La Finlandia è nella NATO, la Svezia attende


La supremazia della Realpolitik mette tutti d’accordo e scioglie il primo veto turco, mentre si interrompono momentaneamente i dialoghi con la Svezia


A cura di Daniele Ferraguti

Le ratifiche ravvicinate del Parlamento ungherese e di quello turco hanno sancito ufficialmente l’entrata della Finlandia nella NATO. È un passo storico candidato a compattare ulteriormente l’interdipendenza militare dell’Occidente verso le minacce esterne. Un contraccolpo importante, invece, per la Russia, che rischia concretamente di perdere anche la sua proiezione nel Baltico.   

Il patto trilaterale

L’avvio del processo di mediazione tra le parti ha avuto inizio nel giugno 2022 – in occasione del summit NATO di Madrid – con la firma del Memorandum d’intesa tra Turchia, Finlandia e Svezia.
In primo luogo, i due Paesi nordici si sono impegnati nel non offrire nessun tipo di supporto alle milizie e alle fazioni curde, come l’Unità di Protezione Popolare (YPG) e il movimento Gülen, quest’ultimo ritenuto un’organizzazione terroristica dal Governo turco. Congiuntamente, è stata instaurata una cooperazione securitaria al fine di prevenire e condannare le azioni del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Un patto trilaterale che garantisce alla Turchia non solo un rafforzamento della stabilità interna desiderata da Erdoğan, ma anche una libertà di manovra politica che – probabilmente – riceverà anche il benestare dell’Unione Europea.
Inoltre, è opportuno considerare anche l’influenza della politica interna turca sul dialogo diplomatico in corso – in vista delle elezioni presidenziali di maggio. Il baratto di Ankara potrebbe risultare una grande conquista elettorale per il Presidente in carica, intento a rinsaldare la sua posizione messa in discussione da una coalizione di opposizione in crescita.
In secondo luogo, Ankara ha posto tra le condizioni la cessazione dell’embargo sulle armi nei propri confronti, richiamando il principio della mutua assistenza presente nell’art.3 del Trattato di Washington.
La garanzia reciproca sugli accordi è stata affidata all’istituzione del Permanent Joint Mechanism, volto a garantire l’attuazione degli impegni presi attraverso periodiche riunioni multilaterali[1].

La riabilitazione della Turchia

La cessazione del divieto di esportazione di materiale militare è stata una delle prime condizione risolte in seguito agli accordi stabiliti dal Memorandum. Un veto che risaliva al 2019, anno dell’intervento militare turco nella guerra civile siriana e condannato da numerosi Paesi europei. Nello specifico, l’interesse turco riguardava le forniture di acciaio della società finlandese Miilux[2], utilizzate per le armature dei veicoli militari.
Una scelta – quella finlandese – dalle forti connotazioni politiche, che evidenzia la rinuncia di una condanna etico-valoriale alla Turchia in favore di un interesse ritenuto superiore.
Le esigenze securitarie di Finlandia e Svezia hanno permesso alla Turchia di porsi in una posizione di forza politica e diplomatica all’interno della NATO. Il momento storico ha favorito il Paese guidato da Erdoğan, che si è trovato da essere un membro non allineato ed “emarginato” all’interno dell’Alleanza, ad esserne l’ago della bilancia del suo allargamento. Dall’attuale scenario emerge una Turchia riabilitata, sia come attore fondamentale all’interno della sicurezza collettiva europea, sia come partner di dialogo e cooperazione – ufficialmente dichiaratasi favorevole alla Open Door policy dell’Alleanza[3].

Washington-Ankara: questione di interessi reciproci

Il processo di adesione di Finlandia e Svezia alla NATO ha visto giocare la Turchia su due sponde parallele: una con le dirette candidate e l’altra con gli Stati Uniti. La prima – volta a giungere ad un allineamento valoriale all’interno dell’Alleanza – ha già avuto parzialmente l’esito desiderato. La seconda, puramente strategica, è ancora in corso e riguarda il futuro della capacità militari turche e del suo conseguente peso regionale.
L’obiettivo di Ankara è quello di ricucire i rapporti con Washington legati all’industria della difesa e alla compravendita di tecnologie militari, interrotti in seguito all’ambiguità turca in materia. Il dissidio ebbe inizio nel 2019, quando la Turchia venne estromessa dal programma di produzione degli F-35 a causa dell’acquisto del sistema antiaereo russo S-400. La criticità riguardò la sicurezza e la tutela di informazioni sensibili del programma militare, ritenute incompatibili dagli Stati Uniti con le acquisizioni turche.

Leggi anche:

La questione si è riaperta nell’ottobre 2021, quando la Turchia ha richiesto agli USA di acquistare 40 F-16 e 79 kit di aggiornamento tecnologico per i suoi caccia militari, per un valore di vendita stimato in 20 miliardi di dollari[4].
Dopo un iniziale tentennamento del Congresso statunitense, ad oggi le dinamiche sembrano essere cambiate e – con ogni probabilità – la richiesta turca verrà approvata nel breve termine, come dichiarato anche dal Segretario di Stato Antony Blinken nel febbraio scorso.
Quella che può apparire come una gentile concessione pro-atlantista degli Stati Uniti, però, invita anche ad analizzare i guadagni di ritorno degli stessi.
Lockheed Martin – la principale industria della Difesa statunitense – ha assunto impegni di produzione di F-16 e kit tecnologici inerenti con circa dieci Paesi, accumulando un carico produttivo di 148 aerei[5]. Stando all’attuale ritmo industriale, di circa quattro aerei al mese, la Turchia potrebbe ricevere i primi F-16 tra tre anni[6], motivo per il quale sta valutando anche altre opzioni, come l’acquisto degli Eurofighter Typhoons.
Questo fattore potrebbe spingere Washington a modificare le priorità di consegna privilegiando la Turchia, al fine di accontentare Ankara e onorare il compromesso implicitamente sancito. In tale ipotesi, rifornirebbe un Paese membro della NATO – giustificando eventuali ritardi verso gli acquisitori terzi – e, inoltre, scongiurerebbe la possibilità di perdere un ingente introito economico in favore di un’industria militare estera.
La netta crescita dell’industria della difesa turca avvenuta negli ultimi anni, sempre più incline alla produzione autoctona di tecnologie militari[7], potrebbe comportare un allontanamento della dipendenza dalla filiera produttiva statunitense, qualora quest’ultima non si mostrasse sufficientemente disposta e resiliente nell’accogliere le necessità di ammodernamento delle forze armate turche. Un potenziale rischio per gli interessi americani, ma anche un’opportunità per “riportare” la Turchia all’interno della NATO ed evitare possibili collaborazioni con Paesi concorrenti o rivali.
Del resto, la geografia strategica e il peso regionale della Turchia non possono essere ignorati all’interno dell’architettura securitaria euro-occidentale.

La Svezia rimane in sospeso

L’approvazione della richiesta di membership svedese al momento è sospesa a causa dello stallo della Turchia, che si è mostrata ancora scettica e insoddisfatta verso le posizioni assunte dalla Svezia.
La divergenza più discussa riguarda l’atteggiamento del Governo svedese nei confronti delle istanze curde, ritenuto particolarmente aperto e concessivo da parte turca. I curdi rappresentano una realtà sociale nel Paese scandinavo, che conta circa 150.000 residenti. In virtù di ciò, la gestione della componente politica interna ed esterna potrebbe creare dei problemi alla Svezia, nota per essere uno dei Paesi più democratici e liberi al mondo.
Inoltre, l’episodio che ha visto un militante dell’estrema destra svedese – Rasmus Paludan – bruciare il Corano davanti l’ambasciata turca ha inasprito fortemente i rapporti diplomatici bilaterali, con un conseguente congelamento delle trattative.
Il nodo legato alla Svezia, pertanto, quasi certamente si protrarrà fino alle elezioni presidenziali turche, previste il 14 maggio. L’esito di esse sarà il primo elemento determinante per la prosecuzione dell’iter di ammissione nell’Alleanza.
Tuttavia, nel lungo termine l’entrata della Svezia nella NATO appare soltanto posticipata ma non messa in discussione.
Ad oggi, la questione svedese rappresenta l’ultima grande carta da giocare per la Turchia; ovvero un potenziale oggetto di contrattazione, funzionale ad avanzare delle richieste ulteriori. La fase di stallo, pertanto, potrebbe risultare utile per Ankara nel determinare le proprie priorità strategiche e valutare le condizioni proponibili ai vertici della NATO per sciogliere anche l’ultimo veto.


Note

[1]{Cfr. Trilateral Memorandum, 28 giugno 2022.}
[2]{Cfr. Soylu R., Finland permits first defence export to Turkey since 2019, Middle East Eye, 25 January 2023.}
[3]{Cfr. Ministry of Foreign Affairs of Turkey, Turkey’s and NATO’s views on current issues of the Alliance.}
[4]{Cfr. Pamuk H., U.S. Congress says F-16 sale to Turkey depends on NATO approval, Reuters, 3 February 2023.}
[5] {Congressional Research Service, Turkey: Major Issues and U.S. Relations, 31 March 2023.}
[6] Ibidem
[7]{Cfr. Kasapoglu C., Transforming from arms importer to trendsetter: Assessing the growth of Turkey’s defense industries, Atlantic Council, 22 December 2022.}


Foto copertina: Il presidente finlandese Haavisto e il segretario generale della Nato Stoltenberg / Nato