La risposta dell’Unione europea alla repressione in Siria


Il  Consiglio Europeo tra le misure sanzionatorie contro Damasco ed i rapporti con la Turchia.


A cura di Laura Perna

Nel quadro della generale e ferma opposizione ad ogni violazione del diritto umanitario internazionale, il Consiglio europeo, con particolare riferimento al regime in Siria, ha espresso una decisa condanna degli abusi sistematicamente perpetrati ai danni della popolazione civile.
L’assedio di aree densamente popolate per ridurre alla fame gli abitanti e lo spostamento forzato di gruppi etnici sono azioni equiparabili a crimini di guerra o contro l’umanità; e, dalle dichiarazioni, l’Alto rappresentante pare essere pienamente cosciente della necessità di adottare efficaci iniziative per porvi fine ed individuare e condannare i diretti responsabili[1]. Una pace duratura in Siria è impossibile con l’attuale regime al potere e, pertanto, sono state adottate misure restrittive, che verranno mantenute ed incrementate finché persisterà lo stato di repressione.

Le misure restrittive contro il regime di Assad         

Le sanzioni adottate nei confronti della Siria sono state introdotte nel 2011 per contrastare le violenze perpetrate dal regime di Assad per reprimere la popolazione civile e si rivolgono anche a società e imprenditori coinvolti, che traggono vantaggio dai loro rapporti con il regime e dall’economia di guerra[2].
Esse prevedono “un embargo sulle importazioni di petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell’UE e restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna, nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche o online”[3].
In particolare, nel 2020 il Consiglio europeo ha disposto sanzioni individuali, tra cui il divieto di spostamenti nell’Unione europea ed il congelamento dei beni    di sette ministri siriani facenti parte dell’esecutivo guidato da Bashar Al- Assad, portando a duecentottanta le personalità siriane oggetto di iniziative restrittive. Sono                 settanta invece gli organismi, tra cui figurano aziende, banche e organizzazioni siriane, a cui l’Ue ha bloccato i beni[4]. Tali misure restrittive nei confronti del regime siriano sono state prorogate dal Consiglio fino al 1° giugno 2022, visto il perdurare della repressione.
Il 3 aprile 2017, il Consiglio ha adottato la strategia dell’UE nei confronti della Siria, i cui obiettivi strategici si concentrano su sei aree chiave: porre fine alla guerra attraverso un’autentica transizione  politica, promuovere una transizione significativa e inclusiva in Siria, salvare vite umane affrontando  i bisogni umanitari dei civili più vulnerabili, promuovere la democrazia, i diritti umani e la libertà di    parola, promuovere la responsabilità per i crimini di guerra, sostenere la resilienza della popolazione  e della società siriana[5].

Cosa rimane della Siria

A distanza di dieci anni dall’inizio del conflitto la Siria è oggi un Paese con profonde divisioni e che versa in condizioni di diffusa povertà, con più della metà della popolazione nativa sfollata sia all’interno che al di fuori dei confini. Il potere è tuttora nelle mani di Assad, che controlla i due terzi di un territorio caratterizzato da discriminazioni etniche e religiose e suddiviso in aree con milizie ed un’economia proprie, con precari, quasi inesistenti, equilibri sociali, ulteriormente minati da una grave crisi economica che ha causato il crollo della moneta e l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità[6].

Le zone al nord-est della Siria sono oggi controllate dai curdi, che hanno istituito un sistema di autogoverno relativamente efficiente, grazie al riconoscimento internazionale e, soprattutto della tutela degli Stati Uniti, di cui godono avendo affiancato arabi e statunitensi nell’impegno bellico contro l’ISIS e grazie, fattore forse più determinante, alla possibilità di sfruttamento dei giacimenti di petrolio nel loro territorio.

Al contempo, nel 2019 Erdoğan ha avviato nel nordest della Siria, contro i curdi siriani, l’operazione militare denominata “Sorgente di pace”[7], l’obiettivo è creare una zona cuscinetto a est del fiume Eufrate, per smistarvi i siriani rifugiati in territorio ed allontanare i curdi dal confine con la Turchia.

In questo contesto, merita attenzione la questione della provincia di Idlib al confine con la Turchia, controllata prima dai ribelli e oggi da gruppi radicali jihadisti, luogo di rifugio per più di un milione e mezzo di siriani costretti a fuggire dalle proprie abitazioni a causa dei frequenti bombardamenti perpetrati dal governo di Assad.

Nell’ottobre 2017, la Turchia installò in quell’area dodici[8] posti di osservazione, al fine di incrementare la sua influenza in Siria e sventare eventuali attacchi che avrebbero provocato un’ulteriore fuga dei siriani verso i confini turchi. Successivamente, nel 2019, Russia e Turchia, con gli accordi di Sochi, istituirono una zona demilitarizzata all’interno di Idlib: la Russia voleva garantire la protezione della base aerea di Latakia da eventuali attacchi ribelli, mentre la Turchia puntava al controllo del nord della Siria ed al rafforzamento della zona cuscinetto ove dislocare i rifugiati giunti nei confini turchi.
Tuttavia, a causa dell’incapacità della Turchia di controllare i gruppi jihadisti radicali e della volontà di Assad di riguadagnare potere anche nel nordovest, nessuno ha tenuto fede ai patti e circa 800.000 persone, di cui il 60%[9] bambini, sono ammassate alla frontiera turco-siriana, esposte alle intemperie di inverni gelidi ed ai pericoli derivanti dallo scontro diretto tra Turchia ed esercito siriano, dando vita a quello che Josep Borrel ha definito: one of the most dramatic human rights situations since the Second World War[10].

La Dichiarazione UE-Turchia: il potere contrattuale del governo di Erdoğan

Intanto la Turchia, il 28 febbraio 2020, ha concretizzato la minaccia di aprire i confini con la Grecia, atto di ritorsione contro l’Unione Europea, colpevole, a dire di Erdoğan, di non aver rispettato gli impegni assunti con la Dichiarazione Congiunta del 18 marzo 2016 e di non aver sostenuto l’intervento militare turco nella Provincia di Idlib.

Dopo numerosi negoziati, il 18 marzo 2016, i leader del Consiglio europeo e la presidenza turca hanno adottato un comunicato stampa, noto come “Dichiarazione UE-Turchia” per definire obiettivi e modalità attuative della cooperazione per contrastare la crisi dei migranti e rispondere alla minaccia terroristica, riconfermando, in particolare, gli impegni assunti durante la Riunione dei capi di Stato o di governo dell’Unione europea con la Turchia del 29 novembre 2015, a seguito della quale la Turchia aveva già aperto il mercato del lavoro ai siriani, offrendo loro protezione temporanea ed una nuova politica per ciò che concerne i visti. I punti principali della Dichiarazione prevedono il rimpatrio in Turchia per tutti i migranti irregolari partiti dal 20 marzo 2016 dalla Turchia per giungere in Grecia, garantendo comunque la registrazione e l’analisi individuale di ogni richiesta d’asilo da parte degli organi della Grecia competenti in materi; in caso di esito negativo per domanda infondata, i migranti saranno rimpatriati in Turchia a spese dell’Unione europea. Per ogni siriano che sarà poi rimpatriato in Turchia, l’Unione Europea ne accoglierà un altro dalla Turchia, dando priorità a chi non sia entrato o non abbia provato ad entrare illegalmente nei territori dell’Unione europea[11]. Gli Stati membri dell’Unione europea, dal canto loro, si impegnano a garantire, sulla base delle conclusioni del Consiglio del 20 luglio 2015, 18.000 posti per il reinsediamento, da poter estendere ad un massimo di 54.000 in caso di emergenza e su accordo volontario. È stato previsto, inoltre, il pagamento alla Turchia di sei miliardi di euro da parte dell’Unione europea, che si è impegnata a velocizzare l’erogazione di una prima tranche di tre miliardi di euro (due miliardi di euro dagli Stati membri ed un miliardo dal bilancio dell’Unione europea), stornandola dai fondi precedentemente destinati ai rifugiati, finanziando altresì progetti per le persone bisognose di protezione temporanea, individuati grazie alla cooperazione con la Turchia. Esaurite le risorse, era previsto il saldo dei rimanenti tre miliardi di euro (due miliardi dal bilancio dell’Unione europea e un miliardo dagli Stati membri in funzione della rispettiva quota del reddito nazionale lordo dell’UE[12]), da corrispondere entro la fine del 2018.

Tale dichiarazione ha reso la politica migratoria dell’Unione europea fallimentare e irrealistica: l’esigenza europea di bloccare i flussi migratori verso i propri territori, fin troppo palese agli occhi di tutta la Comunità internazionale, ha garantito una posizione contrattuale dominante alla Turchia, che ha assunto atteggiamenti ricattatori nei confronti delle Istituzioni europee, soprattutto nel quadro delle tormentate relazioni con la Grecia, al fine di realizzare i propri interessi economici, in termini di introiti finanziari, e, non da ultimo, politici, attesa anche l’aspirazione a divenire membro dell’Unione europea. Inoltre, da un punto di vista pratico, l’Accordo Unione europea – Turchia per porre fine ai flussi migratori irregolari risulta incompatibile con il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, poiché il principio di priorità a favore di chi non sia entrato illegalmente in Europa viola la Convenzione di Ginevra, ai sensi della quale non è concesso incriminare un rifugiato per l’ingresso irregolare in un paese, in quanto il suo diritto alla protezione internazionale non può essere subordinato alle forme di accesso.


Note

[1] Consiglio dell’Ue. Siria: dichiarazione dell’alto rappresentante, a nome dell’Unione europea, sui 10 anni di conflitto. Comunicato stampa, 14 marzo 2021.
[2] Consiglio dell’Ue. Siria: il Consiglio proroga di un altro anno le sanzioni contro il regime. Comunicato stampa, 27 maggio 2021.
[3] Ibidem.
[4] SIRIA. L’UE SANZIONA 7 MINISTRI, ‘ESPONSABILI DELLA REPRESSIONE’. Notizie Geopolitiche, 26 Ottobre 2020.
[5] Consiglio dell’Ue. Il Consiglio adotta la strategia dell’UE relativa alla Siria. Comunicato stampa, 3 aprile 2017.
[6] Siria: la moneta cola a picco, c’è chi adotta la lira turca. Euronews. 16 giugno 2020.
[7] Servizi Affari Internazionali. Siria: dopo 9 anni di conflitto a che punto siamo?,  Senato della Repubblica, 3 aprile 2020, pag. 2.
[8] Cosa sta succedendo tra Russia e Turchia, in Siria. Il Post, 6 febbraio 2020.
[9] Daily focus. Siria: la partita di Idlib. Ispionline. Milano. 14 febbraio 2020.
[10] Stanicek, Branislav. EU-Turkey relations in light of the Syrian conflict and refugee crisis. European Parliament Research Service, marzo 2020, p.3.
[11] Consiglio europeo, Dichiarazione UE-Turchia, 18 marzo 2016, 18/03/2016, consultabile al link: https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/03/18/eu-turkey-statement/.
[12] Consiglio europeo, Rotta del Mediterraneo orientale, aggiornato il 6/01/2021, consultabile al link: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-migration-policy/eastern-mediterranean-route/


Foto copertina: La risposta dell’Unione europea alla repressione in Siria