[dropcap]Il 15 luglio[/dropcap] 2016 la Turchia ha conosciuto il tentativo di un colpo di Stato messo in atto da una parte delle Forze armate turche (Tsk), le quali si sono manifestate intenzionate sia a destituire il Presidente, sia a prendere il potere. Dichiarato fallito già il mattino seguente, il golpe presenta delle dinamiche poco chiare, il che pone degli interrogativi circa l’autenticità dello stesso, soprattutto se si prendono in considerazione le conseguenze sui diritti umani e l’evoluzione del rapporto tra il potere politico e quello militare.
I fatti
Nel pomeriggio del 15 luglio, una fazione non identificata dell’esercito occupò la televisione di Stato e la CNN turca[1], annunciando di aver preso il potere allo scopo di ripristinare i valori democratici, quali l’ordine costituzionale, la libertà di opinione e i diritti umani.
Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, su di un volo di dubbia destinazione (si suppone fosse diretto in Germania ovvero in Gran Bretagna), lanciò un appello al popolo turco chiedendo di opporsi al golpe. Il mattino del 16 luglio, in seguito all’intervento dell’esercito leale al governo e della polizia, i golpisti si arresero sul ponte del Bosforo[2].
Formalmente, il tentato golpe vide la contrapposizione tra una parte non cospicua dell’esercito ed il governo turco, tuttavia non vi è ancora chiarezza circa gli schieramenti in gioco e le motivazioni che indussero i golpisti ad una tale azione. In seguito all’accaduto si sono susseguite versioni contrastanti e accuse reciproche: secondo taluni analisti si è trattato di golpe improvvisato e poco organizzato, laddove talaltri hanno sollevato dubbi sulla reale genuinità del colpo di Stato, paventando l’ipotesi di un’operazione di false flag messa in atto dal governo stesso allo scopo di legittimare ulteriori restrizioni delle libertà civili e una serie di epurazioni nei confronti della magistratura e dell’esercito.
Secondo il governo turco, l’organizzazione del tentativo di Golpe va ricondotta a Muhammed Fethullah Gülen e all’omonimo Movimento di cui è leader e fondatore. Ex Imām sunnita moderato, Gülen è un predicatore e politologo turco che dal 1999 si trova in esilio volontario in Pennsylvania; il Movimento Hizmet (servizio) è in netto contrasto con la politica islamico-conservatrice di Erdoğan, in quanto esso esalta la laicità, la cooperazione, la tolleranza e il progressismo, sostiene l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, condanna ogni forma di terrorismo ed ha criticato il coinvolgimento turco nella guerra civile siriana[3] [4].
Al contrario di quanto si possa pensare, il Movimento Gülen è stato per molto tempo alleato del governo e di Erdoğan stesso. Quando nel 2002 il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) vinse per la prima volta le elezioni parlamentari, Erdoğan trovò in Gülen un naturale alleato, il quale gli offrì il personale burocratico di cui necessitava, in cambio di influenza all’interno dell’AKP e delle massime sfere del potere politico; tale alleanza si rivelò in più occasioni fondamentale per la sopravvivenza politica dell’attuale Presidente, tuttavia i rapporti iniziarono ad inclinarsi fino a rompersi del tutto allorquando il Movimento Gülen denunciò gli eccessivi guadagni di Erdoğan[5].
Tuttora continuano le accuse da parte del Presidente nei confronti di Gülen e del suo Movimento, considerati i responsabili dell’organizzazione del golpe. Non mancano toni aggressivi contro gli Stati Uniti, ritenuti “nemici della Turchia” da Erdoğan stesso, il quale ha presentato una richiesta di estradizione di Gülen, senza ottenere successo[6].
Gli errori commessi
Alla luce dell’accaduto, il colpo di Stato sembra essere stato congegnato e attuato in modo velleitario: scarsa coesione interna, assenza di supporto politico ed eccessiva ambizione risultano i tre errori principali commessi dal fronte dei golpisti. In primo luogo, le Forze armate turche (Tsk) soffrivano di divisioni interne e manifestavano già da tempo segni di debolezza dovuti alla progressiva riduzione del loro ruolo di garante della laicità e democraticità dello Stato[7]; si aggiungano i significativi mutamenti introdotti dalle nomine governative a partire dal 2002, anno in cui l’AKP ha riportato la prima vittoria elettorale, insediandosi ai massimi organi dello Stato[8].
Inoltre, i golpisti non ottennero alcun consenso politico, agendo senza il supporto dei principali partiti di opposizione: sia i laici del Partito Popolare Repubblicano (CHP), sia i nazionalisti del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) manifestarono prontamente la loro volontà di dissociarsi dal tentativo di attuare un colpo di Stato militare. Per quanto concerne il consenso popolare, i turchi dimostrarono di aver perso qualsiasi forma di timore nei confronti delle Tsk, non mostrandosi più disposti ad accettare le intromissioni dei militari in politica e, rispondendo all’appello del Presidente, legarono al suo successo politico il loro riscatto culturale, sociale ed economico[9]. Infine, il fronte dei golpisti non seppe interpretare i cambiamenti politici riproponendo un modello di colpo di Stato ormai superato dalla storia, il quale prevedeva di svuotare il parlamento delle sue funzioni e di attribuire temporaneamente il potere politico ad un direttorio[10].
Le conseguenze
Il fallito golpe ha rappresentato la fine dell’epoca degli interventi militari nella sfera politica, designando la crisi del principio kemalista in virtù del quale l’esercito si pone in qualità di guardiano della laicità e della democrazia dello Stato turco: è stata dunque inaugurata una nuova fase delle relazioni politico-militari, in cui è la leadership civile ad avere il controllo su quella militare[11]. Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha intrapreso fin da subito un processo di ristrutturazione dell’apparato militare finalizzato ad implementare il controllo governativo sulle Tsk e a ridurne il potere di intervento; tale processo è stato poi portato a compimento dalla riforma costituzionale, la quale ha sancito il controllo presidenziale sulle forze armate, l’abolizione di tribunali e giudici militari e il potere del Presidente della Repubblica di decretare lo stato di emergenza[12]. Erdoğan si è avvalso di tali poteri per eliminare la componente “kemalista” e “gulenista” dall’amministrazione statale.[13]
Inoltre, al fallito golpe hanno fatto seguito rilevanti azioni restrittive, tra cui l’approvazione dello stato di emergenza il 21 luglio 2016 e la sospensione temporanea dell’applicazione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[14].
Il 18 luglio 2018, in seguito alla vittoria elettorale di Erdoğan, lo stato di emergenza è stato revocato; in tale lasso temporale si sono susseguiti oltre 80.000 arresti e circa 170.000 licenziamenti di funzionari pubblici, a cui si aggiunge la chiusura di centinaia di testate giornalistiche e televisive e la limitazione delle libertà di espressione, associazione e assemblea[15]. Dal tentativo di colpo di Stato militare sono emersi alcuni segnali sociali e politici favorevoli alla longevità istituzionale e personale di Recep Tayyip Erdoğan: se da un lato l’esercito è apparso debole e diviso e le opposizioni hanno adottato un atteggiamento di laisser-faire, dall’altro la società civile ha scelto di fornire il proprio sostegno al Presidente della Repubblica. Erdoğan ha dunque beneficiato di un forte consenso popolare e dell’assenza di nemici politici, il che gli ha consentito di chiedere e di ottenere ulteriori poteri.
[dropcap]Note[/dropcap]
[1] CNN Türk è una emittente televisiva nazionale turca che appartiene alla WarnerMedia (50%) e Doğan Medya Grubu (50%). È la versione turca della nota emittente all-news statunitense CNN
[2] Lo Coco D., Fallito golpe in Turchia: azione avventata o clamorosa messa in scena?, Istituto Mediterraneo Studi Internazionali, 17 luglio 2016. http://www.imesi.org/2016/07/17/fallito-golpe-in-turchia-azione-avventata-o-clamorosa-messa-in-scena/
[3] Argnano M. E., Golpe “Gulenista” in Turchia?, Istituto Mediterraneo Studi Internazionali, 15 luglio 2016. http://www.imesi.org/2016/07/15/golpe-gulenista-in-turchia/
[4] Lo Coco D., Fallito golpe in Turchia: azione avventata o clamorosa messa in scena?, Istituto Mediterraneo Studi Internazionali, 17 luglio 2016. http://www.imesi.org/2016/07/17/fallito-golpe-in-turchia-azione-avventata-o-clamorosa-messa-in-scena/
[5] Pucci F., Quasi amici: Erdoğan e Fethullah Gülen, Opinio Juris – Law & politics review, 1 ottobre 2018. http://www.opiniojuris.it/quasi-amici-erdogan-e-fethullah-gulen/
[6] Lo Coco D., Fallito golpe in Turchia: azione avventata o clamorosa messa in scena?, Istituto Mediterraneo Studi Internazionali, 17 luglio 2016. http://www.imesi.org/2016/07/17/fallito-golpe-in-turchia-azione-avventata-o-clamorosa-messa-in-scena/
[7] Pongiluppi F., Turchia: l’equilibrio politico-militare è ormai sovvertito, ISPI, 12 aprile 2017. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-lequilibrio-politico-militare-e-ormai-sovvertito-16468
[8] Colombo M., Turchia: errori e conseguenze di un golpe mancato, ISPI, 18 luglio 2016. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-errori-e-conseguenze-di-un-golpe-mancato-15468
[9] Colombo M., Turchia: errori e conseguenze di un golpe mancato, ISPI, 18 luglio 2016. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-errori-e-conseguenze-di-un-golpe-mancato-15468
[10] Colombo M., Turchia: errori e conseguenze di un golpe mancato, ISPI, 18 luglio 2016. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-errori-e-conseguenze-di-un-golpe-mancato-15468
[11] Pongiluppi F., Turchia: l’equilibrio politico-militare è ormai sovvertito, ISPI, 12 aprile 2017. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-lequilibrio-politico-militare-e-ormai-sovvertito-16468
[12] Pongiluppi F., Turchia: l’equilibrio politico-militare è ormai sovvertito, ISPI, 12 aprile 2017. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-lequilibrio-politico-militare-e-ormai-sovvertito-16468
[13] Lo Coco D., Fallito golpe in Turchia: azione avventata o clamorosa messa in scena?, Istituto Mediterraneo Studi Internazionali, 17 luglio 2016. http://www.imesi.org/2016/07/17/fallito-golpe-in-turchia-azione-avventata-o-clamorosa-messa-in-scena/
[14] La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o CEDU è una Convenzione internazionale redatta e adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa. La CEDU è considerata il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo perché è l’unico dotato di un meccanismo giurisdizionale permanente che consenta a ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti ivi garantiti, attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo.
[15] Sommario E., Turchia: fine stato emergenza e situazione diritti umani, Affari internazionali, 16 agosto 2018. https://www.affarinternazionali.it/2018/08/turchia-stato-emergenza-diritti-umani/
Foto copertina: Turkish soldiers secure the area as supporters of President Erdogan protest in Istanbul, on July 16, 2016. Emrah Gurel—AP
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