Hamas e le logiche del terrorismo


L’attacco di Hamas a Israele ha risvegliato il dibattito sul terrorismo e su come combatterlo. La violenza contro i civili ha delle ragioni strategiche e tattiche, determinate da obiettivi e contesto.


Di Simone Orbitello*

Premessa

Lungi dal giustificare la violenza contro i civili o dal volere dare un giudizio morale sugli eventi, questo articolo mira a gettare luce su tattiche e strategie utilizzate da organizzazioni come Hamas, anche per generare maggiore consapevolezza su quali siano le migliori mosse per contrastarle.

Lo statuto di Hamas

Il primo statuto di Hamas è del 1988, a un anno dalla sua creazione durante la prima Intifada. Esso dichiara l’obiettivo di liberare la Palestina da Israele e dalla popolazione ebraica (art. 15 e 28). Lo statuto è stato rinnovato nel 2017. Nella nuova versione Hamas dichiara che “non lotta contro gli ebrei perché sono ebrei, ma lotta contro i sionisti che occupano la Palestina”, spostando l’attenzione dagli ebrei a Israele (art. 16). Inoltre, l’organizzazione mantiene una certa ambiguità sull’esistenza dello stato di Israele. Da un lato Hamas rifiuta “qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare” (art. 20). Dall’altra, nello stesso articolo, Hamas fa riferimento alla creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme, ritornando a una situazione pre-1967, ovvero quando Israele esisteva ma non aveva ancora occupato Gaza e Cisgiordania. Questo rifletterebbe un certo consenso interno al movimento verso una soluzione politica sulla base dei due Stati. [1]

Strategie terroristiche

La violenza contro civili è da sempre una pratica di organizzazioni militari e non solo. Attribuire il terrorismo esclusivamente a organizzazioni non-governative è problematico e restrittivo, perché anche gli stati a volte compiono atti terroristici. Come sottolineato da vari ricercatori, il problema del terrorismo è che a volte funziona[2]. Lo scopo degli atti terroristici non è solo spaventare la popolazione, ma anche provocare una reazione da parte del nemico. Il terrorismo è una strategia portata avanti da organizzazioni che sono troppo deboli per imporre la loro volontà sull’avversario, e che quindi decidono di usare un meccanismo segnalatorio, che mira a costringere l’avversario a fare ciò che vogliono. Hamas non può distruggere Israele, dunque adotta strategie che mirano a costringere Israele a fare ciò che Hamas vuole.
Ci sono cinque logiche principali dietro le azioni terroristiche: attrito, intimidazione, provocazione, guastare, superare. A queste si può aggiungere anche polarizzazione e mobilitazione. Hamas ha fatto uso principalmente di attrito, provocazione, rovinare, superare e mobilitazione.

La logica di attrito (attrition) mira a convincere il nemico che si è preparati a infliggere danni imponenti, in modo da costringerlo ad obbedire alle richieste. Questa strategia è stata applicata da Hamas e da Hezbollah contro Israele più volte, per esempio durante la seconda Intifada tra il 2000 e il 2005. In una lettera ai leader di Hamas, nei primi anni ’90, Yahya Ayyash, il principale responsabile per la creazione delle bombe dell’organizzazione, scrisse che dovevano “esercitare più pressione, rendere il costo dell’occupazione così alto in termini di vite umane, che diventi insopportabile”[3]. La strategia di attrito funziona meglio quando lo stato è disponibile a trattare e non è una questione esistenziale. Israele reagì come voluto dai suoi nemici, ritirandosi dal sud del Libano e infine da Gaza. L’attrito è utile anche quando lo stato ha dei limiti all’uso della forza. Israele ha tutti i mezzi per radere al suolo Gaza, ma è contenuto dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale. In questi giorni stiamo assistendo a bombardamenti continui di Gaza, anche di obiettivi non-militari come gli ospedali[4]. Washington ha espresso più volte la necessità di rispettare il diritto internazionale, sebbene Israele non lo faccia da decenni in Cisgiordania[5]. Hamas sa che se Israele facesse un uso esagerato della forza, la comunità internazionale non ne sarebbe felice, ed è questo che aiuta l’organizzazione nella sua strategia di attrito. Il dilemma è che da un lato Israele deve ripristinare una forma di deterrenza e non mostrarsi debole, dall’altra deve stare attento a come utilizza la forza.

La logica della provocazione (provocation) mira a suscitare una reazione repressiva e violenta da parte dell’avversario, al fine di convincere la popolazione a supportare l’organizzazione. Le organizzazioni ribelli devono convincere le persone moderate a odiare il nemico quanto lo odiano loro. Questo è ottenuto provocando una reazione repressiva da parte dello stato, che porterà anche le persone più moderate a opporsi strenuamente e a sostenere i terroristi. Questa strategia è connessa alla logica di mobilitazione. Una risposta molto violenta da parte di Israele porterà più palestinesi a odiare Israele e sostenere Hamas. Inoltre, le popolazioni arabe vicine reagiranno nella stessa maniera. Vi sono già state numerose manifestazioni a sostegno della Palestina in Egitto, Libano, Giordania e anche in Europa. La repressione è la risposta più naturale di uno stato a un attacco simile, ma è anche spesso controproducente. La provocazione mira, dunque, a radicalizzare e mobilitare la popolazione a supporto di un’organizzazione. L’unico modo per rispondere in modo efficiente è definendo in modo preciso i bersagli della repressione. Israele dovrebbe mirare a colpire solo Hamas, mentre finora ha ucciso migliaia di civili. L’assedio imposto a Gaza, le parole di esponenti del governo come quelle del ministro della difesa Gallant[6], de-umanizzano i palestinesi e fanno il gioco di Hamas. Attaccare in modo preciso i combattenti e non i civili non è solo un dovere legale, è anche un’esigenza strategica.

Un’altra strategia portata avanti da Hamas è stata quella di guastare (spoiling) i negoziati di normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele[7]. L’avvicinamento dei paesi arabi a Israele è una minaccia per Hamas, perché potrebbe portare a una soluzione della questione palestinese che non lo coinvolge. Non si sa esattamente quali concessioni sarebbero state ottenute da Washington e Riad sulla questione palestinese, né se sarebbero state effettivamente utili. Tuttavia, l’avvicinamento minacciava sia Hamas che Iran, dato che quest’ultimo che avrebbe dovuto fronteggiare un asse unito dei suoi principali rivali. Attaccare Israele e suscitare la sua repressione ha avuto l’effetto di ricordare alle popolazioni arabe delle sofferenze dei cittadini di Gaza e Cisgiordania. Questo impedirà, almeno sul breve periodo, un’ufficializzazione della normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Più in generale, le organizzazioni armate guardano con sospetto i processi di pace, perché di solito coinvolgono l’ala moderata del movimento. I processi di pace sono momenti delicati, in cui c’è incertezza sul fatto che uno dei due contraenti mantenga l’accordo. L’attacco terroristico si colloca in questa situazione e mira a confermare le incertezze dei contraenti sul mantenimento delle promesse.
La violenza è dunque usata dalle ali radicali per evitare riconciliazioni.

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Infine, la strategia del superamento (outbidding) si colloca in un contesto in cui ci sono organizzazioni rivali che lottano per il favore della stessa popolazione. Hamas e Fatah competono per il favore dei palestinesi, e grazie a questi attacchi Hamas può dimostrare di essere più forte, preparata e disposta a tutto per la causa palestinese. Questa strategia fu portata avanti da Hamas anche ai danni di Arafat e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (PLO).

Gli attacchi di Hamas hanno seguito strategie conosciute e comprovate delle organizzazioni militari. Israele ha portato avanti una politica repressiva dei diritti dei palestinesi, e questo non fa che favorire un’organizzazione estremista come Hamas. Dall’altro lato, Tel Aviv ha legittimi timori legati alla sua sicurezza, che gli attacchi di Hamas non fanno che confermare. Adesso Israele deve evitare un disastro strategico[8], che sarebbe quello che risulterebbe da un’occupazione di Gaza e da una reazione eccessiva e indiscriminata contro la popolazione palestinese[9]. Il rischio di un allargamento della guerra a Libano e Siria è alto. I due fronti, quello israelo-statunitense e quello dell’”asse della resistenza” iraniano, sono molto cauti ed entrambi cercano di deterrere l’altro. Biden sta usando tutto il peso diplomatico e militare americano per contenere la risposta israeliana, deterrere Tehran e impedire l’allargamento della guerra. Come sostenuto da Audrey Kurth Cronin su Foreign Affairs, sconfiggere Hamas richiede una strategia che vada oltre la vendetta. Il futuro del Medio Oriente dipende dalle prossime scelte israeliane e dalla capacità di tutti gli attori coinvolti di evitare l’allargamento del conflitto.


Note

[1] “È vero che lo statuto di Hamas prevede la cancellazione di Israele?”, Davide Leo e Matteo Negri, pagellapolitica.it
[2] “The strategies of terrorism”, Andrew H. Kydd and Barbara F. Walter, International Security, Vol. 31, No 1 (Summer 2006), pp. 49–80.
[3] Citazione da “The strategies of terrorism”, Andrew H. Kydd and Barbara F. Walter, International Security, Vol. 31, No. 1 (Summer 2006), pp. 49–80.
[4] “After blast kills hundreds at Gaza hospital, Hamas and Israel trade blame as rage spreads in region”, Najib Jobain, Samya Kullab, Ravi Nessman and Matthew Lee, apnews.com
[5] “Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory”, International Court of Justice, 2004.
[6] “Israel-Palestine war: ‘We are fighting human animals’, Israeli defence minister says”, middleeasteye.com
[7] “Hamas, Iran, Israele e Arabia Saudita. Il problema della pace tra estremismi e rivalità”, Matteo Montano, opiniojuris.it
[8] “How Israel Can Win”, Audrey Kurth Cronin, foreignaffairs.com
[9] “An Invasion of Gaza Would Be a Disaster for Israel”, Marc Lynch, foreignaffairs.com


Foto copertina: Hamas

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