Sotto il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dall’1 al 3 dicembre si è svolta a Roma l’ISPI MED22 Dialogues, una tre giorni che ha riunito Ministri, Rappresentanti Speciali, ricercatori ed esperti di alto livello in un forum di dialogo sul Mediterraneo come area di cooperazione in una prospettiva di interesse geoeconomico e strategico per l’Italia e per l’Europa.
Nell’ottica di un ripensamento degli approcci tradizionali all’area Mediterranea, l’ ISPI MED22 Dialogues “Weathering the storms: interdependence, resilience and cooperation” ha raccolto esperti e rappresentanti dei Paesi della regione al fine di integrare analisi innovative delle sfide attuali con nuove idee e suggerimenti per l’elaborazione di un’agenda positiva condivisa tanto a livello locale, quanto internazionale. Area centrale per la stabilità degli assetti geopolitici globali, negli ultimi decenni il Mediterraneo è stato terreno di scontro e competizione tra potenze regionali, cui ha contribuito una mancanza di obiettivi condivise a livello europeo. L’esigenza di un Mediterraneo stabile e pacifico si fa tuttavia più impellente, così come urgente è la necessità di elaborare una strategia comune affinché la regione possa affermarsi come spazio di collaborazione e confronto inclusivo, frutto di un’indispensabile dialogo con i Paesi del Nord Africa, del Medio Oriente e del Golfo. Particolare attenzione è poi rivolta al concetto del cosiddetto “Mediterraneo integrato”, che non si limita agli Stati costieri bensì allarga lo sguardo all’Africa Sub-sahariana, da cui provengono minacce – tra cui traffici illeciti, migrazione illegale e terrorismo, sempre più radicate ed impattanti in tutto lo spazio europeo.
Sahel, Nord Africa, Europa: il percorso verticale dell’instabilità
In occasione del panel di apertura a tema sicurezza, la Presidentessa del Comitato Affari Esteri e Difesa del Senato della Repubblica Italiana Stefania Craxi ha ribadito la centralità di un Mediterraneo stabile come luogo di progresso per la costruzione di un nuovo ordine mondiale. Lo sviluppo di una politica estera comune in Europa si caratterizza come prioritaria per il superamento della competizione intra-europea che ha contraddistinto il decennio passato e si è resa particolarmente evidente nel teatro libico. A tal proposito, la diplomazia parlamentare diventa strumento imprescindibile nei teatri di crisi ed instabilità tipici dell’Africa del Nord, in cui si succedono in maniera repentina governi e realtà statuali fragili. La creazione di legami profondi per l’oggi e per il futuro a livello multilaterale e l’armonizzazione delle copiose organizzazioni attive nel campo dell’integrazione regionale risulta dunque parte di una strategia che deve coinvolgere anche la diplomazia apicale, necessaria allo sviluppo di partnership proficue e continuative. In tale contesto, un’attenzione specifica deve essere rivolta al Sahel, che rientra necessariamente tra le priorità strategiche della politica estera italiana nel Mediterraneo in virtù della posizione del Paese quale primo destinatario delle conseguenze delle instabilità regionali. Su un approccio multidimensionale che include la capacità di risposta locale alle crisi e la cooperazione ha insistito anche Emanuela Del Re, Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per il Sahel, che ha presentato lo stato di avanzamento delle politiche europee nella regione. Nonostante una narrativa spesso pessimistica nei confronti del Sahel – frontiera dell’Europa e area di transito di traffici illegali sulla rotta del Golfo di Guinea – l’Europa è recentemente stata testimone di un ancor più stretto coinvolgimento nella regione. Alla luce delle turbolenze generate dalla guerra fra Russia e Ucraina, è tuttavia necessario elaborare una strategia ancor più integrata e coordinata a livello europeo, che attraverso il diretto coinvolgimento dei Paesi in questione sia in grado di proporre soluzioni concrete, sostenibili e a lungo termine – anche nell’ottica di una Russia maggiormente competitiva in Sahel, ma che tuttavia si limita ad offrire una visione “effimera” ed “illusoria” per il futuro. Non meno importante, l’Europa non deve nascondere l’interesse per la regione, la cui importanza strategica diverrà ancor più evidente nei prossimi anni. Non solo in termini di crisi umanitarie, povertà e (in)sicurezza alimentare, bensì di opportunità per l’Europa di presentarsi come promotore di un modello di governance che agisce alla base delle instabilità.
L’arte della pace in tempi di guerra
Nel panel dedicato alla soluzione pacifica delle controversie nell’area MENA, Loredana Teodorescu – presidente del Mediterranean Women Mediators Network (MWMN) ha ribadito il ruolo della diplomazia come protagonista di ogni strategia volta a creare ponti e superare fratture all’interno delle società. Arricchita di attori quali organizzazioni internazionali, network di giovani e donne e la società civile, la diplomazia si pone infatti come unica soluzione alla guerra, in modo particolare in aree di instabilità come Algeria, Tunisia e Libia. Dello stesso avviso Joanna Wronecka, Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Libano, che forte della sua esperienza nel Paese ha sottolineato come la diplomazia necessiti di riguadagnare il proprio ruolo centrale anche attraverso l’inclusione dell’intera società nei processi di dialogo. In questo senso, il settore energetico sembra offrire particolari opportunità di diplomazia economica volta a creare nuove opportunità di business e cooperazione, come accaduto nel teatro libanese in situazioni di crisi energetica, durante le quali i Paesi della regione sono stati incoraggiati dagli Stati Uniti a fornire assistenza e a collaborare sul fronte dell’energia. Una più ampia visione della diplomazia come strumento di pace è stata fornita da Stephanie Williams, Special Adviser to the Secretary General delle Nazioni Unite per la Libia. L’insuccesso dell’imposizione di una soluzione militare nel 2019 mostra infatti come una diplomazia multi-livello e multinazionale incentrata sul rispetto dei diritti umani sia l’unico rimedio in un Paese in cui l’élite politica al potere beneficia del mantenimento dello status quo e la società civile, timorosa di una nuova escalation interna, teme un calo di attenzione internazionale per via del conflitto in Ucraina. Per evitare che la Libia precipiti in un ennesimo circolo di violenze, la società civile diventa una soluzione chiave su cui investire, tanto in forma di dialogo quanto di mediazione.
Crisi e resilienza in Nord Africa
Le tensioni geopolitiche generate dal conflitto russo-ucraino hanno impattato in maniera considerevole i Paesi del Nord Africa. In particolare, il Maghreb è stato teatro di grandi cambiamenti a partire dal 2011, anno in cui è scoccata la scintilla delle primavere arabe in Tunisia e, successivamente, in tutta la regione. Le singole risposte più o meno violente dei regimi politici in carica nei confronti dei manifestanti hanno determinato gli andamenti dei Paesi nel decennio successivo, generando nella maggior parte dei casi instabilità, fratture e fragilità che hanno esacerbato tanto la situazione interna, quanto l’integrazione della regione. Ne è un esempio il Sahara Occidentale e i difficili rapporti tra Marocco e Algeria, così come l’emergere di un forte senso di sovranità nei governi locali. Il dossier algerino, nello specifico, si caratterizza come interessante caso di analisi delle necessità di stabilità e visione per l’area. Partner strategico italiano già precedentemente al 24 febbraio e terzo fornitore di gas dopo Russia e Norvegia, l’Algeria ha aumentato del 38% le forniture energetiche al nostro Paese anche attraverso gli sforzi dell’ex Ministro degli Esteri Luigi di Maio. Ciononostante, sul piano interno si aprono nuovi scenari in termini di sostenibilità delle forniture, che toccano tanto il ritmo di fornitura del gas e il rischio di riduzione delle riserve, quanto i bisogni di rinnovamento infrastrutturale, investimenti ed equipaggiamenti. Nel complesso, secondo l’analista Dalia Ghanem ciò a cui si è assistito in riferimento al Maghreb è una progressiva diramazione delle singole strategie economiche, sociali e di politica estera, oltre ad una de-regionalizzazione nel Nord Africa. Le cosiddette “autocrazie di sviluppo” dell’area guardano verso est piuttosto che verso nord e dunque all’Europa, verso la quale vi è un forte sentimento di sconforto e timore di una nuova polarizzazione sul modello della guerra fredda, che danneggerebbe in modo significativo tali Paesi sul piano della sicurezza (anche alimentare).
Per Emna Ben Arab, docente presso l’Università di Tunisi, stiamo assistendo ad una nuova rivalità geopolitica in Maghreb, che tuttavia non è possibile definire in termini classici: per gli Stati Uniti, l’area non rientra tra le priorità immediate, così come per la Cina – che guarda al Maghreb in modo periferico e non centrale ai progetti di investimento. Vi è tuttavia un maggiore interesse verso i Paesi del Golfo – Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in primis – e la Turchia, attori regionali sempre più rilevanti.
Il vicinato prossimo dell’Europa
Il già affrontato tema migratorio è stato oggetto delle discussioni portate avanti alla presenza del Ministro degli Affari Esteri ed Europei della Croazia Gordan Grlic-Radman, che ha ribadito le difficoltà del Paese nella gestione dei flussi umani provenienti dalla rotta balcanica. Attualmente, il governo ha dispiegato forze di polizia comprendenti oltre 6500 unità lungo il confine con la Bosnia-Erzegovina, con l’obiettivo di garantire un maggiore contrasto all’immigrazione illegale e la tutela dei rifugiati, nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Il ricordo della crisi migratoria del 2015 è inoltre particolarmente vivo per il Ministro, che nella speranza di una maggiore integrazione ha fatto appello ad una nuova politica migratoria a livello comunitario, con l’obiettivo di contrastare i traffici illegali e il terrorismo.
Quale futuro per le relazioni tra Iran e Occidente?
La questione iraniana si presenta con una certa sfumatura di criticità per l’Occidente. Nel corso degli ultimi mesi, l’Iran è stato al centro dell’attenzione globale per le proteste generate in seguito all’uccisione di Masha Amini, represse in maniera particolarmente violenta da parte delle autorità. Ciononostante, sono numerose le tematiche su cui le fratture con l’Occidente rischiano di diventare sempre più ampie. In primo luogo il nucleare, che ha visto gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump fare marcia indietro sugli accordi con l’Iran (JPCOA). Se la Presidenza Biden si è insediata con il mandato di ripristinare tali accordi, l’Iran ha recentemente preso la decisione di non cooperare più con l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), lasciando dunque aperti nuovi scenari di instabilità. Per Ellie Geranmayeh, Deputy Director and Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations (ECFR), sebbene l’Europa abbia a lungo giocato un ruolo fondamentale di mediatore, ci sono segni di cambiamento sull’approccio verso l’Iran: lo testimoniano le sanzioni adottate a fronte delle proteste, così come le dichiarazioni tedesche dell’impossibilità di trattare con l’Iran secondo una strategia di business as usual. Ci si chiede dunque se si stia andando verso un allontanamento della diplomazia in favore di un più ampio isolamento del Paese. Per Robert Malley, Rappresentante Speciale degli Stati Uniti in Iran, a preoccupare sono anche le escalation nelle aree di confine con l’Iran e le tensioni con l’Azerbaijan legate a rivendicazioni territoriali, così come il crescente intensificarsi delle relazioni con la Russia, che hanno raggiunto l’apice con il supporto iraniano all’operazione speciale militare in Ucraina. La Russia sembra inoltre concedere un maggiore spazio di manovra ad alcune medie potenze dell’area (tra cui Iran e Turchia) all’interno dei conflitti regionali, con notevoli conseguenze per la sicurezza Europea e per la stabilità della regione.
Un mediterraneo sempre più strategico
Nei saluti conclusivi, l’intervento del presidente ISPI Gianpiero Massolo ha rimarcato la necessità di adottare un nuovo paradigma per l’area Mediterranea e i suoi confini in cui le singole nazioni sono protagoniste con le proprie diversità, culture e società. L’Europa deve pertanto adottare un approccio unito e condiviso nella regione, che vada oltre soluzioni squisitamente locali e a breve termine. Frutto di un’intensa attività di dialogo con Capi di Stato, Ministri ed esperti, una nuova agenda in cui l’Italia e l’Europa possano porsi come leader dovrà comprendere iniziative volte a promuovere la stabilizzazione delle crisi; i cambiamenti climatici e le crisi alimentari; lo sviluppo del potenziale energetico, a fronte della volontà dei Paesi del Mediterraneo ad essere inclusi nella transizione energetica; l’unificazione delle realtà locali e globali; l’investimento nei giovani e nella parità di genere; il dialogo culturale ed interreligioso. In quest’ottica, non è possibile escludere l’Africa Sub-sahariana e bypassare il concetto di Mediterraneo allargato, benché non sia possibile risolvere nel giro di pochi anni le tensioni dell’area.
Con specifico riguardo alla postura dell’Italia, il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani si è detto in favore di Roma quale protagonista dell’area mediterranea in termini di dialogo e condivisione di buone pratiche. L’Italia è aperta alla collaborazione con i partner mediterranei tanto nell’ambito dell’agricoltura, attraverso la fornitura di know-how e tecnologia volta a stimolare una crescita sostenibile e resiliente ai cambiamenti climatici, quanto nel campo dell’immigrazione e della lotta al terrorismo. A tal proposito, nei rapporti con l’Africa è necessario porsi in una prospettiva di ascolto, confronto e cooperazione non secondo i canoni europei, bensì in un’ottica di comprensione delle esigenze locali.
A chiudere i MED Dialogues 2022 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, che ha enfatizzato come l’Italia sia cerniera e ponte naturale energetico fra il Mediterraneo e l’Europa, in virtù di una posizione geostrategica particolare, delle sue infrastrutture e del prezioso contributo dato dalle proprie imprese. Il suo governo è pertanto impegnato a rafforzare il ruolo dell’Italia nell’area mediterranea, con l’obiettivo ultimo di creare uno spazio condiviso di prosperità per la risoluzione delle crisi impellenti e l’ascolto dei bisogni dell’intera società.
Foto copertina: ISPI MED22