L’Ungheria non rispetta le norme sulla protezione dei richiedenti asilo – La pronuncia della Corte di Giustizia europea


Lo scorso Dicembre, la Corte di Giustizia europea ha condannato l’Ungheria per il mancato rispetto delle regole sull’asilo e per i rimpatri illegali


 

Con la sentenza del 17 dicembre 2020[1], la Corte di Giustizia ha stabilito che l’Ungheria ha violato il diritto dell’Unione limitando l’accesso alla procedura di protezione internazionale in materia di asilo.
In particolare, la sentenza fa riferimento ad una legge del 2015 con la quale l’Ungheria ha istituito zone di transito situate al confine con la Serbia ed introdotto la nozione di “situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa” che consente di derogare alle disposizioni generali in materia d’asilo. Il governo di Orbán ha quindi eretto una recinzione, elettrificata in alcuni luoghi, lungo il confine ungherese con la Serbia e la Croazia, e istituito una “zona di transito”, ossia veri e propri campi dove i migranti e richiedenti asilo sono stati detenuti, a volte anche per più di un anno.

Nel 2017, una nuova legge ha ampliato i casi in cui è possibile dichiarare l’esistenza di una situazione di crisi.

La Corte di Giustizia si è già pronunciata a maggio 2020[2], stabilendo che la detenzione arbitraria dei richiedenti asilo in zone di frontiera da parte dell’Ungheria è illegale. Secondo la Corte, nel caso di specie non si tratta di una semplice restrizione della libertà di movimento, bensì di privazione della libertà personale perché i soggetti interessati non possono legittimamente lasciare la zona. Il tribunale ha anche stabilito che né i richiedenti asilo né i migranti soggetti a rimpatrio possono essere trattenuti senza una decisione preliminare che stabilisca la necessità e la proporzionalità della detenzione. Inoltre, sebbene l’istituzione di una zona di transito e il trattenimento di coloro che cercano di entrare nel paese siano previsti dalla direttiva “procedure”, la Corte ha sottolineato che gli individui non possono essere detenuti per più di quattro settimane dalla data di presentazione della domanda[3].
La sentenza del 17 dicembre conclude la procedura d’infrazione[4] avviata dalla Commissione europea nel 2015.
La Commissione europea ha, infatti, fin da subito espresso i suoi dubbi circa la compatibilità della normativa ungherese in materia di asilo con il diritto dell’Unione ed ha avviato un’azione contro l’Ungheria per inadempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’UE.

La Commissione ha contestato all’Ungheria di non aver tenuto conto delle garanzie sostanziali e procedurali previste dal diritto dell’UE, limitando l’accesso alla protezione internazionale fornita ai richiedenti asilo, e di aver istituito zone di detenzione verso cui i richiedenti asilo sono portati con la forza[5].

La Corte di giustizia ha confermato la maggior parte del ricorso della Commissione, dichiarando che l’Ungheria “è venuta meno al proprio obbligo di garantire un accesso effettivo alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, in quanto i cittadini di Paesi terzi che desideravano accedere a tale procedura si sono trovati di fronte, di fatto, alla quasi impossibilità di presentare la loro domanda”. La Corte sottolinea quanto sia importante il momento della presentazione di una domanda di protezione internazionale, prima ancora della sua registrazione, del suo inoltro e del suo esame; pertanto gli Stati membri non possono ritardare la presentazione in modo ingiustificato, bensì devono assicurare che gli interessati possano presentare la domanda anche alle frontiere.

La Corte aggiunge che, sebbene l’obbligo imposto ai richiedenti protezione internazionale di rimanere in una zona di transito durante l’intera procedura di esame della loro domanda sia previsto dalla direttiva “accoglienza”[6],  “tale sistema di trattenimento è stato instaurato al di fuori dei casi previsti dal diritto dell’Unione e senza rispettare le garanzie che devono normalmente disciplinarlo”.

La CGUE sottolinea che il regime di trattenimento previsto dalla normativa ungherese, in quanto automatico e generalizzato, non consente ai richiedenti identificati come vulnerabili e che necessitano di garanzie procedurali particolari, di beneficiare delle garanzie previste dalle direttive “procedure”[7] e “accoglienza”[8]

La Corte di giustizia respinge l’argomentazione dell’Ungheria secondo cui la non conformità era giustificata ai sensi dell’articolo 72 del TFUE[9] a causa della crisi migratoria, sia perché l’articolo deve essere interpretato restrittivamente e l’Ungheria non ha fornito “sufficiente dimostrazione della necessità che aveva di ricorrervi”, sia perché le direttive “procedure” e “accoglienza” prendono già in considerazione situazioni in cui vi è una crescente domanda di protezione internazionale.

La Corte, inoltre, condanna l’Ungheria per non aver adempiuto agli obblighi di cui alla direttiva “rimpatrio”[10], allontanando i cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno nel territorio è irregolare senza rispettare le procedure e le garanzie previste da tale direttiva[11]. I cittadini sono scortati di forza dalle autorità di polizia verso la frontiera con la Serbia, configurando quello che la direttiva “rimpatrio” definisce allontanamento. La Corte ricorda che la direttiva in questione oltre a includere una serie di garanzie sostanziali e procedurali, prevede che l’allontanamento forzato intervenga solo in ultima istanza.

Infine, la Corte ritiene che l’Ungheria non abbia rispettato il diritto dei richiedenti protezione internazionale previsto dalla direttiva “procedure”[12] di “rimanere nel territorio dello Stato membro interessato dopo il rigetto della sua domanda, fino alla scadenza del termine previsto per la presentazione di un ricorso avverso tale rigetto o, se è stato presentato un ricorso, fino all’adozione di una decisione su quest’ultimo”. La normativa ungherese, in una “situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa”, subordina l’esercizio di questo diritto a modalità contrarie al diritto dell’Unione. In assenza di tale situazione di crisi, la normativa ungherese subordina l’esercizio di tale diritto a condizioni che non sono sufficientemente chiare e precise, impedendo agli interessati di conoscere l’esatta portata del loro diritto.

Nonostante la pronuncia della Corte, l’Ungheria continua a respingere i richiedenti asilo. Secondo il Comitato ungherese di Helsinki per i diritti umani[13], da quando la sentenza è stata emessa, l’Ungheria ha respinto oltre 2.300 persone verso il confine con la Serbia.
Ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE[14], il mancato rispetto di una decisione della Corte comporta la possibilità per la Commissione europea di deferire il Paese dinanzi alla Corte stessa e chiedere il pagamento di una sanzione pecuniaria.


Note

[1]http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=78E7B1DDA8D17CF27906ABF71D5D94DA?text=&docid=235703&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=1751904
[2]http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=226495&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=1752049
[3] Art. 43, Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=celex:32013L0032 
[4] Ai sensi degli articoli 258 e 259 TFUE, la Commissione europea avvia la procedura di infrazione contro un paese dell’UE che non attua il diritto dell’Unione europea. La Commissione individua possibili violazioni sulla base delle proprie indagini o di denunce da parte di cittadini, imprese e altre parti interessate. (https://ec.europa.eu/info/law/law-making-process/applying-eu-law/infringement-procedure_it)
[5] http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=227730&pageIndex=0&doclang=it&mode=req&dir=&occ=first&part=1
[6] Art. 2, lettera h, Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32013L0033
[7] Ivi, art. 9, par. 2.
[8] Art. 24, Direttiva 2013/32/UE
[9] “Il presente titolo non osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.”
[10] Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008 , recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32008L0115
[11] In particolare, art. 5, art. 6, paragrafo, 1, art. 12, paragrafo 1, e art. 13, paragrafo 1, Direttiva 2008/115/CE
[12] Articolo 46, paragrafo 5, Direttiva 2013/32/UE
[13] https://www.helsinki.hu/wp-content/uploads/HHC_Frontex_07012021.pdf
[14] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A12016E260


Foto copertina: Un migrante viene controllato dagli agenti di polizia mentre arrestano i rifugiati vicino al confine ungherese-serbo | Attila Kisbenedek / AFP tramite Getty Images

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