A giugno, al vertice Nato di Madrid il presidente Biden ha annunciato un aumento delle truppe americane stanziate in Europa. Questo considerevole incremento, contrario al ritiro annunciato da Trump (nel 2020 l’ex inquilino della Casa Bianca aveva sancito il ritiro di migliaia di truppe dalla Germania), era iniziato con lo scoppio della guerra in Ucraina, e viene adesso confermato e pianificato in sede Nato. L’aumento di truppe americane, insieme con l’identificazione della Russia come nemico globale, avrà importanti conseguenze per il continente europeo.
Quinto esercito d’Europa
Gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto una grande quantità di soldati in Europa, specialmente in Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Polonia. Prima dell’invasione russa di febbraio le truppe americane ammontavano a circa 74.000[1], tra cui alcune migliaia di truppe rotanti complementari. Allo scoppio delle ostilità, il Pentagono iniziò a spedire nuove truppe, specialmente sul fronte est della Nato, in particolare in Polonia e Romania. A marzo le truppe a stelle e strisce ammontavano a 100.000[2], un quarto di quelle presenti negli anni 80. Dalla fine della guerra fredda i soldati americani erano drasticamente diminuiti, ma con l’invasione russa della Crimea nel 2014 Washington era tornata a rinforzare la sua presenza in Europa. Adesso Biden ha annunciato che gli Stati Uniti rinforzeranno le capacità aeree difensive specialmente di Italia e Germania. La base di Aviano in Friuli si prepara ad accogliere 70 militari, in uno dei punti più importanti per la difesa del fianco orientale della Nato. Nuove truppe di rotazione arriveranno anche in Polonia e nei Baltici, il Regno Unito accoglierà due nuovi squadroni di caccia F-35 e la Spagna aumenterà il numero di cacciatorpedinieri da 4 a 6.
Per quanto riguarda le cause di questo aumento di truppe, è chiara la volontà di rinforzare il fronte antirusso e proteggere i confini Nato, alla luce dell’invasione russa. È però interessante analizzare le conseguenze di queste scelte sul medio-lungo periodo.
L’aumento di truppe nel continente ha una prima conseguenza diretta inevitabile: la perdita di valore di un possibile esercito europeo. Nonostante la guerra abbia evidenziato la necessità di una capacità difensiva dell’Unione, ribadita dalla Bussola strategica, che individua obiettivi e metodi per raggiungere l’agognata “sovranità strategica”, essa ha anche posto le basi per il fallimento di questo progetto. La difesa comunitaria era già vista con sospetto dai Paesi dell’est, che non amano concessioni di sovranità ai benefici dell’Unione, e che confidano nella protezione americana più che in quella di Bruxelles. Il segretario generale Nato Stoltenberg ha annunciato che la Nato response force, che ora conta 40.000 truppe, 10 volte di più dell’anno scorso, si espanderà fino alle 300.000[3] unità. Questo significativo incremento non può che avvenire a discapito di un esercito europeo, che ha difficoltà a svilupparsi in coordinazione con quello dell’alleanza transatlantica.
Inoltre, i notevoli aumenti di budget della difesa di Paesi come la Germania non sono necessariamente un segnale incoraggiante nei confronti del progetto di difesa comunitaria, perché non è detto che Berlino voglia mettere le sue truppe al servizio di Bruxelles. La Francia ha rievocato varie volte il tema, proprio perché teme un’espansione del potere del vicino teutonico e cerca di inglobarlo in progetti comunitari.
Un altro silenzioso oppositore del progetto di difesa europea sono proprio gli Stati Uniti che, sebbene abbiano chiesto per anni una maggiore autonomia europea al fine di dividersi il carico di lavoro, non apprezzano i tentativi europei di coordinarsi sulle spese belliche. Gli Stati Uniti hanno accesso preferenziale al mercato di difesa europeo. Qualsiasi tentativo di sovranità strategica deve necessariamente passare per spese belliche coordinate che privilegino i produttori europei, a discapito di quelli d’oltreoceano. Washington preferisce favorire gli sviluppi attuali, che vedono una rimilitarizzazione europea non necessariamente volta alla costruzione di un esercito comune e un rinforzamento della Nato.
Un sogno ostacolato dalla realtà
La guerra in Ucraina ha rinforzato il fianco est della Nato, quello costituito dai paesi come la Polonia, i Baltici e la Romania, che vedono nella Russia la minaccia più importante. Il summit di Madrid ha visto l’identificazione di Mosca come nemico globale e minaccia diretta alla sicurezza della alleanza. Questo spostamento di equilibrio verso il fronte est avviene a discapito dei Paesi del sud, come l’Italia, che hanno spinto per anni per un maggiore interessamento dell’alleanza verso i problemi del Medio Oriente e Nordafrica. Da qui anche l’improbabilità della scelta di una figura italiana come prossimo segretario generale. L’invito ufficiale a Finlandia e Svezia, arrivato dopo il compromesso raggiunto con Erdoğan a discapito dei curdi, rinforza questa tendenza. Una conseguenza di questo spostamento di bacino verso est è che il progetto di difesa europea perde di valore agli occhi di quei Paesi che già lo vedevano con distacco. George Friedman ha scritto su Geopolitical Futures che prevede l’affermazione della Polonia come leader in Europa centro-orientale. È indubbio che Varsavia, grazie alla guerra e agli sviluppi in sede Nato, sta acquistando nuovo valore e importanza, a discapito dei progetti di integrazione europea, tra cui la difesa comune, di cui il governo polacco non si è mai dimostrato particolarmente entusiasta.
L’ingresso dell’Indo-Pacifico tra le aree di interesse strategico all’interno del Concetto Strategico della Nato e della Bussola strategica dell’Unione rende ancora più difficile per l’Italia mantenere l’attenzione sul fianco sud e sul core task del crisis management nel Mediterraneo allargato.
Poche speranze
La guerra in Ucraina ha resuscitato l’alleanza transatlantica, data per morta cerebralmente da Macron, ma ha anche inferto un colpo alle ambizioni di sovranità strategiche europee, seppure indirettamente. Certo, la Bussola strategica è un ottimo passo verso una difesa comune europea. E certamente è possibile immaginare questo progetto, come ha detto il ministro della difesa italiano Lorenzo Guerini, come il “pilastro europeo” della Nato, complementare e non in opposizione a quest’ultima. Tuttavia, queste stesse parole dimostrano quanto l’alleanza con Washington non sia subordinabile e quanto la difesa europea non possa essere immaginata se non accanto ad essa. Ancora, quando Macron, tra i più grandi promotori della sovranità del continente, parla di difesa europea lo fa esattamente per raggiungere una maggiore indipendenza dalla Nato, una “terza via”, come scritto da Dario Fabbri su Domino, sognata dal presidente francese per affrancarsi dall’egemonia americana e dalla morsa russa.
La difesa europea è un progetto ammirabile, perché un prerequisito per un’Europa capace di agire indipendentemente e secondo i propri interessi (sebbene sia difficile definirli). Tuttavia, essa è ostacolata, tra le altre cose, dalla difficoltà di definire il rapporto che essa avrebbe con la Nato. Una Nato rinforzata, come quella del post 24 febbraio e post summit, potrebbe essere l’ennesimo ostacolo alla creazione di una difesa europea.
Note
[1]“Gli Stati Uniti sono il quinto esercito d’Europa”, truenumbers.it guerra e summit Nato
[2]“Nato, come aumenteranno le truppe americane in Europa. Report Le Monde”, startmag.it
[3]“La Nato aumenta le sue truppe: la response force da 40mila a 300mila unità”, it.euronews.com
Foto copertina: Guerra e summit Nato