Con “La rosa geopolitica – Economia, strategia, e cultura nelle relazioni internazionali”, edito da Paesi Edizioni, Mirko Mussetti definisce le competenze indispensabili per orientarsi nella conoscenza e comprensione delle dinamiche geopolitiche. Intervista con l’autore.
Con “La rosa geopolitica – Economia, strategia, e cultura nelle relazioni internazionali Mirko Mussetti[1] definisce le competenze indispensabili per orientarsi nella conoscenza e comprensione delle dinamiche geopolitiche.
Partendo proprio dalla definizione, la geopolitica è lo studio dei rapporti tra geografia (fisica e umana) e la condotta politica (interna e internazionale) dei vari soggetti sovrani in un determinato frangente storico (remoto e contemporaneo). In La rosa geopolitica Mussetti suddivide la geopolitica in tre grandi branche – la geoeconomia, le geostrategia e la geocultura- lo sviluppo e l’implementazione di questi tre aspetti, determinano il successo dell’attore geopolitico, viceversa se quest’ultimo pecca anche in solo uno dei tre ambiti, è destinato alla disgregazione, all’assoggettamento e alla crisi fiscale. Mussetti prova con La rosa geopolitica a mettere ordine nelle teorie geopolitiche, suddividendo gli Stati-nazione tra attori cardinali, mutevoli e fissi in base alle loro qualità geopolitiche, cioè non al peso economico, strategico o culturale, ma al quadro geografico e geopolitico nel quale la nazione è ascritta.
Il sapere è potere

Mussetti in “La Rosa geopolitica” approfondisce anche il ruolo dell’intelligence che costituisce il nucleo centrale della potenza dinamica di una nazione. Dall’intelligence economica e quella militare fino ad arrivare a quella culturale, l’intelligence e quindi il “sapere” rappresenta il vero potere di uno Stato-nazione. Interessante anche la differenza tra le guerre convenzionali, pianificate dai comandi militari e combattute consapevolmente dagli eserciti, da quelle ibride che si combattono su terreni diversi come il global marketing, la guerra economica e la guerra cognitiva. Nel libro Mussetti prova a tracciare le linee per inquadrare in modo sistemico tutte le competenze elencate e per favorire la comprensione delle dinamiche geopolitiche. Un libro capace di essere allo stesso tempo breve ed esaustivo.
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Partiamo dalle definizioni: è possibile dare una definizione definitiva alla parola “geopolitica”?
“In questo mondo nulla è definitivo, tutto è perfezionabile. Io ho cercato di definire in modo quanto più sintetico ed esauriente possibile il termine. La geopolitica è lo studio dei rapporti fra la geografia (fisica e umana) e la condotta politica (interna e internazionale) dei vari soggetti sovrani in un determinato frangente storico (remoto o contemporaneo). Dunque l’elastica definizione comprende i tre elementi che considero inalienabili nella disciplina: la geografia, la politica, il tempo.”
Crede che lo studio della geopolitica in Italia è in un certo senso sottovalutato se non banalizzato? Se sì, perché e come si può fare per dare allo studio della geopolitica l’attenzione che meriterebbe?
“In realtà rilevo un forte e rinnovato interesse verso la disciplina. Lo dimostrano le tantissime adesioni ai corsi e ai festival incentrati sulle tematiche geopolitiche, come la nuova Scuola di Limes o l’annuale Festival di Genova della nota rivista. Compito di analisti, accademici ed editori è caso mai quello di saper soddisfare tale crescente domanda. I manager d’azienda sono sempre più interessati ai meccanismi della strategia applicata (quella vera, non la scopiazzatura in ambito finanziario de L’arte della guerra di Sun Tsu); gli studenti vogliono assimilare le metodologie per comprendere una realtà complessa; la gente comune cerca risposte ai vuoti cognitivi lasciti dalla frenetica e spesso omologata informazione di massa. La ritrosia del periodo postbellico delle popolazioni dell’Europa occidentale (non di Stati Uniti e Unione Sovietica) verso una disciplina acerba – e ingenerosamente ritenuta “colpevole” dei drammi del Novecento – pare oggi ampiamente superata. C’è però il rischio che la “geopolitica” – termine ormai inflazionato sui media tradizionali – venga banalizzato da opinionisti inesperti e vanitosi in cerca di visibilità.”
Nel suo libro fa riferimento a concetti come geoeconomia, geostrategia e geocultura. Ci può spiegare il significato?
“Geoeconomia, geostrategia e geocultura sono le tre grandi branche che compongono la disciplina. La prima attiene all’impiego delle limitate risorse e generalmente agisce nel breve periodo (o nell’immediato); la seconda è correlata ai rapporti di potenza fra attori sovrani e manifesta i propri effetti nel medio periodo; la terza riguarda gli aspetti spirituali della disciplina e sviluppa le proprie trame in lassi di tempo plurigenerazionali. Dalla tripartizione imperfetta della geopolitica nascono le tre tipologie di conflitto ibrido: il global marketing, la guerra economica e la guerra cognitiva. Dispositivi questi appannaggio delle intelligence più accorte.”
In riferimento alla composizione della mappa delle nazioni, dà un valore importante alle “qualità geopolitiche”. Quali sono e come si possono catalogare?
“Le qualità geopolitiche altro non sono che le attitudini comportamentali degli attori sovrani. Esse sono tre: la cardinalità, la mutevolezza e la fissità. La nazione cardinale è avvezza al pensiero strategico ed esercita energia diretta a concretizzare un’azione geopolitica. La nazione mutevole è soggetta a frequenti cambiamenti nel proprio orientamento internazionale e per questo è usa all’approccio tattico. Infine, la nazione fissa è solita insistere nella ristrutturazione dello status quo, non amando gli stravolgimenti del sistema internazionale. Queste qualità distintive sono strettamente legate al quadro geografico e geopolitico nel quale la nazione è ascritta; per questa ragione cambiano raramente nel corso delle epoche.”
Dopo un lungo periodo di fase bipolare (Guerra Fredda), abbiamo assistito ad una fase unipolare a trazione americana. Oggi in che sistema internazionale ci troviamo?
“Non è facile affermarlo con certezza, poiché la percezione dei rapporti di forza è sempre tardiva rispetto alla realtà. Mi sento tuttavia di asserire che il sistema unipolare a stelle e strisce verte verso un nuovo ordine multipolare. La superpotenza americana resterà comunque l’indiscusso campione per almeno la prima metà del ventunesimo secolo. Persino perdendo un’altra importante guerra regionale. Ogni grande impero racconta se stesso come in declino; gli Stati Uniti non fanno eccezione. In genere questa pessimistica narrazione è funzionale a tenere alta la guardia, a investire maggiormente in campo bellico e a instillare nella popolazione senso di rivalsa e di rinnovata compattezza. Le forme del nascituro sistema internazionale dipenderanno in gran parte dagli esiti della nuova corsa armata allo Spazio. Il controllo del Cosmo più prossimo può consolidare, correggere o rivoluzionare lo status internazionale delle potenze tecnologicamente più avanzate.”
Quanto è determinante la variabile “temporale” nell’ascesa o nella decadenza di uno Stato-Nazione?
“Il fattore tempo è l’aspetto dirimente che costringe le nazioni allo stress del grande gioco. L’idea economica, l’ideale strategico e l’ideologia culturale dipanano i propositi geopolitici in lassi temporali distinti. Rispettivamente nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Per l’intelligence è essenziale armonizzare il più possibile gli obiettivi nazionali. Ma proprio i distinti orizzonti temporali dei tre ambiti operativi rendono empiricamente impossibile programmare una proiezione di potenza costante. La nazione beneficia quindi di epoche dalle prestazioni economiche, strategiche e culturali eccezionalmente sincrone e positive (età dell’oro), ma vive altresì congiunture storiche caratterizzate da mediocri esiti in un singolo ambiente operativo, cagione del declino. I nuovi imperi sorgono sui vuoti di resilienza (efficienza * efficacia), di predominio (hard power * soft power) e di egemonia (spirito * materia) nelle periferie della potenza morente.”
Una eventuale escalation militare a Taiwan potrebbe rappresentare il punto di svolta nella contrapposizione Usa/Cina?
“Sì, potrebbe. Anche qui il fattore tempo diviene cruciale, soprattutto per quanto attiene l’aspetto geostrategico. Secondo molti analisti d’oltreoceano, non è in discussione lo scontro militare, ma quando esattamente questo possa prodursi. Gli strateghi americani più aggressivi sollecitano l’iniziativa bellica entro i prossimi dieci anni, ovvero prima che l’avversario cinese si fortifichi in modo eccessivo. Ma l’azzardo di una grande guerra è sempre un rischio esistenziale. Oggi gli Stati Uniti sono ineguagliabili per potenza militare; la Cina non si avvicina lontanamente alla prorompente irruenza americana. Ma sovente la Storia genera sorprese. Il Mar Cinese meridionale potrebbe rivelarsi per l’immensa flotta statunitense ciò che la Manica fu per la Grande y Felicisima Armada spagnola nel sedicesimo secolo. La superbia non genera invincibilità.”
Note
[1] Mirko Mussetti, analista di geopolitica e geostrategia. Collabora con Limes, rivista italiana di geopolitica. Ha pubblicato Áxeinos! Geopolitica del Mar Nero (goWare, 2018) e Némein. L’arte della guerra economica (goWare, 2019) con cui ha vinto la settima edizione del Premio Voltaire per la saggistica di Lucca.
Foto copertina: Copertina libro. “La rosa geopolitica – Economia, strategia, e cultura nelle relazioni internazionali”, edito da Paesi Edizioni.