Gli IDE in Africa: vecchi e nuovi attori in uno scenario mutevole


A causa della pandemia COVID-19 gli investimenti diretti esteri (da qui IDE) in Africa hanno subito una riduzione pari al 16% (40 miliardi di dollari circa), un ulteriore calo che si è aggiunto alla già presente stagnazione che li aveva lasciati pressoché invariati dal 2018.


La situazione pandemica ha pesato per lo più sulle economie dipendenti dalle materie prime, a causa del crollo della domanda che ne ha abbassato i prezzi. Nel 2021 la ripresa immediata sembrava ancora lontana a causa delle lente campagne vaccinali e della comparsa dei nuovi ceppi del virus proprio nei Paesi africani. Nel 2022 un previsto aumento del costo delle materie prime, nuove opportunità date dalle catene del valore globali, l’apertura dell’AfCFTA (African Continental Free Trade Area) potrebbero riportare gli investimenti a livelli pre-pandemici.

Il paradosso degli investimenti e i nuovi settori di destinazione dei capitali

Gli scambi commerciali sono notevolmente aumentati, ma non si può dire altrettanto degli investimenti. Per quanto l’Africa fornisca materie prime e forza lavoro a basso costo, nel concreto gli stessi elementi non riescono ad attrarre sufficienti investimenti. Per comprendere il fenomeno è necessario prendere in considerazione variabili quali gli scarsi investimenti pubblici che precludono la costruzione e la manutenzione delle grandi infrastrutture, capitale umano non qualificato, istituzioni statali con sistemi giudiziari deboli soggetti a corruzione, instabilità politica, normative inefficienti e sistemi fiscali che non agevolano i flussi di investimento, per fare qualche esempio. In generale i rischi sovrani all’interno del continente sono molto alti e di conseguenza non favoriscono l’ingresso di nuovi capitali. Il settore energetico e delle materie prime è la calamita per gli IDE stranieri. Petrolio, gas e altre materie prime come il coltan, l’oro la fanno ancora da padrone, si sta però notando come i capitali si stiano dirigendo anche in altri settori come quello manifatturiero, tecnologico e soprattutto dei servizi. Questa svolta è la risposta ai cambiamenti interni al continente e all’agenda 2030 per la decarbonizzazione globale che sta facendo virare i capitali verso lo sviluppo sostenibile.
Il 70% della popolazione africana è under 30 e con l’urbanizzazione delle città si sta formando una nuova classe media anche imprenditoriale che si traduce in consumatori più sofisticati. La trasformazione digitale sta evolvendo in un continente pioniere delle reti mobili di pagamento che hanno aperto l’economia alle zone rurali e remote, ottenendo grande successo. Ruolo importante della diaspora di rientro, valore aggiunto per lo sviluppo dell’economia e dei servizi nel continente.
Gli stessi stati africani non sono attori passivi anzi stanno iniziando a scommettere in settori estranei alle materie prime in cui potrebbero risultare competitivi. Grazie alle agenzie di promozione degli investimenti si stanno formando società private pronte a investire nei più diversi settori, cercando in qualche modo di staccarsi dai capitali cinesi e la loro trappola del debito.

I veri investitori nel continente

Se negli scambi commerciali la Cina è la regina indiscussa, lo stesso non si può dire per quanto  riguarda gli IDE. Al primo posto infatti nel 2019 troviamo i Paesi Bassi inseguiti dal Regno Unito e tallonati dalla Francia in terza posizione con rispettivamente 67, 66 e 65 miliardi di dollari investiti. Questi tre Paesi si trovano in testa soprattutto per la grande partita giocata dalle compagnie petrolifere quali la Royal Shell plc (partecipata olandese e britannica) e TotalEnergies a gestione francese.[1]
La Cina si piazza al quarto posto con stock di investimenti pari a 44 miliardi di dollari, seguita dai 43 miliardi degli Stati Uniti. L’interesse economico e finanziario statunitense nei confronti dell’Africa è andato calando dal 2010, al contrario la Cina dal primo forum sino-africano ha incrementato il volume riuscendo a superare la nazione a stelle e strisce.
La classifica è completata in ordine da: Mauritius (37 miliardi $), Sud Africa (33 miliardi $), Italia (31$), Singapore (20 miliadi $) e Svizzera (15 miliardi di $). Per quanto riguarda il nostro Paese, i capitali d’investimento sono in gran parte trainati dai progetti di ENI, presente in 14 Paesi africani, ma anche nel settore dei prodotti di consumo e vendite al dettaglio. Mauritius è sempre stato attivo in questo campo, firmando 23 accordi di promozione e protezione degli investimenti con i paesi continentali.

Investimenti intra-africani

Se nel 2013 in testa alla classifica dei Paesi africani investitori stavano Sud Africa, Nigeria e Kenya, nel 2020 il Togo ha raggiunto il primo posto per IDE negli altri Paesi africani, con Afrik Assurances a farla da padrone nei servizi finanziari. Altre punte di diamante nel 2020 il Ghana e il Marocco, il secondo nell’ottica di una nuova politica estera concentrata sullo sviluppo delle relazioni con il continente. Il Paese africano investitore per eccellenza, il Sudafrica, ha invece chiuso in negativo con -2 miliardi di dollari.


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E la Turchia?

Dal 2005 si stanno delineando sempre di più gli interessi turchi sul continente, con il premier Erdoğan spesso in visita presso i capi di stato africani. Se i primi canali di penetrazione  sono stati la cultura e la diplomazia con l’apertura di ambasciate, la costruzione di scuole e moschee, ad oggi si notano come il commercio e gli investimenti in numerosi settori iniziano a delineare la politica turca nel continente. Al 2021 gli IDE sono stati vicini ai 10 miliardi di dollari utilizzati in gran parte nel settore energetico, agricolo e nella costruzione di grandi infrastrutture. All’interno della strategia di Erdoğan non sono soltanto gli accordi bilaterali, ma soprattutto i forum che coinvolgono le nazioni africane a rafforzare le relazioni turco-africane. Periodicamente lo stato turco in collaborazione con le classi dirigenti africane organizza business forum per regolare e sviluppare le relazioni commerciali con il continente, coinvolgendo anche attori regionali della portata di ECOWAS e Unione africana. Stessa cosa per il settore agricolo, nel 2017 era stato istituito il primo forum agroalimentare che coinvolgeva i ministri dell’agricoltura africani e la controparte turca. Non dimentichiamoci gli accordi di natura militare che tanto preoccupano i vecchi attori.
Sebbene le difficoltà per gli investitori siano palesi, il continente nero sta attirando su di sé l’attenzione per le opportunità che si stanno svelando. Non a caso Paesi come la Cina, la Turchia e la Russia stanno concentrando le loro politiche estere anche nei confronti dell’Africa in diverse forme. La Cina dovrà ancora impegnarsi per raggiungere i livelli di investimento dei Paesi europei, sgomitando con altri nuovi attori che potrebbero emergere nei prossimi anni. Gli stessi stati africani e le imprese private locali si stanno organizzando per ricoprire un ruolo da protagonisti negli investimenti infra-africani, sia a livello bilaterale, sia  nella creazione di zone economiche che faciliterebbero e catalizzerebbero ulteriori investimenti.


Note

[1] La classifica dei 10 maggiori Paesi investitori in Africa per stock di IDE è tratta dal World Investment Report 2021 dell’UNCTAD.


Foto copertina: Donne del Burkina Faso