il presidente libico Fayez Serraj e il generale Khalifa Haftar per un tentativo di riconciliazione, l’Italia non è stata invitata. Dopo Gheddafi non c’è più spazio perle nostre attività a Tripoli? Le sue considerazioni in merito.
Macron si è mosso dopo aver incontrato Putin e soprattutto aver invitato Trump a Parigi. Il Presidente francese ha cercato di trarre vantaggio dall’interesse del collega americano a contenere la Germania ed avversare al tempo stesso l’Islam Politico. Tutto ciò pone naturalmente in difficoltà l’Italia, che si è schierata con Berlino e sostiene in Libia la Fratellanza Musulmana.
Trump ha inevitabilmente perso interesse ad arginare l’espansione francese nel Mediterraneo, uno dei fattori di cui Parigi si serve per compensare la propria inferiorità nei confronti della Germania. Sono persuaso che prima o poi gli Stati Uniti espliciteranno una nuova politica libica, molto favorevole agli interessi francesi, russi ed egiziani. È anche per questo motivo che abbiamo deciso di rinviare il nostro ambasciatore al Cairo: dobbiamo ridurre i danni. La nostra posizione è difficile. E l’ha enormemente complicata la difficoltà del nostro Governo attuale ad accettare l’idea di collaborare con Trump che, pensate, lo scorso 2 giugno aveva anche organizzato una festa alla Casa Bianca in onore della Repubblica Italiana. Un gesto senza precedenti.

Sempre sulla Libia ormai appare divisa di fronte alla missione navale italiana in acque libiche per il controllo dell’immigrazione. Il governo di Tripoli di Sarraj, riconosciuto internazionalmente, approva l’iniziativa. Invece, secondo l’esecutivo di Tobruk, si tratta di un’evidente lesione della sovranità libica. Il capo del governo della Cirenaica si appella a Onu, Unione Europea, Unione Africana e Lega Araba, per fermare le navi italiane. La sue considerazioni.
Non credo che Haftar ed il Cairo facciano sul serio, sanno bene che anche Macron e Trump sono favorevoli a qualsiasi misura attenui i flussi migratori che dalla Libia raggiungono l’Italia e l’Europa. A Tobruk forse non piace che il nostro paese stia aiutando la Guardia Costiera libica a pattugliare la zona che gli accordi di Amburgo del 1979 affidarono alla sua responsabilità dal punto di vista della ricerca e del soccorso dei naufraghi.
Ma per noi è di decisiva importanza, perché le motovedette libiche allontanano le navi umanitarie delle Ong e riportano nei porti della Libia i migranti raccolti in mare. E poi, per il momento, il riconoscimento internazionale lo ha il Governo di Accordo Nazionale, che è quello che ci ha invitato ad intervenire.

Crede che la decisione della nomina dell’Ambasciatore Giampaolo Cantini  in Egitto dopo che, l’8 aprile 2016, l’allora Capo Missione Maurizio Massari venne richiamato a Roma per consultazioni, possa considerato un affronto alla memoria del ricercatore Giulio Regeni ucciso in circostanze ancora non chiarite nel febbraio del 2016,oppure lo Stato deve salvaguardare i propri interessi, nel caso egiziano il pattugliamento delle coste e i rapporti energetici, al di là di tutti i discorsi sui diritti umani?
Regeni è stato vittima di un crimine politico che recava un messaggio ed un avvertimento al nostro Governo, agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna: l’Egitto di al Sisi, ostile all’Islam Politico, non accettava l’appoggio dato in Libia da Washington, Londra e Roma ad un Governo di Accordo Nazionale partecipato dalla Fratellanza Musulmana.
Con Obama alla Casa Bianca, avevamo potuto fare la voce grossa, ottenendo che l’Egitto considerasse di offrirci come capro espiatorio un pezzo grosso dei suoi servizi di sicurezza. Ma non ci è bastato e non abbiamo portato a casa nulla. Forse pretendevamo la testa del Presidente egiziano o poco meno, come se avessimo a che fare con un paese di terz’ordine, e senza tener conto degli effetti politici generali delle nostre richieste di giustizia.
Nel frattempo, la situazione è cambiata. Alla Casa Bianca adesso c’è Trump, che considera Sisi un pilastro dell’ordine regionale e ha stretto anche una solida intesa sulla Libia con la Francia di Macron, quella che agli egiziani ha venduto le portaelicotteri Mistral e tanta altra roba. In queste condizioni, dobbiamo salvare il salvabile.
Con Trump, Gentiloni si è mosso male. L’Italia potrebbe però rientrare in gioco qualora, in seguito all’uscita di Bannon dall’amministrazione, gli Stati Uniti tornassero ad esercitare pressioni sull’Egitto, contestando ad al Sisi la repressione dei diritti umani in atto nel suo paese.

Sempre sul “caso Regeni”: citando il titolo dell’articolo del New York Times: “perché uno studente italiano è stato torturato e ucciso in Egitto? Che idea si è fatto di tutta la vicenda?”

Ho in parte già risposto. Aggiungo solo che il pezzo del New York Times è proprio un evidente attacco a Trump, cui indirettamente si imputa la volontà di stringere una partnership strategica con un regime che si è macchiato di un delitto tanto odioso. Ma per il Presidente americano attuale Sisi è un alleato imprescindibile nella lotta all’Islam Politico. Comunque, Regeni non venne solo rapito, torturato ed ucciso: se ne fece trovare il corpo martoriato mentre al Cairo era in visita una missione ufficiale italiana guidata da un Ministro: difficile veicolare un messaggio ostile in modo più brutale. In nome della ragion di Stato fingemmo di credere che potesse trattarsi di un errore imputabile allo zelo criminale di qualche subalterno, perdendo di vista la valenza politica dell’assassinio. Poco tempo dopo, Sisi esplicitò allora il suo pensiero in una intervista concessa a La Stampa e a Repubblica: “italiani”, intimò, “state fuori dalla Libia”. Come altro doveva dircelo?

Veniamo al Medio Oriente: con l’Isis ormai quasi eliminato, si inizia al pensare al futuro con una Siria ancora unita con Bashar Assad al potere?
Mi stupirebbe non poco. Io credo che la Siria sarà in qualche modo ristrutturata su basi federali o confederali. Assad rimarrà al timone della zona che le sue truppe, quelle dell’Hezbollah e l’aviazione russa avranno posto sotto il suo controllo.

La Turchia ha minacciato ritorsioni nel caso la regione autonoma del Kurdistan iracheno decidesse di tenere l’annunciato referendum per l’indipendenza previsto per il prossimo 25 settembre, anche gli Stati Uniti ne hanno ufficialmente chiesto il rinvio. Il Kurdistan è una polveriera pronta ad esplodere?
Anche l’Italia, se è per questo, ha chiesto ai curdi iracheni di soprassedere. Di Kurdistan, comunque, in potenza ce ne sarebbe più di uno, proprio come in Europa abbiamo due Stati albanesi e due Stati rumeni, visto che il Rojava non pare avere alcuna intenzione di federarsi alla regione autonoma curda sorta in Iraq. Mi sembra comunque che rispetto a qualche mese fa sia subentrata una certa prudenza, tanto tra i curdi siriani quanto tra quelli iracheni. Rappresenta inoltre una novità interessante lo strappo tra Erdogan ed il suo vecchio cliente Barzani.