Affermatosi tra gli anni ’80 e ’90 sia nei paesi a maggioranza islamica che nei paesi della diaspora, il femminismo islamico diffonde l’idea che i testi sacri dell’Islam affermino un’assoluta eguaglianza tra uomini e donne. Renata Pepicelli dell’Università di Bologna, delinea i punti salienti del fenomeno nel libro “Il Femminismo Islamico. Corano, Diritti, Riforme” fornendo preziosi spunti di riflessione.
Negli ultimi anni si assiste alla diffusione di un fenomeno – non nuovo – nel mondo arabo, spesso identificato come “primavera araba femminile[1]” o “primavera rosa”: un movimento composto da donne musulmane che intendono rivendicare la propria affermazione nella società al pari degli uomini.
Il femminismo era già presente nel mondo islamico nel XIX secolo, quando la segregazione della donna era considerata un fattore di prestigio sociale, sintomatico della possibilità economica di non farla lavorare. A questo si aggiungeva un livello d’istruzione molto basso che accomunava tutto il mondo femminile islamico.
Il femminismo islamico si presenta come un movimento che intende proporre nuove interpretazioni dei testi sacri ponendo l’attenzione sulle donne e sul loro ruolo nella società e nella famiglia.
Attraverso questa rilettura di genere del Corano, le femministe islamiche – formate teologicamente nelle migliori università – rivendicano diritti quali: ricoprire il ruolo di mufti[2], riformare codici e leggi che impongono alle donne una condizione d’inferiorità.
Proprio grazie alle battaglie su questi due temi, in Marocco, nel 2006, sono state istituite le murchidates, donne che istruiscono altre donne sui propri diritti ed è stato riformato il codice della famiglia al fine di garantire alle donne maggiori diritti come la poligamia limitata, l’innalzamento dell’età matrimoniale a 18 anni, il diritto di custodia dei figli in caso di divorzio[3].
Proprio in Marocco ha operato l’attivista Fatima Mernissi che negli anni ’80 ha pubblicato il libro “Le donne del Profeta” nel quale racconta quanto le donne siano state caratterizzanti per la storia islamica: una su tutte è Aisha, la sposa più amata dal Profeta che – dopo la morte di suo marito – avrebbe guidato un esercito contro il quarto califfo, dimostrando quanto le donne abbiano ricoperto ruoli importanti nella storia dell’Islam.
Anche molte figure maschili hanno sostenuto l’emancipazione del ruolo della donna; tra questi, Muhammad Abduh[4] e Qasim Amin[5], secondo i quali il processo di modernizzazione nazionale non poteva avviarsi senza un programma di emancipazione femminile. Nel libro “Tahrir al-mar’a” – considerato da molti il primo testo femminista – Qasim Amin fa riferimento alla necessità di istruire le donne, di farle partecipare alla vita politica e di alleggerire la shar’ia e le leggi che regolavano l’uso del velo, tutto dentro una cornice islamica.
“Al-Fata” (La ragazza) è la prima rivista femminista della storia dell’Islam. Fondata ad Alessandria d’Egitto nel 1892 da Hind Nawfal, la testata invitava le donne del movimento ad unirsi alla causa nazionalista di liberazione dell’Egitto dall’occupazione inglese. Durante il corteo di liberazione del 16 marzo 1919, che vide una massiccia partecipazione femminile, perse la vita Hamida Khali, colpita da un proiettile inglese, diventando così la prima martire del movimento di lotta femminista egiziano, le cui esponenti – in occasione del quarto anniversario della sua morte – fondarono l’UFE (Unione femminista egiziana, 1923), che si proponeva di conciliare il nazionalismo con il modernismo islamico ed il movimento panarabista[6].
Capostipite del femminismo laico in Egitto è Nawal al-Sa’dawi[7], sostenitrice dell’emancipazione delle donne quale elemento indispensabile per la lotta al capitalismo.
A tal proposito è fondamentale porre l’accento sul rifiuto di molte attiviste e teologhe di definirsi “femministe islamiche”. Come spiega Renata Pepicelli, per antonomasia il femminismo è associato alla storia delle donne occidentali, per il cui orizzonte liberatorio le religioni non sono contemplate. Il femminismo islamico, al contrario, agisce quasi esclusivamente nella cornice religiosa e rifiuta l’idea occidentale che la liberazione debba adottare necessariamente codici di abbigliamento definiti; ad esempio molte femministe islamiche non considerano il velo come simbolo di oppressione o sottomissione, ma come simbolo identitario e culturale.
Il femminismo islamico si è rafforzato dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre e, grazie all’utilizzo della rete, ha oltrepassato i confini locali, introducendo le sue battaglie in un quadro globale di lotta per i diritti delle donne in nome dell’Islam. L’uso della “rete” ha permesso a donne molto lontane geograficamente di confrontarsi ed agire insieme. Esempio di questo tipo di attivismo sono l’associazione palestinese Nisaawa A’faq (donne e orizzonti), la WLUML (Women living under MuslimLaw[8]), la GIERFI (Group international d’ètudes et de rèflexionsur femmes et Islam[9]), e la WISE (Women’sIslamic Initiative in Spirituality and Equality[10]), il cui materiale prodotto circola liberamente sul web spesso scritto in lingua inglese. Questa scelta linguistica rispecchia il bisogno diffondere l’ideologia del femminismo islamico a tutte le componenti della ‘umma residenti in varie parti del mondo.
Il femminismo si basa su due operazioni: la reinterpretazione del Corano e la rilettura critica della Sunna e degli hadith. Il movimento femminista islamico professa oggi la libertà di ogni individuo dell’interpretazione personale dei testi, proibita intorno al X-XI secolo.
Pratica diffusa dalle attiviste è anche la realizzazione di corsi di formazione e autoformazione tenuti da teologhe per giovani militanti. In quest’attività si distingue l’associazione Sisters in Islam[11] il cui obiettivo è proprio il ritorno ai testi sacri per una corretta interpretazione.
Dissimile – sempre secondo Renata Pepicelli- è la figura delle islamiste. Ciò che differenzia le islamiste dalle femministe islamiche è il porre al centro dei loro programmi non le relazioni di genere, ma la creazione di società rette da principi islamici e basate sulla famiglia, visto come il principale luogo in cui la donna può vedere affermati e valorizzati i suoi diritti. Più che l’uguaglianza, le islamiste chiedono equità di trattamento. Anche riguardo al velo la loro posizione è differente: le islamiste indossano l’hijab non in segno di sottomissione all’uomo, ma a Dio.
Infine, la donna che oggi sta rappresentando il femminismo islamico è Sherin Khankan, diventata una delle rare Imamah donne. Nata da madre finlandese e da padre siriano, Sherin è sociologa delle religioni laureata a Damasco ed oggi opera nella moschea Mariam a Copenaghen: tra i suoi obiettivi c’è la diffusione di un Islam liberale che possa trovare punti d’incontro con i valori occidentali.
Nella moschea Mariam, Sherin guida la preghiera del venerdì e intraprende percorsi spirituali – rivolti a chiunque intenda avvicinarsi all’Islam – che superano le correnti integraliste del wahabismo e del salafismo[12]. Nonostante i numerosi attacchi, Sherin non è la sola a condurre questa lotta, in altre grandi città europee, come Barcellona (Moschea liberale Ibn Rushd-Goethe), Londra (Inclusive Mosque Initiative), Berlino (attivista Seyran Ates[13]) e Zurigo (Elham Manea), ci sono donne che si impegnano quotidianamente per diffondere una visione liberale dell’Islam e combattere ogni forma di islamofobia.
Note
[1]Articolo di Luca Attanasio “La primavera araba dipende dalle donne” pubblicato su Limesonline, rivista italiana di geopolitica il 26/03/2013, disponibile al link:http://www.limesonline.com/la-primavera-araba-dipende-dalle-donne/43760
[2]Nei paesi musulmani, rappresenta il giureconsulto autorizzato a emettere decisioni in materia giuridica e anche teologica.
[3] R.Pepicelli, Il Femminismo Islamico. Corano, Diritti, Riforme. Carrocci Editore, 2010
[4]Muhammad ʿAbduh è stato un giurista, filosofo, teologo e mufti egiziano. Fu il fondatore con Jamāl al-Dīn al-Afghānī del Riformismo islamico.
[5] Qasim Amin è stato un giurista, scrittore e intellettuale egiziano; fu uno dei fondatori del movimento nazionalista egiziano, dell’Università del Cairo, tra i propugnatori del riformismo islamico e viene considerato il primo a proporre la questione femminista nel mondo arabo.
[6]Movimento politico e ideologico il cui scopo principale è la rivendicazione mondiale dei popoli arabofoni del nord africani e dell’asia, come soggetto politico autonomo.
[7] Nawāl al-Saʿdāwī è una scrittrice, psichiatra, nonché militante femminista egiziana. Ha scritto numerosi libri sulla condizione della donna dell’Islam, dedicando particolare attenzione alla pratica della mutilazione genitale femminile, ancora presente in alcune parti della società egiziana. Molto nota nei paesi arabi e in molte altre parti del mondo, i suoi romanzi e libri sulla situazione delle donne hanno avuto un profondo effetto sulle generazioni successive di giovani donne nel corso degli ultimi 4 decenni.
[8] http://www.wluml.org
[9] http://gierfi.canalblog.com/
[10] https://www.wisemuslimwomen.org/
[11] http://www.sistersinislam.org.my/
[12]Intervista pubblicata su La Stampa il 02/04/2017 disponibile al link: http://www.lastampa.it/2017/04/02/cultura/la-mia-lotta-per-le-donne-dentro-al-mondo-islamico-ocMV2Scqk9k9VobahpmGHL/pagina.html
[13] Articolo di A.Faiola e S.Kirchner pubblicato su Washington Post’s il 17/06/2017, disponibile al link: https://www.washingtonpost.com/world/europe/in-germany-a-new-feminist-islam-is-hoping-to-make-a-mark/2017/06/16/fc762d00-529c-11e7-b74e-0d2785d3083d_story.html?utm_term=.f79b139b1879
Foto Copertina: Shirin Neshat
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