Nel corso della storia, il potere e la maestosità di Re, Imperatori, Muluk e Sultani, sono stati, spesso e volentieri, garantiti non tanto dalle abilità militari e politiche, ma soprattutto dalla cieca lealtà delle loro guardie personali. Guerrieri d’élite, che hanno attraversato un addestramento sfiancante, allevati a coltivare la più cieca fedeltà, hanno vegliato su sovrani ed imperi, in parte proteggendo troni e famiglie reali, in parte impossessandosene senza troppi scrupoli.
Le guardie del Nilo
In un antico corpus di testi, noto come “Lettere di Amarna”[1], databili intorno al XIV secolo a.c.[2], viene menzionato un popolo, noto nella traslitterazione in lingua egizia Šrdn/Srdn-w, la cui vocalizzazione viene risolta come Sereden o Sherden[3].
In una lettera fra il faraone Akhenaton e il re di Biblo, si nomina questo etonimo in riferimento ad un popolo di pirati e mercenari, facente parte della ben nota confederazione dei Popoli del Mare[4], che sul finire dell’Età del Bronzo (1500 a.c.- 1100 a.c.), fece collassare i principali imperi del Mediterraneo.
Gli Sherden ricompaiono menzionati nel 1175 a.c. quando il faraone Ramses II si accorda con loro, dopo averli sconfitti nella battaglia del Delta del Nilo; da quel momento questi predoni del mare divennero la guardia personale d’èlite del giovane ed intraprendente faraone[5].
Con i loro elmi cornuti e la spade dritte gli Sherden presero parte attiva nella battaglia di Qadesh[6], forse la più antica battaglia mai registrata nella storia dell’umanità; cinquecento di loro parteciparono allo scontro, come guardia personale del faraone.
Durante il regno di Ramses III ( 1186- 1155 a.c.) vennero ufficialmente arruolati nell’esercito egiziano e venne loro concesso di stanziarsi nel territorio egiziano, «Io li ho insediati in fortezze, legati al mio nome. Le loro classi militari erano numerose come centinaia di migliaia. Io ho assegnato a tutti loro razioni con vestiario e provvigioni dai magazzini e dai granai per ogni anno[7]», così parla il faraone, quasi con orgoglio.
Da questo momento in poi gli Sherden cominciarono a diventare esseri evanescenti, scomparendo dalle fonti; rimasero certo una parte fondamentale delle forze militari egiziani, sempre ricoprendo il ruolo di guardie personali del faraone, ma sempre più confusi con lo popolazione locale. Il loro è l’esempio più lampante che anche i più agguerriti avversari possono diventare i più grandi alleati, un paradigma di come culture fortemente diverse e distanti possano alla fine collaborare ed arricchirsi reciprocamente.
Il numero che mai decresce
Nel cuore dell’antica Persia, quello che oggi è l’Iran, tra le vaste pianure e le maestose montagne, emerse un popolo, la cui potenza e regalità parevano tracciate dal destino stesso[8].
I persiani, sotto gli Haχāmanišiyā, gli Achemenidi, divennero uno dei più grandi imperi che la storia abbia mai conosciuto, i loro sovrani che si definivano Xšayāθiya Xšayāθiyānām, Re dei Re, si circondarono di un corpo di uomini estremamente addestrati e periti nell’arte della guerra, i cosiddetti Immortali, saliti alla ribalda grazie alla graphic novel 300.
Gli Anusiya, questo il nome degli Immortali, erano la punta di diamante dell’esercito persino, il baluardo dei sovrani achemenidi; la loro leggendaria disciplina e invincibilità affascinarono storici greci del calibro di Erodoto[9], che li immortalò nelle sue pagine rendendoli uno degli eserciti più iconici della storia antica[10].
Il nome Immortali deriva dalla loro peculiarità organizzativa, il numero dei loro effettivi, infatti, era sempre mantenuto costante a diecimila unità, un numero che mai decresceva. Ogni volta che un soldato moriva, immediatamente veniva rimpiazzato, dando l’impressione che effettivamente fossero immuni da morte.
Gli Anusiya erano selezionati tra i migliori guerrieri dell’impero persiano, il loro addestramento era rigoroso ( corpo a copro, tiro con l’arco e uso della lancia). Durante un battaglia la loro apparizione creava sgomento e paura negli avversari, non solo per la loro reputazione ma anche per il loro equipaggiamento; adornati con abiti sontuosi, tutti portavano il viso coperto, da cui spuntavano solamente gli occhi, vestivano armature leggere e ampi e rettangolari scudi di vimini[11].
“All’alba, Serse offrì libagioni, e aspettò fino al momento in cui il mercato suole riempirsi, poi attaccò. Così diceva di aver ordinato e così fecero. I Greci, sapendo che i Barbari sarebbero venuti contro di loro e per non cadere sotto i loro arcieri, avanzavano verso i nemici in pieno giorno, essendo già prima di mezzogiorno. A metà della strada, i Persiani si incontrarono con loro. Avanzavano sotto il comando di Idarne, che aveva l’incarico della divisione. I Persiani si scontrarono con i Greci e, per molto tempo, nessuno dei due ebbe il sopravvento, poiché i Barbari si disponevano in modo compatto e non cedevano di fronte al coraggio dei Greci. Poi, quando gli Immortali, sotto il comando di Idarne, avanzarono, si sparse la voce tra i Greci che si erano scontrati con quelli.[12]”, con questa descrizione lo storico greco Erodoto descrive il momento in cui gli Immortali, al comando di Idarne, presero parte alla battaglia delle Termopili, contro i greci.
Sempre Erodoto, “I Persiani, credendo che i Greci si ritirassero per paura, li seguirono con grida e clamori. I Greci, ritirandosi in modo ordinato e compatto, si voltarono e attaccarono di nuovo i Barbari. Così fecero per molte volte, e molti dei Barbari caddero. Pochi furono i Greci che morirono, ma i Barbari cadevano a centinaia. I Greci, sapendo che la morte non poteva essere evitata, si battevano con disperazione e coraggio”[13].
Dopo il disastro della spedizione di Serse, la fama e la rinomanza degli Immortali cominciò lentamente ed inesorabilmente a scomparire e sebbene il loro numero non decrebbe mai fino all’arrivo di Alessandro Magno, la loro nomea invece si.
I Compagni di Alessandro, la cavalleria d’élite del Conquistatore.
Dalla Persia, ma sempre legati ad essa, si passerà ora agli Ἑταῖροι/Hetâiroi, i Compagni, il nerbo della cavalleria macedone ed il fulcro delle conquiste che portarono il Macedone dall’Europa in Asia[14]. “Questi uomini erano scelti tra i nobili macedoni e avevano il compito di proteggere il re in battaglia. La loro lealtà era ineguagliabile e il loro valore in combattimento leggendario. Equipaggiati con lunghe lance e armature scintillanti[15].”, così lo storico latino di epoca claudiana, Curzio Rufo, una delle più importanti fonti sulla vicenda di Alessandro, sebben molto posteriore, descrive gli Hetâiroi.
Le loro radici affiorano nella cavalleria macedone, sviluppata da Filippo II, il padre di Alessandro; Filippo trasformò la cavalleria macedone, all’epoca poco più che una forza di predoni, in un corpo decisivo sul campo di battaglia.
I Compagni divennero lo strumento decisivo di ogni campagna militare di Alessandro, che, in molte occasioni, guidava personalmente in battaglia.
“La pianura di Gaugamela, dove Dario si era accampato con un esercito immenso, era stata preparata con grande cura per favorire l’azione della cavalleria e dei carri da guerra. Alessandro, dopo aver incoraggiato i suoi uomini, li dispose in modo che potessero adattarsi ai movimenti del nemico. Durante la battaglia, vedendo un varco creato dall’attacco dei Persiani, Alessandro con i suoi Compagni, la cavalleria macedone d’élite, si lanciò in una carica diretta verso Dario. La carica fu irresistibile; i Persiani si dispersero e Dario, preso dal panico, voltò le spalle e fuggì, causando il crollo del suo esercito. Fu una vittoria completa, che decise le sorti dell’impero persiano”[16], così lo storico greco di età adrianea, Plutarco, descrive la battaglia di Guagamela, l’ultima battaglia che vide la sconfitta totale ed assoluta del re dei re Dario III nel 331 A.C.
La prima prova dei Compagni, sul campo di battaglia, però avvenne tre anni prima; Alessandro aveva da poco oltrepassato il Bosforo, penetrando in Asia Minore, l’esercito persiano era ancora una minaccia inavvicinabile e lo scontro tutt’altro che scontato, “Alessandro, vedendo che la cavalleria persiana si era radunata sulla riva opposta del fiume, ordinò ai suoi uomini di attraversare il Granico nonostante la corrente. Egli stesso fu tra i primi a immergersi nel fiume, seguito dai suoi Compagni. La carica fu potente e la battaglia divenne presto un corpo a corpo furioso, ma la determinazione di Alessandro e dei suoi uomini portò alla vittoria[17].”, così di nuovo Pluatrco e Curzio Rufo aggiunge, “La cavalleria macedone, guidata da Alessandro in persona, attraversò il fiume sotto una pioggia di frecce e dardi. Alessandro, con impeto e coraggio, si gettò tra le linee nemiche, causando scompiglio tra i Persiani. La battaglia fu dura, ma alla fine la superiorità tattica dei Macedoni e il coraggio del loro re portarono alla vittoria[18].”
Gli Hetairoi non solo contribuirono alle vittorie di Alessandro, ma anche alla diffusione della cultura ellenistica. Dopo la morte di Alessandro, molti dei suoi generali, che avevano iniziato la loro carriera come Compagni, continuarono a esercitare una grande influenza nel mondo antico, fondando dinastie e regni che continuarono a modellare il paesaggio politico e culturale del Mediterraneo e del Medio Oriente per secoli[19].
La storia dei Compagni di Alessandro è un testamento alla potenza della lealtà, della strategia militare e della leadership visionaria. Essi rimangono un esempio imperituro di come un’unità militare d’élite possa cambiare il corso della storia.
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I pretoriani, i custodi del potere della Roma imperiale e la sua rovina
Nel cuore della Roma imperiale, fra i maestosi templi e le opulente dimore dei senatori, esisteva una forza militare che determinò in svariate occasioni il destino degli imperatori: i Pretoriani. Fondati da Augusto nel 27 a.C., furono concepiti come una forza speciale di militari incaricati di proteggere l’imperatore e la famiglia imperiale, nonché la città di Roma, in cui, secondo le leggi sacre, era impedito acquartierare eserciti[20]. La loro influenza crebbe rapidamente, e già circa vent’anni dopo la morte di Augusto, intervennero nelle successioni imperiali, decidendo chi avrebbe regnato e chi sarebbe stato deposto. Mi riferisco all’assassinio di Caligola[21], avvenuto nel 41 d.C.[22]., forse il primo atto che segnò l’inizio della loro reputazione ambigua, sempre in equilibrio fra fedeltà e tradimento. La morte “dell’odiato Caligola” portò sul trono del principato suo zio Claudio, egli fu proclamato imperator dai pretoriani, che con ancora le spade insanguinate, lo trovarono tremante dietro ad alcune tende. “Dunque, dopo aver ucciso Caligola, la guardia dei pretoriani trasportò in fretta nella sua caserma Claudio, che si era nascosto dietro una tenda, e, sebbene avesse offerto una resistenza, fu subito proclamato imperatore[23]”, così Svetonio.
I pretoriani imposero nuovamente la loro volontà nel 68 d.C., quando abbandonarono Nerone appoggiando Galba; poi dopo pochi mesi cambiarono nuovamente partito schierandosi con Otone, che stava marciando dalle Germanie, lasciando che Galba venisse linciato da una folla inferocita.
Costoro svolsero poi un ruolo cruciale nel porre in fieri la cosiddetta crisi del III secolo[24], che portò l’impero romano vicino al suo crollo; in questo secolo i pretoriani divennero i soli arbitri dell’impero arrivando ad eleggere e a deporre, a loro piacimento tutta una sequela di imperatori.
“I pretoriani assassinarono Commodo, in quanto la sua tirannia era insostenibile”[25], ci dice Cassio Dione, storico greco dell’età di Settimio Severo, e poi, “Pertinace fu proclamato imperatore dai pretoriani, ma assassinato poco dopo”[26].
Nel 193 “i pretoriani misero all’asta l’impero e Didio Giuliano, un vecchio senatore, si aggiudicò il trono, promettendo ingenti somme di denaro alla guardia”[27] e ancora, “dopo la morte di Settimio Severo, i pretoriani sostennero Caracalla, come nuovo imperatore, favorito grazie alla sue ricca donazione…Massacrando il fratello Geta su ordine dello stessa Caracalla”[28].
Nel 222 i pretoriani dopo averlo portato sul trono, “uccisero Elagabalo, perché non tolleravano più i suoi eccessi e le sue stravaganze e sostennero il cugino Alessandro Severo, come nuovo imperatore[29]”.
E cosi con molti altri, fino alla battaglia di Ponte Milvio, il 28 ottobre 312, quando Costatino I, il Vincitore, li sconfisse, poiché si erano schierati con Massenzio. Dopo la battaglia Costantino smantellò per sempre quel corpo militare, resosi conto della loro corruzione e delle loro trame che per più di un secolo avevano funestato l’impero[30].
I pretoriani rappresentano un esempio chiaro e lampate di come una forza militare d’élite, legata a doppio filo al potere politico, possa influenzare non solo la sicurezza personale di un individuo ma le sorti di un intero stato.
Conclusione
Le vestigia del mondo antico continuano a sopravvivere nel tessuto della nostra società contemporanea, quasi andando a confermare la massima di Qoelet, Nihil sub sole novum[31].
Molti eventi che caratterizzano il XXI secolo sono stati innescati dalla fedeltà o dalla brama di potere dei “pretoriani” moderni.
Nella prossima sezioni, esploreremo l’evoluzione dei corpi d’élite dalla tarda antichità fino ai giorni nostri, analizzando come queste figure abbiano influenzato la storia e continuino a farlo, confermando che davvero nulla di nuovo accade sotto questo sole.
Note
[1] William L. Moran, The Amarna Letters (titolo originale: Les Lettres d’El-Amarna 1987, Edition du Cerf), Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1992.
[2] Mario Liverani, Le lettere di el-Amarna, vol 1, lettere dei “Piccoli Re”, Brescia, Paideia, 1998/ Mario Liverani, Le lettere di el-Amarna, vol 2, lettere dei “Grandi Re”, Brescia, Paideia, 1999.
[3] Giacomo Cavillier, Gli Shardana e l’Egitto ramesside, collana BAR, n. 1438, Oxford, Archaeopress, 2008.
[4] Ann E. Killebrew, The Philistines and Other “Sea Peoples” in Text and Archaeology, in Society of Biblical Literature Archaeology and biblical studies, vol. 15, Society of Biblical Lit, 2013.
[5] Nicolas Grimal, A History of Ancient Egypt, Oxford, 1992.
[6]Ockinga, Boyo “On the Interpretation of the Kadesh Record”, Chronique d’Égypte, 1987.
[7] Battle inscriptions in Lichtheim, 63 ff, 1976.
[8] Erodoto, Storie, I. 108- 122.
[9] Erodoto, Storie, VII 83 e 224.
[10] Nicholas Sekunda. “The Persian Army 560-330 BC.” Osprey Publishing, 1992.
[11]John Curtis. “Ancient Persia.” British Museum Press, 2000.
[12] Erodoto, Storie, VII, 224.
[13] Ibidem.
[14] Peter Green, Alexander of Macedon, 356-323 B.C.: A Historical Biography.” University of California Press, 1991.
[15] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, III, 2.
[16] Plutarco, Vita di Alessandro, 33-34.
[17] Plutarco, Vita di Alessandro, 16.
[18] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, II, 9.
[19]Hammond, The Genius of Alexander the Great,University of North Carolina Press, 1997.
[20] Giovanni Forni, Il reclutamento delle legioni da Augusto a Diocleziano, Milano, 1953.
[21] Tacito, Annales, LIX, 30.
[22] Svetonio, Vita dei dodici Cesari, Caligola, 59-60.
[23] Svetonio, Vita dei dodici Cesari, Claudio, 10.
[24] Averil Cameron, Il tardo impero romano, Milano, 1995.
[25] Cassio Dione, Storia Romana, LXXIII, 15.
[26] Cassio Dione, Storia Romana, LXXV, 3.
[27] Cassio Dione, Storia Romana, LXXIII, 11.
[28] Erodiano, Storia dell’Impero dopo Marco Aurelio, IV, 6.
[29] Erodiano, Storia dell’Impero dopo Marco Aurelio, V, 8.
[30] Zosimo, Storia Nuova, II, 15-16.
[31] Qoelet 1,9-10, Niente di nuovo sotto il sole.
Foto copertina: Pretoriani