La Strage di Ustica


La Strage di Ustica, un “muro di gomma” lungo quarant’anni


Di Francesca Boscariol

La storia del volo Itavia

“Muro di gomma”.

Questa l’espressione utilizzata per descrivere la fitta coltre di omertà che ha da sempre ricoperto la vicenda del volo di linea Itavia precipitato nei pressi dell’Isola di Ustica il 27 giugno 1980.
Erano le 20.59 e 45 secondi quando l’aereo DC-9 in volo da Bologna a Palermo scomparve dai radar del centro di controllo aereo di Roma. Il mezzo era infatti precipitato nel Mar Tirreno, tra le isole di Ponza e di Ustica, senza lasciare alcuna speranza per gli 81 passeggeri rimasti vittime dello schianto.
Tre settimane più tardi venivano rinvenuti sulla Sila, altopiano dell’appennino calabro, i resti di un aereo militare libico, un Mig 23.
Inizia così uno dei depistaggi più lunghi della storia della nostra repubblica tanto che ancora oggi, ben 43 anni dopo la tragedia, nessuna indagine è mai riuscita a chiarire con certezza le cause dell’incidente.
Fin dai primi momenti regnò incertezza sulle cause di quanto accaduto. I giornali dei giorni successivi parlarono di “disastro” dalle cause misteriose. Tra le possibili ragioni dello schianto la stampa prese in considerazione il cedimento strutturale, l’esplosione interna o esterna, la collisione in volo con un altro aereo, fino addirittura all’impatto con un meteorite.
Quanto alla compagnia Itavia, già molto discussa negli anni ’70 e criticata soprattutto da alcuni sindacati e dal PCI per i suoi piani di privatizzazione, finì per diventare un vero e proprio “capro espiatorio” per quanto accaduto al DC-9 e nel dicembre 1980, a soli sei mesi dal disastro, un decreto ministeriale revocò all’Itavia le concessioni di volo, sancendone di fatto la definitiva chiusura.

Le indagini

Sul DC-9 Itavia iniziò a indagare la Procura di Palermo – città dove l’aereo era atteso – fino a quando, a una settimana dalla strage, fu stabilito sulla base di un accordo tra Procure che la competenza giurisdizionale per quanto avvenuto fosse da attribuire a Roma, sede dell’hangar di immatricolazione del velivolo precipitato in acque internazionali.
L’istruttoria fu così affidata al sostituto procuratore Giorgio Santacroce che alla fine del 1983 la formalizzò, secondo il codice di procedura penale vigente all’epoca, con la dicitura “per strage aviatoria”. Su alcuni resti dell’aereo, infatti, erano state trovate tracce di miscela esplosiva che giustificavano, sul piano giuridico, il ricorso al termine “strage”.
Le successive perizie individuarono la causa dello schianto nell’impatto con un missile che provocò l’esplosione dell’aereo. Le analisi si basarono sia sulle registrazioni del radar di Ciampino, che mostrava la traccia di un secondo aereo in manovra di attacco accanto a quella del DC-9, sia sullo studio dei resti dell’aereo, recuperati dai fondali marini tra il 1987 e il 1988.
L’inchiesta giudiziaria sulla strage di Ustica è stata riaperta dalla Procura di Roma nel 2008, dopo la conclusione del processo sui depistaggi, in seguito alle dichiarazioni dell’ex Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, che in un’intervista a Sky Tg24 dichiarò che a lanciare il missile contro il DC-9 Itavia erano stati i francesi.
Nonostante le difficoltà dovute alla carenza di elementi probatori di cui l’inchiesta ha sofferto, soprattutto nei primi anni successivi al fatto, è stato possibile pervenire a significativi punti fermi sulle cause della strage di Ustica. È stato infatti accertato che, al momento della sua esplosione, il DC-9 Itavia si trovava al centro di uno scenario molto complesso, caratterizzato dalla presenza di diverse “attività volative”. Fu infatti rilevato un intenso traffico aereo nei cieli dell’Appennino tosco-emiliano, dove avvenne l’inserimento nella scia dell’aereo Itavia di un velivolo che riapparve più volte nel corso della rotta. Anche nel Tirreno meridionale si registrava la presenza, pochi secondi dopo l’incidente e proprio sulla rotta del DC-9, di uno o due velivoli militari. In tale contesto, secondo la ricostruzione confermata in sede civile dalla Corte Suprema di Cassazione, la sera del 27 giugno 1980 si verificò “un’azione militare di intercettamento, con ogni verosimiglianza nei confronti dell’aereo nascosto nella scia del DC-9”.
Secondo la maggior parte delle perizie, infatti, l’improvvisa esplosione del volo Itavia è stata causata da un attacco missilistico, mentre la tesi del cedimento strutturale – sostenuta fin dalle origini dall’Aeronautica Militare – non ha mai trovato alcun riscontro peritale.
La vicenda di Ustica è da sempre stata caratterizzata da un doppio livello di responsabilità da accertare: il primo inerente agli autori materiali della strage e il secondo relativo al mancato accertamento delle cause del disastro aereo.
Su quest’ultimo aspetto ha lavorato a partire dal 1989 la Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi. Particolarmente dettagliata è la relazione conclusiva sul caso Ustica che la Commissione presieduta da Libero Gualtieri approvò nel 1992. In essa vennero sottolineate le responsabilità dei poteri pubblici e delle istituzioni militari “per aver trasformato una normale inchiesta sulla perdita di un aereo civile (…) in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni”. La Commissione stragi mise in luce le attività di “depistaggio delle indagini” e di “ostacolamento dei vari organi inquirenti” messe in atto da numerosi altri ufficiali dell’Aeronautica Militare e dei Servizi. Sin dai giorni immediatamente successivi all’incidente, infatti, l’Aeronautica, pur avendo a disposizione informazioni che avrebbero potuto indirizzare le indagini verso l’ipotesi del missile, privilegiò la tesi del cedimento strutturale. Secondo la Commissione, tale comportamento ebbe l’effetto non solo di depistare l’inchiesta, determinando l’oscuramento di altri possibili filoni di indagine, ma anche di provocarne la sostanziale sospensione. Allo stesso modo, fu rilevata una “grave carenza di interventi da parte dei vertici istituzionali” protrattasi per molti anni.

Lo scenario politico internazionale nel 1980

Per meglio comprendere i motivi per il quale una testata missilistica straniera poteva trovarsi in volo nei nostri cieli per poi collidere contro un aereo di linea è fondamentale un resoconto dello scenario politico internazionale del tempo.
Il 1980 rappresenta infatti una data storica molto importante sia per le evoluzioni del sistema politico internazionale, sia per le trasformazioni che investirono il nostro paese.
Innanzitutto un primo problema era rappresentato da un incremento dell’interesse bellico poiché, dopo una lunga fase caratterizzata da notevoli progressi sul piano della distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, si assistette, già a partire dalla fine del 1979, a un drammatico riacutizzarsi dello scontro bipolare. L’invasione sovietica dell’Afghanistan, cominciata nel dicembre 1979, e la “doppia decisione”, contemporaneamente presa dall’Alleanza Atlantica, di installare in Europa missili a medio raggio nella speranza che l’URSS ritirasse gli SS-20 puntati sull’Europa, sancirono il  ritorno al clima politico e psicologico che aveva caratterizzato gli anni più duri della guerra fredda.
Anche sul fonte mediorientale si assisteva ormai da tempo a crisi e tensioni.
Gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele (1978) e la rivoluzione khomeinista in Iran (1979), seguita dallo scoppio di quella che sarebbe stata una lunga e logorante guerra con l’Iraq (1980), andavano ridisegnando gli equilibri, inserendo elementi di instabilità in un’area storicamente strategica.
Negli stessi anni anche la Libia di Gheddafi era intervenuta militarmente in Ciad in sostegno di un’organizzazione ribelle, contrastato dalla Francia che appoggiava invece il governo centrale del presidente François Tombalbaye.
Sul piano interno l’Italia si trovava in un momento di grande incertezza degli equilibri politici. Le elezioni del giugno 1979 avevano sancito il tramonto della stagione della solidarietà nazionale e portato alla formazione di un governo DC-PSDI presieduto da Francesco Cossiga, con ministri di area socialista e liberale. Per la prima volta nella storia repubblicana la centralità del partito democristiano si trovava in declino, sia per il rinnovato attivismo politico del PSI di Bettino Craxi, sia per un più generale processo di modernizzazione e secolarizzazione che aveva effetti importanti anche sull’elettorato. A ciò doveva poi aggiungersi la quasi totale marginalizzazione dei comunisti dall’area di governo.
Tuttavia, sul pianto della politica estera, la fedeltà alla coalizione atlantica non impedì al governo italiano di rafforzare proprio negli anni ’80 i suoi rapporti economico-commerciali con la Libia di Gheddafi e con l’Iraq di Saddam Hussein, non senza creare risentimenti nell’alleato americano.
L’impegno a dispiegare a Comiso gli euromissili permise di fatto all’Italia di mantenere un certo grado di autonomia all’interno della regione mediorientale, che si concretizzava, ad esempio, tramite le forniture nucleari all’Iraq e al permesso concesso ai libici di sorvolare lo spazio aereo italiano.

La versione di Amato

Pur essendo un evento di portata nazionale che ha scosso le coscienze degli italiani negli ultimi quarant’anni, la vicenda della Strage di Ustica è tornata alla ribalta negli ultimi giorni in seguito alle dichiarazioni dell’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato il quale, durante una intervista al quotidiano Repubblica, ha dichiarato che la versione più credibile sarebbe quella della responsabilità dell’aeronautica francese e, più in generale, dell’Alleanza Atlantica.
Secondo l’ex Presidente del Consiglio, infatti, i due Paesi erano d’accordo per l’eliminazione dell’allora presidente libico Muammar Gheddafi che il 27 giugno 1980 avrebbe dovuto trovarsi in volo sui cieli italiani a bordo di un Mig dell’esercito di Tripoli.
Per Amato, il piano “prevedeva di simulare una esercitazione della Nato, una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l’attentato come incidente involontario“. Ma sul suo Mig Gheddafi non c’era perché, secondo la ricostruzione dell’ex presidente, sarebbe stato avvertito dall’allora segretario nazionale del PSI Bettino Craxi.
Ecco quindi che gli elementi per aiutare a ricostruire l’accaduto e capire il reale coinvolgimento francese nella strage si potrebbero trovare negli archivi militari della Francia la quale, però, ha una delle durate più lunghe per il segreto sulla Difesa e dunque, a meno di un intervento diretto di Macron, non renderà pubblici i documenti prima del 2040.


Foto copertina: strage di Ustica, i resti del volo Itavia.