L’Europa tra i ricatti di Minsk ed una nuova crisi umanitaria


In questo contributo si cercherà di approfondire la crisi dei migranti che si sta verificando alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, cercando di descrivere la strategia di Lukashenko ed evidenziare come l’Europa dovrebbe rispondere secondo gli analisti.


Negli ultimi giorni, il confine polacco è divenuto crescentemente militarizzato: 20000 guardie di frontiera e soldati polacchi vi sono stati collocati, nel tentativo di arginare quello che la Polonia ha definito un “attacco ibrido” da parte del regime di Minsk e che secondo alcuni ministri della Difesa europei potrebbe degenerare in un confronto militare.[1] La Bielorussia è accusata di utilizzare i migranti come armi, scortandone alcune migliaia al confine polacco,[2] e di star orchestrando una nuova crisi dei rifugiati attraverso un sistema che consente – dietro il pagamento di cifre che si aggirano intorno ai 15-20000 €, secondo i dati riportati dal Guardian[3] – a famiglie provenienti soprattutto da Iraq, Siria ed Afghanistan di migrare in Bielorussia con la promessa di poter raggiungere in maniera sicura l’Unione europea

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Per quanto la definizione dei migranti come armi sia problematica e deumanizzante secondo alcuni critici, è possibile ricondurre le operazioni compiute dalla Bielorussia al concetto elaborato nell’ambito letteratura accademica che lega gli studi sulla migrazione e le relazioni internazionali, di “coercive engineered migration”, termine che sta ad indicare una strategia fondata su movimenti migratori creati artificiosamente per porre in essere un’azione coercitiva nei confronti di uno Stato e forzarlo ad assumere determinati comportamenti.[4] Ciò implica l’utilizzo strumentale dei migranti come armi allo scopo di raggiungere gli obiettivi desiderati e rappresenta una strategia punitiva generalmente impiegata da stati più deboli ed autoritari per ottenere particolari concessioni da stati più forti ed aprire spazi di negoziazione che non sarebbero disponibili con il mero ricorso alla forza armata.[5] Nella diplomazia della migrazione di Lukashenko, l’obiettivo non sarebbero i singoli stati europei come la Polonia, la Lituania e la Lettonia (anch’esse vittime di simili aggressioni), ma l’intero blocco dell’UE.
I ricatti di Erdogan sull’apertura dei confini turchi ed il controverso accordo UE-Turchia, sottoscritto nel 2016, hanno fornito un esempio delle concessioni che si possono strappare all’Unione facendo leva sul tema migratorio.[6] Da un lato, Lukashenko intende spingere l’UE ad allentare le sanzioni economiche imposte contro Minsk dopo il dirottamento di un aereo di linea Ryanair su cui viaggiava l’attivista bielorusso Roman Protasevich.
Dall’altro il leader bielorusso vuole forzare l’Unione a instaurare un dialogo con il regime bielorusso in modo da dimostrare che le dichiarazioni europee sull’illegalità del regime sono mere parole vuote.[7] Lukashenko è mosso infatti soprattutto dall’esigenza di garantire la legittimità e la sopravvivenza del proprio regime, cosa che lo induce ad alimentare le tensioni al confine e a non tener conto delle possibili vittime.
Una più stretta cooperazione tra la Polonia e gli altri paesi europei sarebbe quindi necessaria per gestire la situazione e proteggere i confini europei, senza respingere illegalmente i migranti e lasciarli in condizioni disumane.
La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, si è impegnata a sostenere maggiormente la Polonia, la Lituania e la Lettonia nella gestione della crisi e ha affermato che l’UE valuterà altre possibilità per un inasprimento delle sanzioni, inclusa quella di inserire in una lista nera le compagnie aeree di paesi terzi coinvolte nel traffico di esseri umani orchestrato da Lukashenko.[8]
La Polonia però, governata dal partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS), rifiuta però qualsiasi tipo di assistenza da parte di Bruxelles, una posizione che appare estremamente comprensibile se consideriamo che questa crisi ai suoi confini sta avendo luogo mentre gli attriti tra Varsavia e le istituzioni europee in merito al rispetto dello stato di diritto in Polonia si acuiscono sempre più. Varsavia ha quindi optato per un approccio duro, ricorrendo alla violenza e all’uso di gas lacrimogeni per respingere le persone che cercano di attraversare il confine, in aperta violazione del principio di non-refoulement.[9]
Intanto, in questo braccio di ferro diplomatico tra Minsk e Varsavia (e, tramite essa, Bruxelles), il prezzo più alto è pagato dalle persone intrappolate al confine senza via d’uscita. Estremamente complesso è raccogliere informazioni sui migranti coinvolti e sulle loro condizioni, dato che lo stato d’emergenza decretato dalla Polonia lo scorso settembre impedisce a giornalisti ed operatori umanitari di avere accesso alle zone di confine.
La stampa internazionale riporta che otto persone hanno già perso la vita ed altre rischiano di morire a causa delle temperature che scendono sotto lo zero nelle foreste situate al confine.[10] Alcuni curdi iracheni intervistati riportano di aver subito maltrattamenti ed aggressioni da parte delle guardie di frontiera polacche.[11] Solo alcuni locali e poche ONG sono riuscite a fornire assistenza e soccorso ai migranti rifugiatisi nelle foreste.[12]


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In questo contesto l’Unione europea si trova in una posizione estremamente difficile, sospesa tra l’esigenza di evitare gravi violazioni dei diritti umani ai suoi confini e quella di non cedere al ricatto di Minsk. Essa ha però anche un importante ruolo da giocare in questo difficile frangente: può infatti dimostrare che certe tattiche non funzionano e che l’UE non tollera una simile strumentalizzazione dei migranti.[13] Per questo, secondo alcuni analisti dell’European Council on Foreign Relations, sarà cruciale non cedere ai ricatti di Minsk e non fare alcuna concessione, perché questo spingerebbe Lukashenko ad aumentare le proprie richieste ed indebolirebbe la posizione dell’UE.[14] L’Europa dovrebbe affrontare il problema alla radice, inasprendo le sanzioni imposte a Lukashenko e rendendo così più oneroso per la Russia continuare a supportarlo. Inoltre, dovrebbe dialogare con i governi e le compagnie aeree del Medio Oriente con l’obiettivo di porre un freno alla facilitazione di ciò che – in sostanza- è un traffico di persone. Infine, dovrebbe inoltre fornire supporto agli stati confinanti con la Bielorussia, aiutandoli a proteggere i loro frontiere e ad assistere i migranti che raggiungono il loro territorio. Soltanto una risposta coordinata da parte degli Stati europei potrebbe consentire di evitare il dispiegarsi di una crisi umanitaria ai confini esterni dell’Unione europea e spingere Lukashenko a porre termine alle sue aggressioni nei confronti della Polonia e dell’intero blocco dell’Unione.[15]
Secondo David Carretta, giornalista esperto di affari europei, la crisi sarebbe facilmente risolvibile se l’UE fosse dotata di una politica migratoria realmente comune: l’installazione di centri alla frontiera, il ricollocamento dei richiedenti asilo in altri paesi europei ed il rimpatrio di coloro che non hanno diritto a restare consentirebbero di far fronte all’emergenza e rendere l’UE meno vulnerabile di fronte a simili aggressioni.[16] Tuttavia, le posizioni estremamente divergenti degli stati membri dell’UE in relazione alla politica migratoria e di asilo – principale ostacolo all’approvazione del Nuovo Patto sull’immigrazione e l’asilo proposto dalla Commissione lo scorso anno – riducono la possibilità che l’Unione riesca ad adottare un approccio comune per la gestione di questa nuova crisi ai suoi confini.


Note

[1] Barigazzi, J., European defense leaders warn: Belarus migrant crisis could morph into military crisis, Politico, 10 novembre 2021. Disponibile su: https://www.politico.eu/article/poland-belarus-border-migrants-military-crisis-defence-leaders-europe
[2] Roth, A., Belarus escorts 1,000 migrants towards Polish border, The Guardian, 8 novembre 2021. Disponibile su: https://www.theguardian.com/world/2021/nov/08/belarus-escorts-hundreds-of-migrants-towards-polish-border
[3] Ibidem.
[4] Greenhill, K.M., Migration as a Weapon in Theory and Practice, in: “Military Review”, 2016
[5] Ibidem.
[6] Gressel, G., Hosa J., Slukin P., No quiet on the eastern front: The migration crisis engineered by Belarus, European Council on Foreign Relations, 9 novembre 2021. Disponibile su: https://ecfr.eu/article/no-quiet-on-the-eastern-front-the-migration-crisis-engineered-by-belarus/
[7] Ibidem.
[8] Roth, A., Belarus escorts 1,000 migrants towards Polish border, The Guardian, 8 novembre 2021. Disponibile su: https://www.theguardian.com/world/2021/nov/08/belarus-escorts-hundreds-of-migrants-towards-polish-border
[9] Gressel, G., Hosa J., Slukin P., No quiet on the eastern front: The migration crisis engineered by Belarus, European Council on Foreign Relations, 9 novembre 2021. Disponibile su: https://ecfr.eu/article/no-quiet-on-the-eastern-front-the-migration-crisis-engineered-by-belarus/
[10] Tondo, L., Migrants face ‘desperate situation’ at Poland-Belarus border, The Guardian, 9 novembre 2021. Disponibile su:  https://www.theguardian.com/global-development/2021/nov/09/unacceptable-migrants-face-desperate-situation-at-poland-belarus-border
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Gressel, G., Hosa J., Slukin P., No quiet on the eastern front: The migration crisis engineered by Belarus, European Council on Foreign Relations, 9 novembre 2021. Disponibile su: https://ecfr.eu/article/no-quiet-on-the-eastern-front-the-migration-crisis-engineered-by-belarus/
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Carretta, D. Sulla frontiera tra Ue e Bielorussia non è in corso una crisi migratoria, ma politica, Il Foglio, 11 novembre 2021, citato in: “Konrad: l’Europa spiegata bene”, Il Post, numero del 13 novembre 2021


Foto copertina: Polizia alla frontiera.(Afp)