La crisi del centro-sinistra in Europa


La politica sta cambiando, i partiti di massa nei principali paesi europei sono quasi completamente scomparsi, gli ultimi rimasti fanno un’enorme fatica minacciati da movimenti populisti e post-ideologici. Alessandro Lugli con “La crisi del centro-sinistra in Europa” Eiffel Edizioni (2021), ci aiuta a comprendere le ragioni di questa crisi nei quattro principali paesi europei: Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna.


Maggio 2019 i cittadini sono chiamati a votare i loro rappresentanti al Parlamento Europeo. In Italia la Lega di Salvini ottiene 28 seggi risultando il primo partito del paese, lo stesso accade in Francia dove Rassemblement National di Marine Le Pen ne prende 22, in Germania l’estrema destra di Alternative für Deutschland ne prende 11 e in Gran Bretagna stravince il Brexit Party con 29 seggi. I risultati fotografano un dato incontrovertibile: la destra e i movimenti populisti stanno avanzando, i partiti tradizionalisti di centro-sinistra in Europa sono in crisi e marcano il loro incessabile declino, un declino partito da lontano.

Con “La crisi del centro-sinistra in Europa” Eiffel Edizioni, Alessandro Lugli[1] esplora le ragioni di questo declino, con una riflessione approfondita sull’evoluzione storica del recente passato ed analizzando la crisi della socialdemocrazia e dei partiti di riferimento in Italia, in Francia, in Germania e in Gran Bretagna.
Un bel libro utile a far comprendere al lettore non solo i passaggi storici degli ultimi decenni anche perché oggi l’elettorato che storicamente è stato del centro-sinistra, preferisce guardare altrove, dai movimenti populisti alla destra estrema. Intervista con l’autore.

Perché il centro-sinistra è entrato in crisi in Europa?
“È una domanda molto complessa. Può sembrare un’esagerazione, ma la crisi del centro-sinistra è un processo in corso da più di quarant’anni. Negli anni Settanta, con l’emersione della stagflazione, il modello keynesiano è entrato in crisi, sancendo l’insostenibilità dello Stato sociale così come ideato nel Secondo dopoguerra. La conseguente diffusione del neoliberismo su scala mondiale e la fine della Guerra Fredda hanno fatto il resto. I meccanismi di protezione sociale adottati durante il trentennio 1945-1975 sono saltati mettendo in crisi il patto socialdemocratico tra politica, capitale e classe operaia. In estrema sintesi, oggi i partiti di centro-sinistra vengono considerati distanti ed elitari poiché percepiti come più interessati a gestire il mercato invece che le questioni sociali.”

Quali sono le motivazioni di questa disaffezione dell’elettorato di sinistra verso i tradizionali partiti di riferimento?
“Complice il fallimento del modello comunista, che per circa quattro decadi, in Occidente, aveva permesso una dialettica tra capitalismo e socialismo, i partiti che oggi definiamo di centro-sinistra non sono riusciti a reagire all’onda d’urto del neoliberismo; anzi, ne hanno adottato molte delle caratteristiche, nell’illusione di poter competere elettoralmente con i partiti conservatori. Non a caso, in Europa, SPD, Labour Party e Partie Socialiste si sono resi protagonisti di riforme dello stato sociale che hanno definitivamente compromesso il sistema di tutela delle classi più vulnerabili. Lo stesso hanno fatto in Italia i socialisti prima e i democratici poi. Questo ha portato a un distacco sempre più netto tra i partiti di centro-sinistra e quello che un tempo era stato il loro elettorato di riferimento, vale a dire quello operaio. D’altronde, le trasformazioni che hanno interessato il sistema capitalista negli ultimi decenni hanno reso sempre più difficile il compito di chi è chiamato a introdurre programmi di protezione sociale: la globalizzazione incontrollata ha permesso ai grandi capitali di andare a caccia di manodopera a basso costo in giro per il mondo, peggiorando sensibilmente le condizioni di quelle che oggi sono a tutti gli effetti classi subalterne. Da qui, l’antipatia di milioni di elettori nei confronti di partiti considerati incapaci di tutelare gli interessi dei più deboli (specie quelli economici). Possiamo dire che uno dei grandi paradossi del nostro tempo è che i progressisti non sono stati in grado di comprendere il progresso.”

Cosa vuol dire oggi essere di “sinistra”?
“Tra tutte, questa è senz’altro la domanda più difficile a cui rispondere. Innanzitutto, è bene capire di quale sinistra stiamo parlando. Esiste una sinistra progressista, colta e interessata alle battaglie civili (come, per esempio, quella del Partito Democratico). Poi ne esiste un’altra antisistema e sempre più ammantata da un’aura populista (quella alla Mélenchon, per intenderci). Esiste poi un folto gruppo di elettori di centro dichiaratamente liberisti, più assimilabile al centro-destra che al centro-sinistra, che però continua a definirsi di “sinistra”. Stando così le cose, non è semplice capire cosa voglia dire oggi essere di “sinistra”. Posso però dire cosa, a mio modesto parere, dovrebbe dire essere di “sinistra” oggi. A tal proposito, direi che esistono alcune tematiche imprescindibili: redistribuzione della ricchezza, tutela dei diritti dei lavoratori, inclusione sociale, assistenza sanitaria universale, estensione della gratuità dell’istruzione, rispetto delle diversità, europeismo e atlantismo.”

In Italia si ha la sensazione che i partiti di centro-sinistra abbiamo preferito sposare le battaglie “civili” a discapito di quelle “sociali”. Potrebbe essere questo il motivo che porta a considera il PD non come un partito di centro-sinistra ma come un partito delle élite?

“È senz’altro uno dei tanti motivi alla base della crisi del Partito Democratico (e non solo, il discorso è ampliabile anche agli omologhi europei e americani). Seppur spiacevole, la verità è che l’aumento delle disuguaglianze ha reso le battaglie civili appannaggio pressoché esclusivo delle classi più avvantaggiate. In Europa, e ancor di più negli Stati Uniti, ci sono milioni di persone che ogni giorno combattono con l’incertezza occupazionale (nel senso che devono andare letteralmente a caccia di un lavoro ogni qualvolta sorge il sole). Per anni queste persone hanno sentito i leader dei partiti socialdemocratici parlare di diversità e inclusione, ma la verità è che queste rivendicazioni hanno poca presa su persone costrette a vivere di sussidi e poco più. Per riemergere dallo stato di crisi in cui sono piombati, i partiti di centro-sinistra dovrebbero abbracciare sia le battaglie civili che quelle sociali poiché si tratta di rivendicazioni legate a doppio filo: tanto per fare un esempio molto italiano, è assurdo pensare di tutelare l’immigrazione senza proteggere gli immigrati dall’incubo del caporalato.”

In Francia con grande sorpresa Jean-Luc Mélenchon leader di La France Insoumise ha raggiunto il 22% andando ad un passo dal ballottaggio. Quali sono stati i temi della campagna elettorale del candidato della “gauche” francese?

“Jean-Luc Mélenchon è stato molto coerente con se stesso. Si è presentato agli elettori come un anziano tribuno fedele alle lotte socialiste portate avanti in oltre trent’anni di carriera. I temi che hanno infiammato la sua campagna elettorale (che, è bene ricordare, è avvenuta per buona parte in un clima di paranoia dovuto alla guerra in Ucraina) sono stati pochi, ma perentori: ripristino dell’età pensionabile a 60 anni, aumento del salario minimo, congelamento dei prezzi dell’energia, transizione ecologica. In sintesi, potremmo dire che la macro-tematica della campagna elettorale di Mélenchon sia stata la critica all’attuale modello capitalista. Il leader di La France Insoumise, infatti, vorrebbe proibire il mercato azionario, i licenziamenti economici da parte di aziende che pagano dividendi, ma vorrebbe anche introdurre un meccanismo per garantire autonomia economica a tutti i cittadini francesi, specie i più giovani. Ciò che di certo colpisce è lo strabiliante successo ottenuto da un convinto sostenitore dell’uscita della Francia dalla NATO nel bel mezzo di una guerra alle porte dell’Europa. Questo dimostra che l’insoddisfazione socioeconomica di tanti cittadini francesi supera persino la paura di un conflitto armato.”

Potrebbe esserci un “effetto Mélenchon” in Europa?

“Quando si parla di Mélenchon non ci si sofferma mai su un dato fondamentale: a parte una breve esperienza come delegato del ministro dell’educazione nel governo Jospin, il leader di La France Insoumise non ha ancora avuto esperienze di governo. Il grande successo del mélenchonismo si basa anche sull’estraneità di Mélenchon alle logiche di governo. La crisi di consensi che stanno vivendo il Movimento 5 Stelle in Italia e Podemos in Spagna mostra tutti i limiti del populismo di sinistra (o presunto tale) di fronte alla necessità di trasformare in azioni di governo promesse elettorali spesso aleatorie. Detto ciò, penso che l’esistenza di partiti radicali come La France Insoumise potrebbe dare nuova linfa vitale al centro-sinistra: una dialettica tra massimalisti e moderati permetterebbe ai progressisti di spostare il proprio baricentro un po’ più lontano dal centro. Quindi un “effetto Mélenchon” è più che auspicabile. Però mi risulta difficile al momento individuare dei partiti in grado di ripetere quanto fatto da Mélenchon alle ultime elezioni, per il semplice fatto che, in Paesi come Italia, Germania e Spagna, l’ondata populista è arrivata già da tempo, ma con modi ed effetti diversi.”

È d’accordo con l’affermazione “Mélenchon appartiene ad una sinistra diffusa ma non rappresentata in Italia”?

“In parte sì. Credo che anche in Italia esista un elettorato di questo tipo; un elettorato che al momento non riesce a trovare alcuna collocazione o magari solamente una collocazione forzata. Mi riferisco, per esempio, ai tanti ex elettori della sinistra radicale che hanno votato il Movimento 5 Stelle o a quelli che, nonostante tutto, continuano a votare il Partito Democratico. Penso soprattutto ai giovani, i quali, cresciuti senza ideologie, hanno dimostrato di essere particolarmente attratti dal socialismo massimalista dei vari Corbyn, Sanders e Mélenchon. Va detto, però, che in Francia esiste una sensibilità di sinistra un po’ più diffusa rispetto all’Italia; dubito che un partito come La France Insoumise qui da noi raggiungerebbe il 22%.”

Quale futuro per il centro-sinistra in Italia e in Europa?

“Nonostante la disfatta del Partie Socialiste in Francia non sia di buon auspicio, per il centro-sinistra potrebbe essere finalmente giunta la primavera. La pandemia ha dimostrato in maniera netta l’obsolescenza del modello neoliberista: la moltiplicazione delle diseguaglianze e la debolezza dei sistemi sanitario e scolastico hanno reso palese la necessità di aumentare la spesa pubblica e istituire uno stato sociale degno di questo nome. Naturalmente, se il centro-sinistra vuole continuare a giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere politico deve tornare a parlare alle tante vittime della globalizzazione incontrollata. In questo senso, la tutela delle classi più periferiche dovrà assumere un ruolo fondamentale nella strutturazione dei programmi di tali partiti. Qualora il centro-sinistra non dovesse riuscire a introdurre una seria strategia di redistribuzione della ricchezza, il futuro dei progressisti sarà tutt’altro che roseo.”


Note

[1] Alessandro Lugli nel 2016 ha conseguito una laurea triennale in Lingue e letterature straniere a La Sapienza e nel 2019 una magistrale in Relazioni Internazionali presso la LUMSA di Roma autore di “La crisi del centro-sinistra in Europa”


Foto copertina libro “La crisi del centro-sinistra in Europa”