Gaza: “Se sei una donna o un uomo, l’occupazione non fa differenza” 


Omar Musa giornalista Palestinese di Gaza, sopravvissuto ai recenti scontri con Israele, ci racconta la vita durante la guerra.


 

Con l’espressione “inviato di guerra”, s’intende chi per lavoro racconta le vicende legate alle guerre, alle crisi, ai conflitti che scoppiano nel mondo.
È considerato uno dei lavori più pericolosi, ma allo stesso tempo più affascinanti.
La ricerca della verità, il desiderio di voler raccontare come sono andate davvero le cose, spesso porta il giornalista a spingersi oltre, ad avvicinarsi troppo alle zone calde del conflitto.
Robert Capa, uno dei più grandi fotoreporter di guerra, sintetizzava così quel voler “spingersi oltre”: “Se le vostre foto non sono abbastanza buone, non siete abbastanza vicino.”
A volte però, per raccontare ciò che accade sul campo, non bisogna spostarsi dal proprio paese perché capita, purtroppo, che è la guerra a venire da te. La guerra viene e pretende di essere raccontata, pretende di farsi conoscere al mondo attraverso il dolore, il dramma di chi certe cose non le guarda in tv al notiziario, comodamente sul divano prima di cena, ma le subisce sulla propria pelle.
E se vivi nelle zone colpite, la guerra, la devi raccontare perché ti colpisce, perché è arrivata a casa e perché senti la necessità di far conoscere queste storie al mondo sperando che qualcosa cambi.
E questa è la storia di Omar Musa[1] giornalista Palestinese di Gaza, sopravvissuto ai recenti scontri con Israele, ci racconta la vita durante la guerra.

L’intervista

Caro Omar, innanzitutto come ti senti dopo i violenti scontri a Gaza dello scorso maggio? Cosa significa per te, per il tuo lavoro e per la tua famiglia quello che è successo ? Puoi darci una tua lettura della situazione?
“Non posso descrivere come stavo vivendo la guerra, ma attualmente sono in uno stato di shock, dopo essere sopravvissuto a tutto questo – per giorni di fila sono stato sul punto di essere ucciso. Ho aspettato il momento finale, ma ora sono sopravvissuto, come se fosse così difficile anche solo crederci, credere di essere vivo e che la mia famiglia stia bene. Questa sensazione di sconcerto e di incredulità non la sto provando solo io o la mia famiglia, ma tutti gli abitati di Gaza.
Come giornalista, questa guerra è stata faticosa e spaventosa a tutti i livelli.
Ad esempio, come giornalista devo seguire le notizie e rimanere in contatto sul campo con tutto ciò che accade in città, tutti i dettagli, a partire dalle uccisioni e dai massacri commessi, alla distruzione e alla paura, e questo non è stato facile per me o per la mia famiglia, neanche facile da raccontare.
Penso che Israele avrebbe potuto fermare tutto questo dall’inizio, evitando di ricadere, un’altra volta, in barbari attacchi contro i palestinesi concedendo a loro i diritti che gli spettano in quanto palestinesi ed in quanto esseri umani. (Per esempio il diritto dei palestinesi di accedere ai luoghi santi a Gerusalemme, durante i giorni santi di Ramadan). Invece Israele ha scelto di imporre maggiori restrizioni e di iniziare questi scontri violenti.
Inoltre, Israele ha facilitato l’ingresso di gruppi sionisti fanatici dando il via ad una protesta che ha soprannominato la Marcia delle Bandiere con lo scopo di attaccare i palestinesi che pregavano nella moschea e nei cortili, durante i giorni santi.
Se Israele avesse deciso di fermare tutto questo, tutta questa violenza la avremo evitata, come avremmo evitato di espropriare illegalmente 13 famiglie a Sheikh Jarrah.”

Puoi descriverci brevemente la tua giornata, raccontandoci chi sei e quali sono le tue attività quotidiane? Inoltre puoi dirci quali sono i maggiori ostacoli che incontri a Gaza? A che tipo di limitazioni di libertà sei costretto tu, la tua famiglia e i tuoi amici?

“La mia giornata da giornalista o da palestinese che vive a Gaza, che è solo 360 chilometri quadrati e uno dei luoghi più densi dal punto di vista abitativo, non è diversa dal resto dei palestinesi che vivono qui. Lavoro 10 ore al giorno e quando finisco vado a respirare un po’ d’aria fresca andando nell’unico rifugio di Gaza, la spiaggia.
Sono davvero stufo dell’assedio di 14 anni che ancora ci viene imposto, il 50% per cento degli abitanti di Gaza, che sono circa 2 milioni, vivono sotto la soglia di povertà, e il tasso di disoccupazione ha superato l’80%. Inoltre la crisi umanitaria e sociale, risultato dell’assedio, della povertà e delle guerre, si esplica oggi in tutta la sua drammaticità. Per esempio il 98% dell’acqua a Gaza è imbevibile. Oltre a questo, riceviamo solo 4 ore di elettricità al giorno.
Le nostre libertà sono altamente limitate. Se vogliamo viaggiare, ovunque nel mondo, siamo sottoposti a restrizioni fortissime. Io ho 23 anni e non ho visitato Gerusalemme o la Cisgiordania nemmeno per una volta, non ho viaggiato affatto. Israele controlla i valichi e le importazioni e le esportazioni.”

Pensi che le donne soffrano le stesse restrizioni di movimento degli uomini in Palestina? Noti delle differenze nella condizione delle donne per quanto riguarda i viaggi tra Gaza e la Cisgiordania?

“Le donne a Gaza subiscono le stesse costrizioni che subiamo noi uomini perché Israele attacca tutti e non si preoccupa del genere o della fascia di età. Se sei una donna o un uomo, l’occupazione non fa differenza: affrontiamo lo stesso trattamento disumano. Come gli uomini, le donne di Gaza non possono viaggiare in Cisgiordania a meno che non abbiano una ragione molto seria per farlo; ad esempio, se sei un paziente o stai andando a far visita ad un paziente. In ogni caso sono loro a decidere se puoi andare o no.”

Puoi parlarci del tuo legame con la Palestina? Come vedi il rapporto tra gli esseri umani e la loro terra?

“Non so come esprimere a parole il mio amore per la Palestina. Come si può descrivere a parole questo legame?
La Palestina è nel cuore di ogni palestinese nonostante la sofferenza che comporta essere palestinese. L’uomo non può superare il rapporto con la sua terra – è un vecchio sogno che inseguiamo. E’ un sogno quello di liberarci dalla sofferenza che comporta essere palestinese, così come è un sogno liberare la Palestina, la nostra casa, dalla sofferenza e vivere come tutti gli altri su questa terra, come tutti coloro che hanno una casa in cui possono entrare e uscire quando vogliono.
Una casa in cui la tua famiglia è al sicuro, in cui non devi preoccuparti che in tua assenza qualcuno verrà ucciso o ferito. La Palestina, per me, è quel sogno che un giorno diventerà realtà.”

In Europa non si discute molto su come i giovani, gli attivisti o i giornalisti palestinesi organizzano iniziative culturali. Quali sono le sfide che affrontano o affronti tu a Gaza nel reclutare persone, amici o colleghi che vivono in Cisgiordania?

“E’ vero, non se ne parla perché eventi di questo tipo non possono essere organizzati. E’ molto complesso se non impossibile, organizzare eventi di questo tipo in collaborazione con attivisti della Cisgiordania perché sia giornalisti che attivisti di Gaza non possono andarci. Inoltre uno dei problemi principali è la ricerca di finanziamenti. I soldi non ci sono ed è complicatissimo finanziare un progetto o un evento culturale.”

Ritieni che l’emittente televisiva nazionale palestinese e i media palestinesi in generale abbiano un ruolo nel forgiare una cultura palestinese in contrasto con informazioni “confezionate” che arrivano importate da altre fonti mediatiche?

“Si, io ritengo che la tv nazionale palestinese abbia un ruolo in questo. Per esempio la tv nazionale presenta una visione chiara circa la posizione palestinese sulle questioni. E’ vero che talvolta può presentare la narrativa politica di qualche partito, ma in generale i media in Palestina hanno un ruolo importante nel presentare il punto di vista della Palestina in tutta la sua interezza, nonostante le differenze e credo che abbiamo un ruolo importante anche per quello che riguarda la creazione di un milieu culturale palestinese. La tv soprattutto offre uno spaccato dei problemi che i palestinesi affrontano ogni giorno. In questo anche i social media, utilizzati dai giovani, stanno agevolando la presa di coscienza da parte del resto del mondo sulla questione palestinese.”


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Note

[1] Omar Moussa è un giovane giornalista palestinese. Nato a Gaza il 12 Dicembre 1997, ha già alle spalle di cinque anni di esperienza come giornalista e reporter di notizie relative alla guerra e ai conflitti quotidiani che vive la popolazione palestinese. Ha lavorato per media locali e internazionali e ora collabora con la testata palestinese Metras News About Palestine. متراس – Metrashttps://metras.co/?fbclid=IwAR0ZEzJSF4uklIRMhWJ5p_xxqjVIb-sI-cHT7fsKQEsDN5CmzxrkJ48lw4o


Foto copertina: Immagine web

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